da L'Espresso 50 anni, vol. 2

21 febbraio 1965 - Come ai tempi di Pio IX

La censura contro "Il Vicario" - Diventa un caso politico il blocco imposto dalla polizia alla messa in scena dell'opera teatrale con la compagnia di Gian Maria Volonté – Il lavoro non ha grandi pregi poetici, ma affronta il tema del silenzio vaticano e di Pio XII durante la persecuzione degli ebrei

di Eugenio Scalfari

State tranquilli, la crisi non ci sarà, e la ragione è molto semplice, elementare: i socialisti, qualsiasi cosa avvenga, non possono uscire dal governo. Essi oggi vivono, o meglio campano, della benevolenza dell’on. Moro, nonostante i toni burbanzosi della loro sinistra di derivazione azionistica. L’on. Moro, che è un politico consumatissimo, sa che nulla ha da temere da questo partito, di cui sopporta con paterna indulgenza i capricci, le scorribande e le intenzionali velleità. Sono parole estremamente severe, e le ha scritte Mario Missiroli sul Messaggero del 14 febbraio, all’indomani della conclusione del comitato centrale del Psi. Mi sono tornate in mente pochi giorni dopo, quando è scoppiato il caso del Vicario. Di per sé l’occasione sembrerebbe di modesta importanza: un lavoro teatrale senza alcun vero pregio poetico, che porta sul palcoscenico il dramma degli ebrei durante l’ultima guerra e il silenzio della Santa Sede e di Pio XII di fronte a una così spaventosa strage. Rappresentato in varie capitali europee, esso ha suscitato ovunque discussioni e polemiche e ha dato luogo in alcuni casi, come per esempio a Parigi, anche a vivaci scontri tra i sostenitori dell’una e dell’altra tesi, cioè dell’innocenza o della colpevolezza di Pio XII per il gravissimo reato di omissione attribuitogli da Hochhuth. Ma soltanto a Roma, com’era d’altra parte prevedibile, una discussione di carattere storico e religioso poteva trasformarsi in un caso politico di importanza nazionale. Ora, dopo l’ordine della polizia agli attori della compagnia Volontà di non rappresentare Il Vicario nel teatrino di via Belsiana, dopo la rappresentazione clandestina tenutasi lunedì sera nella libreria Feltrinelli e, soprattutto, dopo il decreto del prefetto che interdice lo spettacolo in tutta la provincia di Roma, invocando l’articolo 1 del Concordato, il problema è clamorosamente aperto dinanzi al Parlamento, ai partiti e alla pubblica opinione. Può il governo dare un’interpretazione così restrittiva dell’articolo 1 del Concordato, il quale tra l’altro entra in conflitto con le norme costituzionali che garantiscono a tutti i cittadini il diritto alla libertà d’espressione? Possono i socialisti, che di tutte le azioni di governo sono altamente corresponsabili, accettare quell’interpretazione? Sono questi i progressi in tema di libertà e di garanzie democratiche, che due di centro-sinistra hanno fatto compiere al paese? Su questo tema della preponderanza vaticana sulla vita italiana e dei conflitti che essa suscita con le norme costituzionali, sono pochi quelli che possono parlare a buon diritto. I comunisti, tanto per dirne una, difficilmente potrebbero entrare nel novero e non è per artificio polemico, del resto inutile in questi tempi, che qualcuno la sera di lunedì, durante la rappresentazione clandestina del Vicario, domandava ad un parlamentare comunista se una parte notevole di responsabilità per quanto stava accadendo non andasse anche al suo partito che votò, nel 1947, la costituzionalizzazione dei Patti Lateranensi e del Concordato. È una domanda sempre d’attualità, alla quale i dirigenti comunisti preferiscono non rispondere, liberandosene con un’alzata di spalle, tutti presi come sono da problemi del dialogo con i cattolici e del contatto diretto con la Democrazia Cristiana. Eppure gioverebbe assai di più all’unità della sinistra italiana una franca ammissione dell’errore compiuto, di tutti gli esercizi intellettuali dei quali si compiace l’on. Ingrao. Ma veniamo al partito Socialista, il quale proprio in questi giorni, in ottemperanza alle deliberazioni del suo recente comitato centrale, sta verificando se esistano o se manchino le condizioni per un rilancio del governo di centro-sinistra. Proprio mentre quest’accertamento è un atto (anzi, mentre qualcuno sostiene che esso si sia già concluso positivamente prima ancora di cominciare) ecco che la questione laica viene gettata quasi a sbarrare il passo dell’on. De Martino e dell’on. Nenni verso una ripresa più vigorosa della politica governativa. È una questione inesistente. È un falso problema, è, come ha talvolta ripetuto l’on. Nenni, un lussi borghese di fronte ai ben più gravi e incombenti problemi del lavoro, del salario, della povertà? Vediamo. I socialisti parlano molto spesso, nelle loro riunioni di partito, della loro forza contrattuale, che secondo gli uni sarebbe negli ultimi tempi diminuita, secondo altri aumentata. Difficile dire che abbia ragione e chi torto in astratto: la forza contrattuale di un partito, cioè il potere d’influire, con le proprie iniziative e con la propria presenza, sulla politica generale d’un governo di coalizione, si misura infatti in concreto, nelle piccole come nelle grandi occasioni. Un pessimista potrebbe con qualche ragione sostenere che, a partire dall’8 gennaio 1963, la forza contrattuale dei socialisti sia non soltanto diminuita, ma del tutto scomparsa. Quel giorno infatti, realizzatesi nei mesi precedenti le due grandi riforme della nazionalizzazione dell’industria elettrica e dell’imposta d’acconto sui dividenti azionari, la Democrazia Cristiana mise il guinzaglio al governo Fanfani e dette inizio a un’ondata di ritorno che è tuttora in pieno svolgimento. Ma forse un pessimismo così totale è ingiustificato. Forse ha ragione Pietro Nenni quando indica ai suoi compagni l’asprezza degli ostacoli che sono stati affrontati e suggerisce pazienza e tenacia per portare a compimento un disegno politico di cui sarebbe stato infantile attendersi il successo in un breve intervallo di tempo. Ora però siamo dinanzi ad alcuni fatti molto precisi, che non vertono su materie opinabili e che non consentono facili compromessi, poiché sono attinenti alla sfera dei principi con i quali nessun partito può giocare, e meno che mai un partito che ha alle spalle settant’anni di storia e di lotte. Primo fatto, che abbiamo indicato all’opinione pubblica la scorsa settimana: al di fuori di ogni controllo parlamentare, alcuni ministri della Repubblica, amministrando lo Stato quasi fosse un bene patrimoniale, hanno consentito alla Santa Sede una deroga fiscale che ha fatto perdere in tre anni quaranta miliardi all’erario e che introduce nella nostra legislazione una deroga eccezionale ed inammissibile. Secondo fatto: il ministro dell’Interno e le autorità da lui dipendenti vietano la rappresentazione del Vicario con procedure inammissibili e con sotterfugi grotteschi, dando un’interpretazione del Concordato che, se accettata, riporterebbe la capitale dello Stato italiano ad una situazione non diversa da quella precedente al 1870. che faranno i socialisti? È difficile dire quale sia la forza contrattuale del partito, ma è certo che se questa forza c’è, questo è il momento d’usarla. Piegare la testa di fronte a questi due fatti e poi venir a parlare di rilancio del centro-sinistra sarebbe, a dir poco, indecoroso. A meno che non abbia ragione Missiroli, a meno che cioè i socialisti, qualsiasi cosa avvenga, non possano ormai uscire più dal governo e vivano soltanto sulla paterna indulgenza del presidente del Consiglio. Ma allora il discorso dovrebbe, necessariamente, essere di tutt’altra natura.

Da L’Espresso 50 anni, vol. 2, 21 febbraio 1965, per gentile concessione

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