Diario

Tre sorelle olandesi facevano ballare l'Italia e piacevano al Duce. Ma la loro mamma era ebrea. E le Lescano finirono in disgrazia

Il Trio non ariano

Gabriele Eschenazi

 

Nell'Italia fascista l'allegria è bandita. Al regime le parole mettono più paura delle armi. Peggio ancora se quelle parole sono accompagnate da una musica dai toni americaneggianti. Questo mix è offerto agli italiani da tre ragazze olandesi di origine ebraica. E il Trio Lescano, che dal 1936 al 1943 spopola nei teatri e soprattutto alla radio. Le loro filastrocche a ritmo di swing, innocenti solo in apparenza, fanno da contraltare alle marce, alle canzoni fasciste intrise di nazionalismo. Inutilmente il regime cerca di cavalcarne la popolarità fino a quando decide di ridurle al silenzio, anche a causa della loro origine ebraica. Alexandra, Judith e Kitty Leschan arrivano in Italia dall'Olanda nel 1936. Il padre, figlio dell'ambasciatore ungherese, è un acrobata. La madre, ebrea olandese, è una cantante d'operetta. Nel loro Paese d'origine le due sorelle più grandi, Alexandra (del 1910) e Judith (classe 1913) si esibiscono come cantanti in commedie musicali, col nome di Sunday Sisters. Fanno il verso alle più famose Andrew Sisters, americane. La prima ad arrivare in Italia, per entrare nel cast di un'opera della Scala di Milano come acrobata, è Alexandra, introdotta nell'ambiente dalla madre. Il ruolo di ballerina le sta stretto e per questo decide di darsi al canto prendendo lezioni dal maestro Carlo Prato, che rimane piacevolmente impressionato dalle sue qualità canore. E lui a sponsorizzarla e a inventarsi l'idea del trio. Ha una passione per il jazz, bandito in Italia perché ritenuto dal fascismo «afro-demo-pluto-giudeo-massoepilettoide», e intuisce che forse è possibile aggirare l'ostracismo del regime creando una versione italiana di quel genere musicale americano. Alexandra chiama con sé dall'Olanda le altre due sorelle Judith e Kitty (nata nel 1919) e insieme a loro inizia un duro tirocinio, volto soprattutto a ridurre al minimo l'accento straniero. Ma proprio quell'accento diventerà parte del loro carattere distintivo, quel non so che di esotico che piace in un'Italia molto pro­vinciale e con le frontiere sbarrate. Nunzio Filogamo le lancia alla radio dell'Eiar (l'antica Rai) e il successo è immediato. La loro prima canzone s'intitola È arrivato l'ambasciatore. I loro motivetti ritmati e spensierati rompono all'improvviso la monotonia di palinsesti a base di discorsi di gerarchi e notizie di propaganda. Sono tre voci che sembrano una sola: è questo il primo segreto vocale del loro successo, e crescono i compositori che propongono loro canzoni ispirate al genere swing, già nel repertorio di Natalino Otto e di Alberto Rabagliati. Il secondo segreto è la loro capacità di rompere tabù con leggerezza. Raccontano che La gelosia non è più di moda e che in una donna Le gambe piacciono di più. C'è uno spirito trasgressivo nelle parole, nelle loro voci, ma anche nel loro aspetto. Nei teatri sanno coniugare le capacità di cantanti con quelle di ballerine. E per questo i locali notturni fanno a gara per accaparrarsi le loro prestazioni. «Le tre grazie del microfono», «Il fenomeno del secolo», «Le sorelle che realizzano il mistero della Trinità Celeste», titolano i giornali con grande enfasi. Con la popolarità salgono anche i guadagni, che raggiungono nel 1939 la stratosferica cifra di mille lire al giorno, proprio quando Gilberto Mazzi rende popolare Se potessi avere mille lire al mese. Viaggiano in Balilla fuoriserie con autista e si riempiono gli armadi di vestiti, che però, in mancanza di stilisti, vengono disegnati dalla stessa Giuditta. Dopo essersi conquistate la stima di colleghi come Norma Bruni, Ernesto Bonino e Alberto Rabagliati, di aperitivo in aperitivo si fanno largo nell'alta società fino alla Casa reale. Una sera, a teatro, il principe Umberto, colpito dal loro fascino, chiede di conoscerle e poi le scrittura per la sua festa di carnevale, dove si esibiscono di fronte al senatore Giovanni Agnelli e al Duce in persona. Mussolini, dopo averle elogiate pubblicamente, si meraviglia che non posseggano la tessera delle donne fasciste. «Siamo straniere e non amiamo fare politica, ma come vede la salutiamo romanamente», risponde per tutte e tre Alessandra. Questa risposta non piace alla gerarchia fascista, che comincia a guardare con sospetto a queste tre ragazze italianizzate, ma non italiane, interpreti di brani dal sapore americano e versi sul filo dello scandalo come: «Due manine deliziose ti sapranno accarezzar, ma due gambe un po' nervose ti faranno innamorar». E poi, le tre Lescano non solo non hanno aderito al fascismo, ma hanno pure la madre ebrea, elemento pesante a loro sfavore in tempi di leggi razziali. Il 15 novembre del 1939 un documento le mette momentaneamente al sicuro. Si tratta di un attestato del ministero dell'Interno, dove si dichiara che le «tre interessate devono considerarsi a tutti gli effetti di legge non appartenenti alla razza ebraica». Alla madre non arriva un analogo attestato, nonostante le tre figlie ne facciano esplicita richiesta a Mussolini, come risulta da un carteggio venduto all'asta nell'ottobre del 2006. Mamma Lescano si rifugia in montagna con l'aiuto delle figlie che intanto finiscono nei guai per la canzone Maramao perché sei morto, che riprende una vecchia tiritera del 1831 sulla morte di un gatto. Una scritta col titolo di questo brano viene ritrovata a Livorno alla base del monumento che si sta erigendo in onore di Costanzo Ciano, padre di Galeazzo Ciano da poco scomparso. Scoppia uno scandalo e il maestro Mario Panzeri, autore della canzone, e le Lescano vengono accusati di aver diffuso una canzone antifascista. L’ossessione per questo tipo di canzoni non è nuova nel regime, che già nel 1936 aveva guardato con sospetto Crapa pelada di Gorni Kramer, troppo collegabile al Duce. L’accusa cade quando Panzeri riesce a dimostrare di aver composto la canzone prima della morte di Ciano. D'altra parte anche Galeazzo non era insensibile al fascino delle tre sorelle olandesi e non insistette sull'accusa. Nel 1941 sembra arrivare per il Trio Lescano il momento dell'integrazione definitiva. Ricevono la cittadinanza italiana. Ancora una volta però si rifiutano di aderire al Partito fascista e al sabato, quando negli studi dell'Eiar tutti i funzionari indossano la camicia nera, loro evitano di adeguarsi così come del resto fanno tutti gli altri cantanti e musicisti. Godono ancora dei favori di Mussolini, che le invita a Palazzo Venezia, ma le maglie del regime si stringono sempre più verso chi cerca di mantenere una sua autonomia. La guerra incombe e l'ironia nelle canzoni delle tre ragazze olandesi insospettisce. Cantano Pippo non lo sa e sembra che alludano al gerarca Starace; cantano Camminando sotto la pioggia e sembra che sottintendano le bombe inglesi che piovono dal cielo. I tedeschi occupano l'Italia e le loro canzoni sono bandite. «Minano il morale del popolo italiano di fronte alla minaccia del nemico», è la spiegazione. Escluse dalla radio, alle Lescano non rimangono che i teatri, ma non per molto. La loro carriera si interrompe bruscamente nel 1943 al cinema Grattacielo di Genova. I nazisti irrompono durante un loro spettacolo e le arrestano. L’accusa è di essere ebree e di aver inviato messaggi criptati al nemico attraverso la canzone Tuli-tuli-tulipan, ispirata alla loro origine olandese. La denuncia, secondo le stesse Lescano, sarebbe partita dal Trio Aurora, tre coriste italiane che le avevano imitate e si erano allineate al regime. Per un mese le tre cantanti si ritrovano rinchiuse nel carcere di Marassi e Judith è pure costretta a fare da interprete per i tedeschi durante gli interrogatori dei prigionieri italiani. Le accuse alla fine non reggono e le tre vengono liberate, forse anche per intervento del principe Umberto. Peggior sorte tocca al loro violoncellista ebreo Daniele Funaro che, arrestato, non sfugge alla deportazione. Fuori dal carcere, per le Lescano la maggior preoccupazione è di provvedere alla madre nascosta a Saint Vincent a casa di un partigiano. Rifiutano ogni proposta di tornare a cantare, sia per i tedeschi, che le contattano, sia per altri. Adottano un profilo basso per non provocare il regime. Per sopravvivere e mantenere uno stile di vita dignitoso sono costrette a dar fondo ai loro risparmi. Alla fine della guerra i loro debiti ammontano a quattro milioni di lire e l'unica soluzione è tornare dietro ai microfoni. Il pubblico le vorrebbe di nuovo, ma con l'Italia qualcosa si è rotto. Il primo settembre del 1945 danno l'addio al pubblico radiofonico italiano con un'esibizione in diretta: cantano accompagnate da un'orchestra diretta dal maestro Alberto Semprini. Scelgono di proseguire la carriera in Sudamerica. Nino Gallizio, impresario teatrale e fidanzato di Sandra, organizza per loro una tournée, ma le sorelle non vanno più d'accordo. Caterinetta, la più giovane, è decisa a rimanere in Italia e a tentare la carriera da solista. Non si fida di Gallizio e la sua defezione mette in crisi le altre due sorelle, costringendole a cercare una sostituta. Ma l'impresa si rivela tutt'altro che agevole. Lucia Mannucci del Quartetto Cetra e altre coriste di livello rifiutano. Il compenso proposto è troppo misero. Ad aiutare Sandra e Giuditta provvede ancora una volta il maestro Prato, che manda loro dall'Eiar un'esordiente di talento, Maria Bria, 21 anni, di Torino. «Fu la mia grande occasione e per questo accettai di lavorare senza compenso ma solo a rimborso spese», racconta oggi Maria Bria, che vive a Chivasso, vicino a Torino. «In soli venti giorni dovetti imparare tutti gli arrangiamenti delle canzoni, che erano piut­tosto difficili. Loro, poi, cantavano in cinque lingue (francese, tedesco, inglese, spagnolo e italiano) e non fu facile con i testi. Erano molto esigenti e non è un caso se nelle loro canzoni non c'era mai una sbava tura». Dopo un anno e mezzo di rodaggio in giro per l'Italia, durante il quale nessuno si accorse della sostituzione (la voce, alla radio, era pressoché identica), il rinnovato Trio parte nel 1948 per il Sudamerica. Per finanziare il viaggio le Lescano vendono tutte le loro proprietà, compresa la casa, e sistemano la mamma, sopravvissuta alla guerra, in una casa per artisti. Il viaggio è un trionfo soprattutto tra il pubbli­co italiano. In soli sei mesi le Lescano riescono a ripianare tutti i debiti. Cantano nei teatri di Caracas, Bogotà e Buenos Aires, dove si esibiscono anche nelle cafeterias. Nel 1952 il Trio entra, però, nuovamente in crisi e il motivo è Maria Bria, alla quale Alessandra e Giuditta continuano a non dare alcun compenso. «Quando l'agente argentino scoprì che i guadagni venivano divisi per due e non per tre protestò», racconta Maria Bria. «Pretese che fossi pagata anch'io, ma Sandra, meravigliata delle mia richiesta, non ne voleva sapere. Rinunciai alle mie pretese, ma il Trio si sciolse anche per colpa di Giuditta, che già da tempo meditava di smettere. lo tornai in Italia e rinunciai per sempre a cantare». Giuditta se ne va con un ingegnere argentino a Maracaibo, in Venezuela, e poi probabilmente torna in Italia facen­do perdere le sue tracce e rompendo ogni rapporto con Sandra e Caterinetta. Sandra rimane invece in Ar­gentina con Gallizio, che morirà nel 1956, dopo averla mandata in rovina per il suo vizio del gioco. Nel 1963, Sandra torna in Italia, a Salsomaggiore, con Guido Franceschi, un italiano di Parma. Invano spera di riabbracciare a Roma la sorella Caterinetta. La più giovane delle Lescano, infatti, muore nel 1962 per un tumore al seno. Vive invece fino a 94 anni mamma Lescano, che scompare nel 1985, solo due anni prima di Sandra, che Maria Bria aveva incontrato per l'ultima volta un anno prima. «Mi riconobbe da lontano sentendo la mia voce», racconta. «Era sciupata, forse anche dalla cattiva abitudine di bere troppo, ma era serena e mi accolse davvero benissimo». Il Trio Lescano non ha lasciato eredi, ma la loro memoria non è andata del tutto persa. Paolo Limiti nel 1997 dedicò una sua trasmissione alle tre sorelle olandesi e per questo invitò a parlare Maria Bria. «Spiegai che i fascisti non le fecero più cantare perché la loro mamma era ebrea», racconta, «ma lui mi zittì infastidito glissando sull'argomento. Eppure penso di sapere qual era la verità». A Salsomaggiore è rimasta la valigia dei ricordi di Sandra Lescano. È servita per confezionare un documentario sul Trio, che sarà presto trasmesso dalla Rai. In Piemonte, nelle Langhe, tra Dogliani, Carrù e Farigliano, tre ragazze piemontesi, Monica Sciolla, Marica Canavese e Dina Bessone, con la benedizione di Maria Bria, hanno ripreso le canzoni del celebre trio accompagnate dal gruppo dell'Orchestra Sincopata. Si sono date un nome: Trio Lestrano. I loro concerti introdotti dal professor Ernesto Billò, esperto in musica degli anni Trenta, registrano sempre il tutto esaurito.

da «Diario del mese», 24 gennaio 2008, per gentile concessione

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