L'espresso

Che razza di incredibili razzisti

Da una parte gli “italici”, pieni di virtù. Dall’altra i “non ariani”: ebrei, africani, cinesi… Un libro ripercorre le deliranti pagine della rivista che durante il fascismo inneggiava all’antisemitismo – L’antologia suona a vergogna degli autori ma anche del nostro paese, e non basta dire che altrove è andata peggio

di Umberto Eco

Che cosa sia stato l'antisemitismo e le persecuzioni razziali che ne sono conseguite, tutti più o meno lo sanno, anche i più giovani. Che cosa sia stato l'antisemitismo italiano è meno noto. Vige caso mai la persuasione che, rispetto a quello nazista, l'antisemitismo fascista sia stato più blando e d'altra parte si dice (ed è vero) che tanti bravi italiani hanno salvato tanti ebrei dalla deportazione, e questo in fondo pare assolvere il nostro paese. Italiani brava gente, dunque. Ma nel 1938 il re Vittorio Emanuele III firmava le leggi razziali ed esisteva in Italia una consistente corrente di pensiero razzista e antisemita. Stiamo parlando di pensiero: il pensiero, certo, non ha nulla a che fare, direttamente, coi campi di sterminio, ma in realtà li giustifica e in qualche misura li prepara e li accompagna, anche se sono stati altri ad allestirli. Alcuni hanno sentito parlare de "La difesa della razza", la rivista dell'antisemitismo e del razzismo italiano, a cui hanno collaborato alcuni tra i nomi più famosi della cultura dell'epoca, più una coorte di pennivendoli che oggi definiremmo "fondamentalisti". La rivista, intesa a proclamare la superiorità della razza italica, non si scagliava soltanto contro gli ebrei ma contro tutte le etnie non "ariane", dai cinesi agli africani, mostrando coi suoi pseudo-reperti antropologici come l'inesorabile inferiorità di queste razze apparisse dai tratti ripugnanti del viso, dalla forma del cranio, dai parti mostruosi provocati da matrimoni misti. Ebbene, ecco ora una antologia commentata de "La difesa della razza", non solo degli articoli ma anche delle illustrazioni, talora più eloquenti degli scritti. È difficile oggi leggere queste pagine senza provare un sentimento a metà tra l'orrore e il sarcasmo: come è possibile che queste cose siano state scritte, che molti le abbiano lette, che tantissimi le abbiano credute, che la maggioranza degli italiani le abbia ignorate, o tollerate, o lasciate passare come innocente esercizio filosofico e parascientifico? Eppure questo è accaduto. Questa antologia suona a vergogna degli autori che raccoglie (il cui nome deve essere consegnato agli annali della paranoia criminale) ma suona anche a vergogna del nostro paese, e non basta dire che in altri paesi si è fatto di peggio. Quanto si può leggere e vedere qui basta e avanza per spingerei a dolorose riflessioni e per renderei preoccupati per le molte pubblicazioni o siti Internet che ancora oggi riprendono questi argomenti.


Mimmo lo manda Spielberg

 di Angiola Codacci-Pisanelli

Una bella giornata di sole, una piazza straripante di gente. Sul balcone c'è il Duce più tronfio, quello delle occasioni solenni. In basso una folla pronta ad applaudire le nuove leggi contro gli ebrei, «nemici irreconciliabili del fascismo». Comincia così, nel 1938 a Trieste, la storia infame delle leggi razziali in Italia. E comincia così "Volevo solo vivere", il film che Mimmo Calopresti ha tratto dalle interviste a ebrei italiani sopravvissuti alle deportazioni, che RaiCinema manderà in sala nei prossimi giorni dopo l'anteprima per il Giorno della memoria. Alla base del film ci sono le interviste per la Shoah Foundation, la raccolta di testimonianze sull'Olocausto finanziata da Steven Spielberg, che è produttore di questo film. Quel materiale sterminato ora è stato affidato a registi "puri" - «ad "autori" come me, non storici, non documentaristi, non esperti di ebraismo», spiega il regista - perché ne traggano film nazionali. Calopresti, che prima di "La seconda volta" e "La parola amore esiste" ha realizzato vari documentari, in "Volevo solo vivere" sceglie nove testimoni tra i 400 censiti da Spielberg: persone diverse come la dottoressa Wanda Nissim e la bambina Anda Bucci, la borghese Liliana Segre e la popolana Settimia Spizzichino. E poi Schlomo Venezia, che ripuliva le camere a gas, e l'interprete di Mengele, Arminio Wachsberger. Il film racconta l'orrore - e si chiude non con la salvezza e la liberazione, ma con un cadavere calato in una fossa comune - ma fa risaltare la forza dei sentimenti e perfino dell'umorismo delle vittime. E la cattiveria degli aguzzini: «Perché quello che più mi fa impressione, nella storia dell'Olocausto, è quanto noi uomini siamo pericolosi, quanto possiamo diventare cattivi».


Eco legge Evola

di Antonella Fiori

Il testo di Umberto Eco, che anticipiamo in queste pagine, è l'introduzione al libro "La difesa della razza. Antologia. 1938-1943" (Bompiani), a cura della studiosa Valentina Pisanty, che ha analizzato i 118 numeri della rivista diretta da Telesio Interlandi, organo ufficiale dell'antisemitismo e del razzismo italiano. L’impostazione data da Valentina Pisanty in questo suo studio è all'opposto della tesi di Renzo De Felice sul blando razzismo nostrano. Intorno alla rivista fervevano dibattiti infuocati, come quello tra Giorgio Almirante, propugnatore del "razzismo biologico", e Julius Evola che porta avanti la teoria delle "razze dello spirito". Innumerevoli gli stereotipi razzisti pubblicati. Gli inglesi sono "perfidi". "Spietati" i cinesi. "Vanagloriosi" i francesi. "Non pienamente umani" gli aborigeni australiani. All'ultimo gradino della scala gli africani. Posto d'onore nella rivista per lo stereotipo dell'ebreo deicida, usuraio, capitalista e comunista, rappresentato come avvoltoio rapace o come un ragno che tesse una tela occulta per la conquista del mondo. Immagine che ricorda le tesi negazioniste odierne sull'Olocausto, che si rifanno alla teoria della cospirazione e del complotto ebraico, da sempre nocciolo duro dell'antisemitismo.

L’espresso – 2 febbraio 2006

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