Diario

L’Italia antisemita

a cura di Paolo Stefanini

E Il Savoia firmò...

«In nome di Dio e per volontà della nazione», il Re firma, a partire dal 1938, una serie di provvedimenti antiebraici fortemente voluti da Mussolini: è il complesso delle «leggi razziali». Dopo l'8 settembre del 1943 e con la creazione, nel Nord del Paese, della Repubblica sociale italiana, sarà poi il Duce in persona ad arricchire il vergognoso corpus della legislazione antisemita. Il primo Regio Decreto che entra per primo in vigore è quello del 7 settembre 1938, sedicesimo anno dell' «era fascista». Manifesti denigranti (come quello riprodotto sopra) indicavano tutto quello che gli ebrei non erano più liberi di fare. Nel febbraio precedente il ministero dell'Interno aveva disposto il censimento della religione professata dai propri dipendenti. Era stato un primo funesto segnale, seguito, il 22 agosto, da un «censimento speciale nazionale dei giudei». Il pacchetto approvato dal consiglio dei ministri all'inizio di settembre, poi promulgato dal monarca, prevedeva anche l'espulsione degli ebrei dalla scuola e dalle università. A novembre, invece, sarebbero stati vietati i matrimoni misti e limitati i diritti di proprietà per gli ebrei, espulsi intanto anche dalla pubblica amministrazione. Il 16 febbraio del 1939 furono cacciati tutti «i militari non ariani dal Regio esercito» e, nel 1940, vennero emanate disposizioni sui testamenti e sui cognomi ebraici. L'attenzione del legislatore si fece sempre più puntigliosamente vessatoria col passare del tempo: ci furono leggi contro «gli asili infantili israelitici» e per regolamentare l' «attività dei giudei nelle arti e nello spettacolo».

Scienza e coscienza.

Fra i diversi documenti che hanno fatto la storia dell'antisemitismo italiano c'è il Manifesto della razza (o, più esattamente, il Manifesto degli scienziati razzisti), pubblicato una prima volta in forma anonima sul Giornale d'Italia il 15 luglio del 1938 col titolo «Il Fascismo e i problemi della razza» e ripubblicato il 5 agosto sul primo numero della Difesa della razza. La rivista, diretta da Telesio Interlandi fu la voce ufficiale dell'antisemitismo fascista. Il logo rappresentava una daga romana nell'atto di separare «la specie ariana da quelle inferiori», e sulle sue pagine scrissero anche autori destinati in seguito a pentirsene.

La Shoah italiana.

È un triste computo quello delle perdite ebraiche tra il settembre del 1938 e l'aprile del 1945. Nel 1938 erano presenti in tutto il territorio italiano 46.656 persone professanti la religione ebraica, nel 1945 26.938 (compresi gli ebrei liberati al Sud, esclusi i rifugiati in Svizzera in attesa di rientro e i deportati in attesa di rimpatrio). La politica antiebraica provocò, dunque, tra emigrazioni, fughe, uccisioni, deportazioni, un calo della popolazione ebraica del 48 per cento. Gli emigrati furono 12.304. Lasciarono il Paese anche molti intellettuali e scienziati di fama come Enrico Fermi, che si trasferì negli Usa. A fuggire oltreconfine, specialmente in Svizzera, furono in novemila. 4.219 sarebbero poi rientrati. I deportati nei lager nazisti furono 6.806, gli ebrei uccisi direttamente in Italia 322. (Dati: Liliana Picciotto, Il libro della memoria, Cdec-Mursia).

Dal dopoguerra a oggi.

Dopo la Liberazione, la nuova classe politica antifascista non fu in grado di fare i conti con la memoria delle persecuzioni razziali in Italia. Gli ebrei erano considerati nel novero delle tante vittime del regime mussoliniano, alla pari dei perseguitati politici, e non si riconosceva la specificità della loro tragedia. A lungo cadde il silenzio sulla pagina oscura delle leggi razziali. E, quando se ne parlava, non mancava mai l'alibi del «sono state poco applicate e poco condivise». La discussione storica fu riaperta in occasione del quarantesimo anniversario, nel 1978. La rivista Il ponte dedicò alla storia un prezioso numero monografico (copertina sopra), curato da Ugo Caffaz. La politica, invece, avrebbe iniziato a riparlarne molto più tardi. Nel 1993, Gianfranco Fini, in corsa per la carica di sindaco di Roma (vinse Rutelli), le definì «un errore che ha generato un orrore». Parole ripetute a Fiuggi, nel 1995, alla nascita di An. Uno strappo forte dal passato dell'Msi: Giorgio Almirante era stato segretario di redazione della Difesa della razza. La legislazione italiana ha impiegato anni per ripulirsi dalle norme della vergogna (seppur disapplicate dalla caduta del regime). E nel 2005 Emanuele Pacifici (foto sotto) ha protestato contro il ministero dell'Interno. Sul documento d'identità gli era stato apposto il timbro «razza ebraica».

da «Diario del mese», 24 gennaio 2008, per gentile concessione

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