L'espresso
Auschwitz
a casa Mussolini
Un
cubo nero a villa Torlonia a Roma. Per ricordare gli ebrei italiani morti nella
Shoah. Firmato Luca Zevi
di
Paolo Forcellini
Un
grande parallelepipedo nero che sembra sospeso in aria, e sulle cui
pareti esterne brilleranno,
illuminati, i nomi di oltre 2 mila ebrei romani uccisi nei campi di sterminio
(su circa 8.500 ebrei italiani massacrati): così si presenterà da lontano al
visitatore il museo della Shoah, primo in Italia e preceduto nel mondo da quelli
di Washington, Gerusalemme, Berlino, Parigi e Londra. La struttura sarà
edificata
in un'area confinante con villa Torlonia: una sede altamente simbolica perché
da un lato residenza privata di Mussolini, primo responsabile delle leggi
razziali
italiane, dall'altro perché nel sottosuolo della villa si trovano due antiche
catacombe ebraiche. Autore dell'affascinante progetto architettonico, con
Giorgio Tamburini, è Luca Zevi, figlio del grande storico dell'architettura
Bruno e di Tullia, per anni presidente dell'Unione delle Comunità ebraiche
italiane. il percorso espositivo è invece opera di Maurizio Di Puolo e il
progetto
scientifico è degli storici Umberto Gentiloni e Marcello Pezzetti. Spiega Zevi:
«A più di 60 anni dalla fine dello sterminio nazifascista degli ebrei, tutti i
testimoni diretti di quegli avvenimenti vanno scomparendo. Di qui l'esigenza
di una struttura che aiuti le generazioni successive a ricordare. Si può
intendere la memoria in due accezioni. Quasi tutti i popoli, le religioni, le
nazioni hanno vissuto sulla propria carne in un qualche passato tremende
ingiustizie. Anche se la Shoah ha una sua incontestabile e insuperabile unicità.
Il ricordo delle oppressioni, brandito strumentalmente, può divenire mezzo
per una rivendicazione partigiana di propri presumi diritti,
"giustificata" dai soprusi patiti. Molti fondamentalismi oggi
dilaganti
sono anche il frutto di un lavoro perverso sulla memoria». E allora? «Quello
che invece noi vorremmo preservare e valorizzare con questo museo è piuttosto
uno scavo sulla storia come strumento per evitare il ripetersi delle
intolleranze, sul popolo ebraico, ma anche su qualunque altro popolo. Per
tradurre in concreto questa impostazione», continua Zevi, «abbiamo cercato di
sottolineare la banalità del male, cioè il fatto che quelle azioni furono
compiute da persone uguali a noi: pertanto siamo tutti "a rischio" e
per bandire l'intolleranza occorre un lavoro, individuale e collettivo, di lunga
lena. L'intolleranza verso il diverso è spontanea, non è una mostruosa
eccezione.
Quindi il museo cercherà di presentare la Shoah non come un problema degli
ebrei ma dell'umanità». Proprio per questo, nell'area destinata alle
esposizioni temporanee saranno analizzati tutti i fenomeni di intolleranza in
corso, per dire: è la stessa radice del male che sta operando. Il percorso
permanente, inoltre, non riguarda solo la persecuzione degli ebrei, ma anche
quelle verso rom, testimoni di Geova, omosessuali. Ma partiamo per un tour
virtuale del museo. Per arrivare all'edificio si segue una via lungo la quale
saranno ricordati i "giusti" italiani, coloro che aiutarono molti a
sfuggire ai campi di sterminio. Noto a tutti è il caso di Giorgio Perlasca:
ma una ricerca ancora in corso, coordinata da Simonetta Della Seta,
direttore dell'Istituto italiano di cultura a Tel Aviv, ne ha già individuati
400. «Non sempre è facile rintracciare queste persone. Molti consideravano
le loro coraggiose azioni assolutamente normali, un loro dovere, e quindi non
hanno mai fatto nulla perché si risapessero", spiega Di Puolo. Aggiunge
Zevi:
«Con questa "strada dei giusti" si è voluto in qualche modo
sfatare un mito assai resistente: quello del "non si poteva fare
nulla". I giusti hanno dimostrato che ci si poteva opporre, sia pure
rischiando molto». Dall'atrio d'ingresso, ospitato in una costruzione in
mattoni che allude ai forni crematori, i visitatori cammineranno tra due pareti
di filo spinato, racchiuso nel metacrilato trasparente. L'esposizione permanente
prenderà le mosse da uno spazio
dedicato a Primo Levi. Quindi si accederà all'edificio principale, composto di
quattro piani, per circa 3 mila metri quadrati. Il piano terra, con l'ingresso,
il bookshop e altri servizi, ha le pareti di vetro: è questa soluzione che dà
la sensazione che il museo in senso stretto, il cubo nero che racchiude il
secondo e terzo piano, sia sospeso nell'aria (l'intento è quello di far
percepire una minaccia che a tutt’oggi grava ancora su di noi). Nel piano
interrato, invece, esposizioni temporanee, sala conferenze, biblioteca,
mediateca e altri spazi per attività didattiche. Ora siamo dentro il percorso
museale vero e proprio. Il primo ambiente è destinato a turbare gli animi:
è la ricostruzione fedele di una camera a gas. Il museo inizia quindi dalla
fine: tutti i passi successivi porteranno via via alle origini della politica
di sterminio. E tutti saranno in salita: lungo quattro rampe senza scalini.
Salendo s'incontreranno video con le testimonianze dei sopravvissuti,
filmati del Centro di documentazione ebraica contemporanea di Milano e altri che
saranno messi a disposizione dalla Fondazione di Steven Spielberg, fotografie,
oggetti e audio che racconteranno dell'ascesa del nazismo, degli incontri
fra Hitler e Mussolini, della conferenza di Wannsee in cui fu decisa "la
soluzione finale del problema ebraico», delle retate, della prigionia nei
campi, delle leggi razziali fasciste. Al versante italiano della Shoah sarà
dedicato ampio spazio: "Pur consapevoli che la macchina di sterminio fu
realizzata dai nazisti con teutonica precisione", spiega Zevi, «abbiamo
ritenuto importante fare i conti con i comportamenti italiani, verso i quali
per 60 anni c'è stata un'attiva rimozione. Si è cercato di far passare il
mito degli "italiani brava gente", quasi che le persecuzioni degli
ebrei nella Penisola altro non fossero che una poco rilevante propaggine di
quelle tedesche. In realtà vi fu anche in Italia una politica razziale
determinata, culminata nelle leggi del 1938 e sostenuta da settori importanti
della società». Alla fine della salita ci sarà un grande plastico di
Auschwitz, 30 metri quadri. Il visitatore porrà toccare con mano la terribile
macchina messa in piedi dagli efficienti carnefici di Hitler. Il museo dovrebbe
aprire i battenti, secondo l'impegno del sindaco di Roma, Walter Veltroni, il 16
ottobre 2008, ricorrenza della deportazione degli ebrei romani dal ghetto.
L’espresso,
23 febbraio 2006