Diario

Viaggio nel modo del negazionismo, da Faurisson ad Ahmadinejad. I primi a dissimulare la Shoah furono i nazisti che, vista perduta la guerra, ordinarono di distruggere le prove dello sterminio. Hanno molti eredi

Quelli che si trovano a Teheran

 

Gabriele Besso

 

Per i negazionisti si è trattato di una sorta di rivincita. Vituperati, condannati, isolati in tutto il mondo democratico, il 12 dicembre alla conferenza di Teheran hanno ricevuto un'accoglienza calorosa e, soprattutto, legittimità. Sono arrivati in 42 da 23 Paesi. Tra le figura di spicco del negazionismo internazionale c'erano il francese Robert Faurisson e l'australo-tedesco Frederick Toben, direttore dell'Adelaide Institute da lui fondato nel 1994 e amico di Hutton Gibson, padre dell'attore Mel Gibson e anch'egli negazionista. Toben, che nel 2005 aveva dichiarato alla tv iraniana che «Israele è fondato sulla bugia dell'Olocausto», ha portato con sé un modellino di Auschwitz, che proverebbe come nel campo non ci fosse abbastanza posto per l'1,1 milioni di ebrei che sarebbero morti lì. Lo psichiatra tedesco Benedict Frings propone un «negazionismo psichiatrico»: secondo lui la conferenza di Teheran è un'ottima terapia «per la guarigione del complesso di colpa del popolo tedesco». A rappresentare l'Italia ci hanno pensato Ugo Fabbri, un consulente del lavoro triestino, che è venuto a sostenere che la Risiera di San Sabba non era un lager e Leonardo Clerici, nipote del futurista Marinetti, convertito all'islam e amico della Repubblica islamica. Ricca la bibliografia proposta. In vendita, titoli come Miti della fondazione d'Israele, di Roger Garaudy con una svastica in copertina, Hitler e gli ebrei erranti della scrittrice malese Zariani Abul Rahman, che parla di finanziamenti ebraici ai nazisti, Specchio dei fatti, scritto dal tedesco Herbert Hoff, che ha dichiarato di essere in grado di spiegare «perché l'Olocausto non può essere avvenuto». Ha dato man forte ad Ahmadinejad anche uno sparuto gruppo di ebrei religiosi antisionisti, capeggiati dal rabbino americano Arnold Cohen, sostenitori della tesi che i sionisti pur di portare gli ebrei in Palestina negli anni Trenta patteggiarono con i nazisti e trascurarono di difendere i loro fratelli in Europa. Difficile comprendere come possano esistere ebrei che difendano i negazionisti, ma per fortuna c'è stato in Iran anche chi ha avuto il coraggio di prendere le distanze dall'iniziativa di Ahmadinejad, come il professor Sadegh Zi­bakalam dell'università di Teheran, che ha criticato aspramente la Conferenza su un quotidiano iraniano e ha definito la politica iraniana sul tema «un errore». Il fenomeno del negazionismo non è in ogni caso cominciato a Teheran e sarebbe un errore sottovalutarlo. Le sue radici sono antiche e affondano nel nazismo stesso, che voleva dissimulare i suoi crimini. Ci provò in grande stile a Theresienstadt nella Cecoslovacchia occupata. Qui il 23 giugno del 1944 fu organizzata una messinscena per il delegato della Croce Rossa Maurice Rossel, che al suo arrivò trovò un sindaco ebreo, un'orchestra ebraica, bambini gioiosi e nessuna traccia di prigionieri denutriti o malati. La messinscena con gli ebrei nel ruolo di se stessi riuscì e Rossel così scriverà nel suo rapporto: «Abbiamo provato uno stupore immenso nell'aver trovato nel ghetto una città che vive una vita quasi normale». I nazisti non solo tentarono sempre di camuffare i propri intenti con un linguaggio volutamente poco esplicito, ma lo stesso Heinrich Himmler, verso la fine della guerra paventando la sconfitta, istruì i comandanti dei campi affinché distruggessero ogni informazione e ogni traccia (forni crematori compresi) degli stermini di massa perpetrati dal Terzo Reich. Temeva i processi e le condanne che sarebbero seguiti. La Shoah, tuttavia, aveva assunto una dimensione davvero troppo grande e diffusa per poter essere cancellata in poco tempo dalla macchina bellica tedesca in disfacimento. In Europa dopo la guerra non c'era spazio per il negazionismo. Il fenomeno cominciò a ripresentarsi negli anni Sessanta quando Paul Rassinier, uno storico pacifista reduce dal campo di Buchenwald, pubblicò nel 1964 il volume Il dramma degli ebrei europei. In questo libro Rassinier giunse alla conclusione che non era mai esistita da parte dei nazisti alcuna politica di sterminio e accusò le organizzazioni ebraiche e sioniste di cospirare usando i crimini nazisti per estorcere denaro da usare per la fondazione dello Stato d'Israele. Un sostegno alle sue posizioni Rassinier lo trovò nello storico liberale americano Harry Elmer Barnes col quale ebbe una corrispondenza e che lo aiutò a tradurre i suoi libri negli Usa. Barnes, fervido pacifista, non credeva alle affermazioni contro Germania e Giappone, che avevano giustificato l'entrata in guerra degli Stati Uniti, e classificò anche la Shoah come propaganda da ridimensionare. È però negli anni Settanta che il negazionismo prese vigore. Cominciò Arthur Butz nel 1976 con la pubblicazione del libro L'imbroglio del ventesimo secolo: gli argomenti contro il presunto sterminio dell'ebraismo europeo. Butz, americano, professore d'ingegneria elettrica alla Northwestern University, affermava che la Shoah non era avvenuta e che era stata deliberatamente inventata per giustificare la creazione dello Stato d'Israele. Da allora Butz non ha cambiato idea tanto che in una conferenza stampa del 18 dicembre 2005 ha così commentato le affermazioni del presidente iraniano Ahmadinejad sul «mito della Shoah»: «Mi congratulo con lui per essere il primo capo di Stato a parlar chiaro su questo tema e mi dispiace solo che non si tratti di un capo di Stato occidentale». A dar man forte alle tesi di Butz provvede nel 1977 il più noto dei negazionisti mondiali, l'inglese David Irving che pubblica il libro La guerra di Hitler. Nel volume il Führer è descritto come un politico intelligente e razionale, che si proponeva di rendere grande e prospera la Germania, e assolutamente all'oscuro dell'Olocausto, che sarebbe invece stato perpetrato da Heinrich Himmler e dal suo vice Reinhard Heydrich. A riprova di questa tesi Irving rileva che non è stato mai trovato alcun ordine scritto di Hitler sulla Shoah. Con questo libro Irving si propone come storico controcorrente, ma difficilmente viene preso sul serio, considerando anche la sua modesta preparazione accademica. Il presunto storico infatti è solo uno studente di fisica mancato all'Imperial College di Londra più famoso per i suoi scritti sui giornali studenteschi che per le sue ricerche universitarie. Sin da giovane non nasconde le sue idee razziste in favore dell'apartheid in Sudafrica e le sue accuse agli ebrei di controllare i media. Una sponda alle sue tesi, Irving, la trova nel 1986 in Ernst Nolte. Il filosofo tedesco parla dell'Organizzazione sionista mondiale come di un'alleata della Gran Bretagna, che aveva di fatto dichiarato guerra alla Germania, in questo modo giustificata nella sua decisione di internare gli ebrei in campi di concentramento. Irving è l'unico «storico» inglese a esprimersi in favore delle tesi di Nolte, che a sua volta lo stima e lo cita nei suoi scritti. In parallelo a Irving in Gran Bretagna, in Francia lo storico Robert Faurisson verso la fine degli anni Settanta ispirandosi a Paul Rassinier sostiene con articoli su giornali revisionisti e lettere a giornali che le camere a gas non sono esistite perché non avrebbero potuto tecnicamente funzionare nel modo nel quale erano state descritte. Un primo tentativo di far uscire il negazionismo dalla marginalità viene fatto nel 1979 dall'lnstitute for Historical Review (Istituto per il Revisionismo Storico) fondato negli Usa da Willis Carto, fondatore di Liberty Lobby, la più importante organizzazione di propaganda antisemita negli Stati Uniti. L'lhr promuove gli scritti di Rassinier e Barnes e smentisce di voler negare la Shoah come si legge nel suo sito: «Non c'è discussione sul fatto che un largo numero di ebrei sia stato deportato in campi di concentramento e ghetti o che molti ebrei siano morti o siano stati uccisi durante la guerra. La scuola revisionista ha piuttosto presentato prove (inconfutate dagli "sterminazionisti") che non è mai esistito un programma di sterminio degli ebrei europei e che la stima di sei milioni di ebrei morti durante la guerra è un'irresponsabile esagerazione». Dell'lhr fanno parte tra gli altri: Robert Faurisson, Arthur Butz, David Irving, due antisemiti di carriera come Mark Weber, membro di un gruppo neonazista dal 1978, direttore dell'Istituto dal 1995, e il tedesco-canadese Ernst Zündel, fondatore di una piccola casa editrice negazionista, condannato a due anni di prigione in Canada nel 2003 e poi estradato in Germania dove è stato processato per negazionismo, l'italiano Carlo Mattogno, estremista di destra, seguace di Faurisson e autore nel 1985 del libro Il mito dello sterminio ebraico. L'Ihr, composto per lo più da neonazisti e antisemiti senza alcuna credenziale accademica, continua oggi a essere attivo attraverso il suo sito. Un terreno che i negazionisti hanno sempre ritenuto fertile per i loro tentativi di insinuare dubbi sulla veridicità della Shoah sono i campus universitari. Indirizzato proprio a questi ambienti è stato il Codoh (Committee for Open Debate on the Holocaust, Comitato per un dibattito aperto sull'Olocausto) costituito nel 1987 da Mark Weber e Bradley Smith che per primo aveva sviluppato l'idea di pubblicare sui giornali universitari annunci a pagamento contro la veridicità della Shoah. Questi annunci in un primo momento ottengono l’effetto desiderato, suscitano clamore. Si discute sulla stampa americana se sia giusto o meno pubblicare annunci che si presentano titoli del tipo: «Domande senza riposta sulle camere a gas». Nel 2000, però, dopo che la maggior parte della stampa universitaria non pubblica più i suoi annunci, il Codoh perde spinta e scivola nell'anonimato. Il negazionismo promosso da personaggi equivoci neonazisti di vecchia data e antisemiti non trova credito nelle società occidentali, dove è emarginato anche con leggi ad hoc. Faurisson viene espulso dall'università nel 1991 sulla base di una legge del 1990 che vieta il negazionismo. Irving finisce in galera in Austria per aver violato una legge che proibisce la negazione della Shoah. Le testi negazioniste rimangono deboli fino a quando si concentrano sugli aspetti tecnici, su quelli burocratici o su quelli statistici. Sul piano tecnico i negazionisti sostengono che le camere a gas e i forni crematori non furono usati per sterminare e che la maggior parte degli ebrei morì per inedia o per malattia come del resto gli altri prigionieri. Sul piano burocratico si nega che i nazisti abbiano mai elaborato un piano preciso per lo sterminio del popolo ebraico e che Hitler stesso abbia mai dato ordine di compierlo. Sul piano statistico si nega che gli ebrei sterminati possano essere stati sei milioni, ma si sostiene invece che siano stati molti meno. Nel conto, secondo i negazionisti, non si sarebbe tenuto conto degli ebrei emigrati o fuggiti prima e durante la guerra. È sul piano ideologico, invece, che il negazionismo ha trovato oggi nuova spinta e motivazione come testimonia Ahmadinejad. I negazionisti insistono sul fatto che la Shoah sia stata funzionale al disegno sionista della creazione di uno Stato ebraico. L'Europa sarebbe stata ricattata dagli ebrei e indotta ad appoggiare un progetto anti islamico in Palestina. Tramite l'imbroglio della Shoah gli ebrei avrebbero raccolto finanziamenti e appoggi politici per dar vita allo Stato d'Israele, che quindi poserebbe le sue fondamenta su un falso storico. La Shoa non più come un'immane tragedia ebraica, ma come un complotto ebraico ordito contro il mondo in generale e contro i musulmani in particolare. Sotto questa forma il negazionismo trova nuovi spazi nel mondo arabo musulmano, tra i palestinesi, in Egitto, in Siria, in Iran, dove è diventato politica di Stato e guadagna credito talvolta anche tra i movimenti pacifisti occidentali che considerano la nascita d'Israele «il peccato originale» del conflitto mediorientale. Tra gli ispiratori del negazionismo musulmano spicca il francese Roger Garaudy, ex membro del Partito comunista francese convertito all'islam nel 1979 dopo la rivoluzione khomeinista. Garaudy è stato processato più volte in Francia per le sue posizioni antisemite e proprio in seguito a questi processi ha conquistato popolarità tra i movimenti islamici. «L'adozione del negazionismo è un fenomeno relativamente nuovo nel mondo musulmano. La posizione tradizionale era quella di affermare che se da una parte è vero che l'Olocausto sia realmente avvenuto, dall'altra non sono i palestinesi che ne devono pagare il prezzo. Questo approccio e il negazionismo sono stati oggi combinati insieme da Ahmadinejad», ha spiegato sul quotidiano Haaretz il direttore dell'Anti-Defamation League, Kenneth Jacobson. Il mito dei presunti rapporti tra sionisti e nazisti è un altro elemento adottato per rafforzare le testi dei negazionisti. Su questo tema l'attuale presidente palestinese Mahmoud Abbas aveva scritto nel 1983 a Mosca una ricerca di dottorato nella quale tra l'altro si dice: «Sembra che l'interesse del movimento sionista sia quella di gonfiare il dato sui morti nella Shoah per garantirsi dei vantaggi. Questo li ha anche portati a ottenere la solidarietà dell'opinione pubblica internazionale». Abbas ha poi recentemente ridimensionato queste affermazioni in un'intervista al quotidiano Haaretz quando ha detto: «Avevo solo citato un dibattito sui numeri in corso tra gli storici. L'Olocausto è stato terribile, un imperdonabile crimine contro la nazione ebraica, un inaccettabile crimine contro l'umanità. Non l'ho mai negato». Apertamente negazionista è Hamas che già nel 2000 si schiera contro la conferenza sulla Shoah di Stoccolma dicendo: «Questa conferenza si propone un chiaro intento sionista, quello di falsificare la storia nascondendo la verità sul cosiddetto Olocau­sto, che è una storia inventata senza alcun fondamento... L'invenzione di questi crimini, che non sono mai avvenuti, ignorando i milioni di morti della Seconda guerra mondiale, rivela chiaramente il volto razzista del sionismo, che professa la superiorità della razza ebraica sul resto delle nazioni». In seno ai palestinesi, tuttavia, si fa strada anche la consapevolezza che la pace con Israele passa anche per il riconoscimento delle sofferenze del popolo ebraico. Lo ha capito Khaled Mahameed, un avvocato di Nazareth, che ha aperto in casa sua un piccolo museo dedicato alla Shoah per combattere l'indifferenza verso questo tema tra i suoi confratelli. Voleva andare a Teheran per controbattere le tesi negazioniste di Ahmadinejad, ma gli è stato rifiutato il visto. A Damasco un altro palestinese, George Catan, residente in Siria ed editorialista del sito www.metransparent.net, si è detto convinto che «condannare l'Olocausto come un crimine contro l'umanità sia importante, nonostante il fatto che sia stato pagato a caro prezzo da arabi e palestinesi». In Egitto nel dicembre 2005 sul quotidiano governativo al Masaa l'editorialista Abd Al Rauf scrive che durante la Seconda guerra mondiale non ci furono massacri di ebrei e che le camere a gas erano usate per disinfettare i vestiti. In Libano nel giugno 2006, dove già il 31 marzo 2001 si era svolta una conferenza di negazionisti, un commentatore della New tv in un servizio su Norman Finkelstein, l'autore del libro L’Industria dell'Olocausto, ha affermato che non è mai esistito un tema così controverso e ricco di bugie ed esagerazioni come quello del numero di vittime dell'Olocausto. Negli Emirati Arabi è stato chiuso nel 2003 il Centro Zayed, che promuoveva il negazionismo e l'antisemitismo. È l'Iran in ogni caso il Paese musulmano dove il negazionismo è più radicato e non si tratta come può erroneamente sembrare l'ossessione di un uomo, quanto piuttosto l'intensificazione di temi già presenti nell'ideologia islamica iraniana. Ahmadinejad ha deciso di restituire al regime gli ideali originari, oggi un po' appannati, e per questo ha scelto l'antisionismo e il negazionismo come colonne portanti della sua politica. Come spiega Meir Litvak, ricercatore del Centro studi iraniani dell'università di Tel Aviv, l'antisionismo iraniano si ispira a due elementi fondamentali dei movimenti islamici del Medio Oriente, che combinano modernismo, terzomondismo e islamismo estremista. Il primo è quello che considera il sionismo come il culmine di un attacco politico e culturale giudeo­occidentale al mondo musulmano. Il secondo è il revival di antiche tradizioni musulmane che guardano agli ebrei come ostili all'islam fin dalla sua nascita. Queste tradizioni si riferiscono agli ebrei non come una nazione, ma piuttosto come una comunità religiosa dispersa e destinata a essere subordinata e dominata dai musulmani. Il tutto per essersi rifiutati di riconoscere Maometto il profeta. Rifiutando ogni tipo di giustificazione morale o storica in favore delle pretese ebraiche o sioniste i leader iraniani vedono nella Shoa un mito inventato per creare in Occidente una pubblica opinione favorevole alla nascita d'Israele. Nell'aprile del 2001 il capo supremo dell'Iran, l'ayatollah Khamenei, pronunciò un discorso nel quale disse: «I sionisti hanno esagerato i crimini dei nazisti contro l'ebraismo europeo per sollecitare un appoggio internazionale alla costituzione dell'entità sionista nel 1948». Sempre secondo Litvak il negazionismo iraniano è una manifestazione di antisemitismo camuffata da antisionismo ed è interessante notare come gli argomenti antisemiti siano stati presi in prestito dall'odiato Occidente. In Iran si crea una simbiosi tra antisemitismo e antisionismo europeo e mediorientale, antico e moderno. Da questo punto di vista la conferenza di Teheran è stata molto significativa. Sulla sua piattaforma negazionista, antisionista e antisemita Ahmadinejad ha trovato un alleato in Sudamerica nel presidente venezuelano Hugo Chavez, che pur non avendo espresso in pubblico in prima persona tesi negazioniste, non perde occa­sione per sottolineare le comunanze fra nazisti e israeliani. A ispirarlo c'è tra i suoi consiglieri Norberto Ceresole, un sociologo argentino, peronista di sinistra, negazionista in linea con Faurisson, Garaudye Nolte. Durante una visita in Cina il 25 agosto 2006 Chavez ha detto: «Israele sta commettendo in Libano un genocidio e i suoi leader ne devono essere ritenuti responsabili e giudicati per questo da un tribunale internazionale. Gli israeliani criticano Hitler, ma hanno compiuto qualcosa di peggio». Sul tema la stampa venezuelana va ancora più in là. «I sionisti, una setta ebraica radicale e distruttiva, stanno di nuovo impregnando la comunità ebraica con la loro animosità contro l'umanità. Il genocidio che compiono in Palestina e Libano è simile a quello compiuto dai nazisti e per questo per l'odio che suscitano subiranno un altro Olocausto. La razza ebraica è condannata a scomparire». Il virus del negazionismo contagia Paesi insospettabili. In Giappone il Gruppo di studio sul revisionismo storico spiega su Internet ai giovani con illustrazioni in stile manga perché la Shoah non sarebbe mai avvenuta. Nella piccola Malta, Norman Lowell, leader di Imperium Europa, un partito di estrema destra, dichiara apertamente di ammirare Hitler e di considerare la Shoa «un imbroglio». In Svezia a non credere allo sterminio ebraico c'è uno scrittore di origine marocchina, Ahmed Rami, legato a noti negazionisti come Zündel e Irving. Per fermare il negazionismo in alcuni Paesi sono state varate leggi ad hoc che vietano di negare la Shoah, equiparando la diffusione di queste teorie a una manifestazione di razzismo e antisemitismo. Attualmente il negazionismo è illegale in Austria, Belgio, Repubblica ceca, Francia, Germania, Lituania, Olanda, Polonia, Romania, Slovacchia, Spagna, Svizzera e naturalmente Israele. In Gran Bretagna, Canada e Svezia il negazionismo rientra nella casistica prevista da più generiche leggi contro l'odio razziale. Le pene per chi viola questa legge vanno da un mese a vent'anni di reclusione per i casi accompagnati da violenze. Si tratta di leggi essenziali per la difesa dei valori democratici e un qualche effetto l'hanno ottenuto. Irving, condannato in Austria, si è affrettato a dichiarare di aver cambiato idea per evitare il carcere. Lo svizzero Jürgen Graf, filologo dell'università di Basilea, autore negli anni Novanta di diversi libri in favore del negazionismo, è andato in esilio nel 2001 a Mosca per evitare una condanna a 15 mesi. Ma contro il negazionismo della Shoah serve anche coltivare la memoria di ogni altro genocidio come ha affermato alla radio israeliana il 15 dicembre scorso Tommy Lapid, sopravvissuto alla Shoah ed ex ministro della Giustizia nel governo Sharon: «È dovere d'Israele non dimenticare il genocidio degli armeni e oggi quello che si sta compiendo in Darfur. Solo così manterremo nel tempo il nostro diritto morale di ricordare per sempre la Shoah».

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da «Diario del mese», 26 gennaio 2007, per gentile concessione

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