Diario

Gli inglesi deportarono i tedeschi in Australia e nelle baracche dello stesso campo, a Tatura, finirono prigionieri nazisti ed ebrei

Il lager agli antipodi

Eric Salerno

 

Il lago è rosa. Cristalli di sale scintillanti: una distesa di rubini tra le dune di sabbia, effetto di un microrganismo capace di vivere dove ogni altra vita è impossibile. Intorno, una vegetazione bassa aggrappata al suolo per non essere trascinata via dal vento. Fiori piccoli dai colori intensi. Sono arrivato alla storia della Dunera dalla porta posteriore. Un cartello, di quelli in legno con le illustrazioni plasticate che si trovano lungo i percorsi dei parchi nazionali, spiegava come durante la guerra una trentina d'italiani erano stati portati qui per raccogliere il sale, in uno dei numerosi deserti australiani dove abbondano canguri ed emù, grandi uccelli che non sanno più usare le ali, e stormi battaglieri di mosche affamate. Mi ricordava Toudenni, nel cuore del Sahara, dove per decenni i prigionieri politici del Mali erano (forse lo sono ancora oggi) costretti a scavare i blocchi di salgemma e a caricarli sui dromedari per la lunga traversata verso i mercati africani. Gli italiani facevano parte di un gruppo di alcune centinaia d'internati a Tatura, poche centinaia di chilometri a sud-est, sempre nello stato di Victoria, 160 chilometri sopra Melbourne. Internati, non prigionieri di guerra. La differenza è fondamentale. I secondi sono combattenti. I primi, come annotano nel memoriale costruito a Tatura, erano civili che da tempo risiedevano in Australia o in altri territori alleati ed erano considerati un rischio per la sicurezza, a causa della loro nazionalità. Enemy aliens, stranieri nemici. Tedeschi, italiani. I campi a Tatura erano quattro. Il primo ospitava cittadini tedeschi portati via dalle loro case in Australia. Due erano sorti su richiesta della Gran Bretagna per racchiudervi un gruppo di famiglie tedesche provenienti dalla Palestina (i «templari»), professionisti tedeschi dall'Iran, famiglie tedesche deportate da Singapore e Malesia. E poi c'erano rifugiati austriaci e tedeschi, tutti maschi, trasportati in Australia a bordo della motonave Dunera. «Potrebbero essere agenti nazisti», fu la spiegazione data a chi voleva sapere. Il viaggio, l'inizio della loro storia, di questa storia, risale al luglio 1940, un anno dopo l'inizio della guerra, quando sulla nave da trasporto furono stipati poco più di duemila ebrei tedeschi e austriaci - il più giovane aveva 18 anni, il più vecchio 60 - assieme a 240 prigionieri tedeschi e a 200 italiani. In Australia sono conosciuti come i «Dunera boys», i ragazzi della Dunera. La nave era stata concepita per ospitare in tutto, tra equipaggio e passeggeri, non più di 1.500 persone. Le condizioni a bordo, per il sovraffollamento, ma non soltanto, erano disumane. Il trattamento da parte delle guardie britanniche, violento. E la tensione tra gli ebrei e i prigionieri tedeschi nazisti era palpabile. Gli ebrei, molto tempo dopo, consegnarono all'Alto commissario di Sua maestà britannica in Australia una relazione in cui raccontarono nel dettaglio quelle sette settimane sui mari. Appena imbarcati a Liverpool furono perquisiti e privati di quanto portavano nelle tasche. Le cose di valore furono messe in sacchi di iuta scomparendo per sempre, o finirono direttamente nelle tasche dei soldati. Portafogli e borse degli internati, svuotati, furono lasciati a terra o gettati in mare. Gli appelli degli ebrei venivano respinti come fu respinto ogni loro pur modesto tentativo di reagire alla violenza subita. La situazione - si legge nel documento - doveva soltanto peggiorare con il passare del tempo. I soldati, baionette innestate, perquisivano periodicamente i locali degli internati. «Libri sacri, bibbie, al­cune salvate dalla Germania in fiam­me, furono portati via». Uno scempio ancora più grave per chi era giunto in Gran Bretagna dopo essere fuggito dai campi di concentramento nazisti in Germania. Ciò che fu rubato o gettato in mare rappresentava tutto quanto era rimasto loro. La dignità? Un tenente inglese, ubriaco, aggredì due internati che erano usciti dai confini dei loro quartieri insultandoli: «Cani ebrei tedeschi! Figli di cani». Molti guardiani e membri d'equipaggio della Dunera, a sentire alcuni sopravvissuti di quella terribile avventura, agivano «spinti da un eccessivo zelo antitedesco». Walter Travers, un ebreo austriaco che, come altri «Dunera boys», alla fine della guerra scelse di restare in Australia, ogni anno s'incontra con altri reduci di quella terribile avventura, e parla apertamente di antisemitismo. «I carcerieri odiavano i tedeschi ma disprezzavano gli ebrei». Un altro ebreo austriaco non seppe reggere al tormento e scelse la morte, gettandosi in mare. I superstiti parlano della paura, per tutti, di essere colpiti da un siluro lanciato dalla marina tedesca sempre a caccia di naviglio alleato. Numerose altre navi con lo stesso tipo di carico umano - ebrei rifugiati dalla Germania nazista e/o sospetti nemici - furono attaccate e affondate mentre viaggiavano verso il Canada. E, almeno una volta, anche la Dunera si è trovata nel mirino degli U-boat tedeschi. L'attacco fallì e non fu ripetuto. Fu proprio il gesto di disprezzo dei soldati inglesi, che avevano gettato in mare molte cose appartenenti agli internati, a salvare tutti. Borse e indumenti con vecchie etichette di sarti e botteghe tedesche convinsero l'equipaggio del sommergibile della marina hitleriana che la nave da trasporto aveva un carico di loro compatrioti prigionieri di guerra. Le storie personali, alcune raccontate dai superstiti e conservate negli archivi di Stato in Australia, altre riportate nel volume di Benzion Parkin Gli internati della Dunera, sono avvincenti e sconcertanti. Come quella di Max Schiff. Faceva parte del movimento sionista giovanile e nel 1938 fu arrestato e portato in un campo di concentramento. Una volta rilasciato, decise di fuggire dalla Germania e, assieme alla famiglia, s'imbarcò su una crociera diretta a Haifa. Scesero a terra nella speranza di far perdere le loro tracce e rimanere in Palestina, ma furono rintracciati dalla polizia e costretti a tornare a bordo. A Rotterdam, Schiff si gettò in mare per non tornare in Germania, ma fu catturato e consegnato ai tedeschi. Riuscì a scappare di nuovo e raggiunse l'Inghilterra, dove fu internato e deportato sulla Dunera. Qualche anno dopo, agli internati ebrei fu consentito di arruolarsi nelle forze armate britanniche per combattere il Reich. Max Schiff non scese mai su un campo di battaglia. Morì quando la nave che lo stava riportando in Inghilterra fu affondata da un siluro tedesco. Nel loro libro Collar the Lot, Peter e Leni Gillman raccontano la storia della caccia agli «stranieri nemici» in Inghilterra dopo l'inizio della guerra. Un episodio, trascurato dalla memoria storica italiana, riguarda alcune migliaia d'internati italiani che furono imbarcati sull'Arandora Star con 292 civili tedeschi, tra i quali alcuni ebrei. La nave venne silurata nell'Atlantico e alcuni degli italiani sopravvissuti, dopo essere stati tratti in salvo e ricondotti in Inghilterra furono imbarcati sulla Dunera per quel famoso viaggio verso l'Australia. David Scott, allora assistente sottosegretario al ministero degli Esteri di Londra scrisse una nota personale diretta al suo capo per fornire un giudizio sulle persone di cui lui e altri funzionari britannici si dovevano occupare nel mettere in pratica rastrellamenti, internamenti e deportazioni. Il documento, dal sapore inconfondibilmente razzista, è pubblicato dai Gillman. «Desidero ora esplicitare la mia personale impressione su: a) i tedeschi nazisti, b) gli italiani e c) gli ebrei tedeschi e austriaci. Quanto ai tedeschi nazisti, avendo avvisato questo gruppo, fin da prima di salpare, dei miei metodi - che avrebbero procurato loro inevitabili disagi, aggravati dalla eventuale non collaborazione - il loro comportamento risultò esemplare. I tedeschi nazisti si sono subito dimostrati geneticamente migliori, una razza onesta e sincera. Non esiterei tuttavia a definirli altamente pericolosi. Gli italiani sono sporchi per abitudine, senza uno straccio di disciplina, e sono dei codardi oltre ogni limite. Gli ebrei possono solo essere descritti come bugiardi, incontentabili e arroganti, e ho ormai rinunciato a volerci ragionare. Si riferiscono a ogni persona, fosse questa il primo ministro o il presidente degli Stati Uniti, fingendo impossibili confidenze, e ottenendo di non poter essere creduti in una sola parola o gesto da loro attuati». La Dunera approdò nel porto di Sydney il 7 settembre. E il suo carico umano, prigionieri di guerra italiani e tedeschi, internati italiani e soprattutto tedeschi ebrei, fu trasportato nel campo di Hay, nel Nuovo Galles del Sud. Una tappa breve, come avrebbero scoperto. La loro destinazione finale, infatti, era Tatura, dove l'allestimento del luogo d'internamento e prigionia era stato completato in tempo per accogliere questo strano, incompatibile miscuglio d'ospiti. Tatura era lontano da tutto. Soprattutto dalle città e dalla costa. Baumgartner, commerciante ebreo tedesco, protagonista di uno dei romanzi dell'indiana Anita Desai (Notte e nebbia a Bombay), racconta come, dopo essere fuggito in India di fronte al crescente odio razzista nella Germania nazista, fu internato dagli inglesi, allora padroni di quella parte del mondo, in un campo allestito in fretta e furia. Era insieme con altri tedeschi, ma loro erano convinti seguaci di Hitler. Ricorda le manifestazioni dei nazisti prigionieri, il loro inneggiare alla razza ariana, le loro parole d'odio per gli ebrei. E ricorda come i guardiani inglesi lasciassero fare evitando accuratamente d'intervenire per impedire che lui, come altri ebrei tedeschi, fosse aggredito. Su molti internati di Tatura pesano ricordi simili. Ai nazisti prigionieri nel campo australiano era consentito di festeggiare il compleanno del Führer, celebravano persino l'anniversario della Notte dei cristalli, indossavano sull'avambraccio fasce con la svastica e sventolavano la bandiera nazista anche se questo loro comportamento infastidiva, preoccupava, spaventava gli ebrei. E non soltanto loro. Georg Huelscher era uno dei giovani tedeschi approdati in Australia subito prima della guerra. Fu internato appena il governo della colonia cominciò a fermare gli «stranieri nemici». Trasferito a Tatura, scrisse alle autorità chiedendo di venire messo da qualche altra parte. «Non è facile per me o altri convivere in un campo con il nemico nazista». Mesi dopo, nel settembre 1941, chiese al tribunale per gli stranieri «una cortesia»: «Se non mi rilasciate almeno non rimandatemi in mezzo ai tedeschi e agli italiani. Non ho niente a che spartire con loro». Nel 1942, dopo l'attacco giapponese a Pearl Harbour, le autorità australiane si resero conto, finalmente, dell'errore commesso. Il grande cartello con la scritta «campo di concentramento» fu sostituito perché non venisse confuso con le strutture naziste di cui tutto il mondo aveva da tempo cominciato a parlare. La situazione a Tatura e Hay cambiò radicalmente. Agli internati ebrei, definiti a questo punto «stranieri amici» era concessa la possibilità di arruolarsi con le truppe alleate. Circa la metà degli internati ebrei arrivati con la Dunera tornarono in Gran Bretagna, mentre molti degli altri si arruolarono nelle forze armate australiane. In quanto stranieri, però, non fu loro consentito di portare armi e la maggioranza di loro si trovò a caricare e scaricare navi e treni, rendendo un servizio allo sforzo bellico del Paese che, alla fine della guerra, avrebbero scelto come la loro nuova patria. Gli anziani e gli inabili rimasero ospiti dei campi fino al 1944. I guardiani della Dunera subirono una corte marziale, alcuni furono condannati e i passeggeri della motonave furono in qualche modo risarciti dal governo britannico per i loro beni scomparsi durante il viaggio.

da «Diario del mese», 24 gennaio 2008, per gentile concessione

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