Diario
Auschwitz e il senno di poi
(P. S.)
«Avremmo dovuto bombardare Auschwitz». Con queste parole, pronunciate l'n gennaio scorso durante una visita ufficiale allo Yad Vashem di Gerusalemme, George W. Bush ha riaperto una ferita vecchia anni. Sapevano gli Stati Uniti dell'orrore dei lager? E perché non sono intervenuti per fermarlo? Il presidente americano è apparso molto commosso, e almeno in due occasioni ha ceduto alle lacrime. Ha deposto una corona vicino alla fiamma eterna che ricorda i sei milioni di ebrei sterminati dai nazisti, e nel libro dei visitatori ha scritto semplicemente: «Dio benedica Israele. George Bush». Era alla sua seconda visita al museo dell'Olocausto: la prima risaliva al 1998, quando era ancora governatore del Texas. Mentre l'ultimo presidente in visita allo Yad Vashem era stato Bill Clinton, nel 1994. Bush si è fermato a lungo davanti alla grande foto aerea del campo di sterminio di Birkenau. Poi, secondo quanto ha raccontato al Jerusalem Post il direttore del museo, Avner Shalev, si è rivolto a Condoleezza Rice, chiedendole spiegazioni sul perché l'amministrazione Roosevelt, all'epoca, avesse deciso di non bombardare i campi di concentramento hitleriani. La Rice, che oltre a essere segretario di Stato è anche docente universitaria di Scienze politiche, ha spiegato che gli strateghi di Washington non ritennero, allora, di poter fermare lo sterminio con un'azione aerea. Diversa, invece, la spiegazione che il presidente Usa ha ricevuto dal direttore dello Yad Vashem, che poi l'ha ribadita anche alla radio militare: «Gli alleati non vollero deviare dagli obiettivi primari della guerra e, soprattutto, non vollero sembrare "quelli che combattono a favore degli ebrei"». «Bush, ascoltate le risposte», ha riferito ancora Shalev, «si è fermato un attimo a pensare e mi ha detto: "Avremmo proprio dovuto bombardarlo"». Si sa che del senno di poi sono piene le fosse. Anche quelle comuni, purtroppo.
da «Diario del mese», 24 gennaio 2008, per gentile concessione