L'espresso
Gli orrori del nazifascismo – Ingiustizia è fatta
Le
violenze sui civili italiani tra il ’43 e il ’45. In un libro quei
drammatici eventi e il silenzio imposto sulle stragi
di
Chiara Valentini
Se
qualcuno dubitasse che l’Italia è ancora ben lontana dall’aver chiuso i
conti con la sua storia recente basterebbe questo libro secco e drammatico di
Franco Giustolisi, “L’armadio della vergogna” (Ed. Nutrimenti) per
costringerlo a ricredersi. In uscita proprio nei giorni in cui la commissione
parlamentare d’inchiesta sulle Stragi nazifasciste ha deciso di decretare 60
dei 695 fascicoli sugli orrori e le violenze commessi tra il 1943 e il ’45 ai
danni di 15 mila civili inermi, “L’armadio della vergogna” dimostra prima
di tutto che questa giustizia arriva troppo tardi. Eppure è abbastanza
eccezionale la strada all’accertamento della verità che Giustolisi, firma
storica di questo settimanale, era riuscito a percorrere dal lontano 1994,
quando un tenace magistrato militare, Antonino Intelisano, aveva scoperto, nel
corso del procedimento di estradizione di Erich Priebke dall’Argentina,
l’esistenza di un misterioso armadio alla Procura generale militare. Come via
via era venuto alla luce, in quel vecchio mobile erano stati sepolti i dossier,
ricchi di nomi e testimonianze, arrivati dopo la Liberazione dai luoghi in cui
erano stati commessi omicidi orrendi, stragi e stupri. Erano le prove preziose
di quella “guerra ai civili”, di quei massacri pianificati dall’alto ed
eseguiti dall’esercito tedesco o dalle milizie repubblichine, di cui alcuni
storici hanno recentemente ricostruito le coordinate. Ma quelle prove, proprio
quando la magistratura militare si preparava a istruire i primi processi, erano
state messe sottochiave, pare su input di uno dei governi democristiani in
carica dopo il ’47. D’altra parte si è saputo di recente da un libro dello
storico Michele Batini che sulle stragi italiane gli Alleati, nello stesso
periodo, avevano cominciato a istruire una specie di secondo processo di
Norimberga, che però era stato abbandonato. La ragione di questi insabbiamenti
paralleli sarebbe stata nella volontà di non esagerare a criminalizzare la
Germania, alleata dell’Occidente nella nascente Guerra fredda. E anche di non
aiutare indirettamente la crescita delle sinistre italiane. Che poi i delitti
destinati a restare impuniti fossero fra i più raccapriccianti doveva essere
sembrata una questione secondaria. In questi anni Giustolisi si è dedicato in
particolare al caso di Sant’Anna di Stazzema (che per riconoscenza gli ha dato
la cittadinanza onoraria). Le 570 vittime del paesino della lucchesia, fra cui
vecchi, bambini e donne incinte, massacrati in un solo giorno dalle SS, per
sessant’anni non erano mai state evocate in un’aula giudiziaria. Adesso,
grazie al dossier uscito dall’armadio, sta finalmente per cominciare un
processo. Ma gli imputati (quelli ancora vivi sono sei, tutti ultraottantenni)
saranno giudicati in contumacia, visto che la Germania non concede
l’estradizione. Potrebbero, in seguito, essere processati in patria, ma data
l’età sembra improbabile che si arrivi in tempo. Ugualmente senza giustizia
sono destinati a restare più di 500 morti di Fivizzano (Massa Carrara), di cui
una parte impiccati con il filo spinato e abbandonati all’aperto vicino al
cartello “Chi seppellirà i cadaveri sarà passato per le armi”. O i 39 poveri contadini di Conca della Campania, sterminati in un prato
dove, ha raccontato la figlia di uno di loro, fu tanto il sangue versato che
l’anno dopo l’erba spuntò rossa. E intanto sono morti o irrintracciabili
sia assassini che testimoni della strage di 185 civili a Sant’Angelo di
Godilo, fucilati dopo essere stati trascinati per decine di chilometri a fare da
scudi umani ai nazisti in ritirata. Unico aspetto positivo in tanto orrore è
che il silenzio è incrinato e arrivano da molte parti d’Italia testimonianze
di altri delitti che non facevano parte dei dossier dell’armadio. Anche questo
materiale servirà difficilmente alla giustizia. Ma potrà integrare una storia
dove le revisioni, ultimamente, erano arrivate da una parte sola.
Aprite
quei dossier
Intelisano,
il magistrato che indagò
Antonino
Intelisano, il magistrato militare che aveva scoperto l’esistenza dei dossier
nascosti, è diventato nel frattempo il procuratore militare capo di Roma. E non
ha smesso di occuparsi della vicenda delle stragi.
Dottor
Intelisano, che cosa era successo dopo che lei aveva potuto vedere il contenuto
del cosiddetto armadio della vergogna?
«Dopo
aver visto quei fascicoli, ne avevo avviati con atto formale circa 130 alle
procure competenti. Purtroppo però i procedimenti sono stati quasi tutti
archiviati, per morte dei colpevoli o per prescrizione, o anche per le difficoltà
a rintracciare gli autori ei fatti».
Quali
sono i casi più significativi?
«È
stata emblematica l’indagine sull’uccisione del sindacalista Bruno Buozzi,
prelevato dai tedeschi da via Tasso per essere portato in Germania e poi
ammazzato improvvisamente con altri alle porte di Roma. Qualche tempo fa avevamo
avuto la fortuna di trovare i testimoni oculari. Ma dopo quasi sessant’anni
non erano stati in grado di identificare nei vecchi uomini di oggi i carnefici
di allora».
Da
L’espresso, 22 aprile 2004