Diario

Joseph Cosmo Nassy era nato nella Guiana olandese da una ricca famiglia di ebrei fuggiti nel Seicento dall'Inquisizione spagnola. Diventò americano, andò in Europa e fu internato dai nazisti. Nel campo dipinse la sua opera

Un mulatto nella Baviera di Hitler

 

Giacomo Papi

 

Joseph Johan Cosmo Nassy era mulatto, ma discendeva da spagnoli. Joseph Nassy era ebreo, ma dall'epoca dei suoi nonni la famiglia aveva smesso di praticare. Quando arrivarono i suoi antenati fuggendo dall'Inquisizione, il Suriname sembrava un paradiso. I primi ebrei arrivarono dal Portogallo intorno al 1660 (li chiamavano la «Congregazione della Cajenna») e appena cinque anni dopo, il 17 agosto 1675, un decreto della Corona inglese concedeva loro privilegi unici al mondo, confermati nel 1667 quando la Guiana diventò olandese. I residenti di religione ebraica avevano licenza di tenere aperti i negozi di domenica, potevano sposarsi, amministrare la giustizia, frequentavano la sinagoga costruita a Jodensavanna e, dal 1775, a Paramaibo, il proprio teatro. Prosperarono. Nel 1730 su 400 piantagioni censite, 115 appartenevano a ebrei. A fronteggiare gli attacchi dei francesi del 1689 e del 1712, e quelli continui degli indigeni e degli schiavi neri scappati dalle piantagioni, i possidenti ebrei erano in prima linea. Avevano nomi come Jacob d'Avilar, Isac Arias e Manuel Pereira, ma furono i Nassy a recitare la parte principale. Tra gli eroi di allora, si contano tre Samuel, due David e, perfino, un Joseph Nassy, nel 1768 «comandante dei fiumi Sinamery, Iran e Connaware», omonimo del pittore di cui qui si scrive. Era nato il 19 gennaio 1904 nella capitale Paramaibo, settimo dei nove figli di Caroline de Maesschalk e di Adolf, ricco commerciante padrone della Suriname Trading Co. che aveva filiali anche a Londra e New York. Visse una vita strana, fu un eccellente pittore, ma la sua storia e la sua opera sarebbero state dimenticate per sempre se non fosse stato per un collezionista di Bruxelles, Severin Wundermann, che era stato deportato dai nazisti, che fino ad allora aveva acquistato soprattutto Jean Cocteau e che acquisì tutte le opere realizzate nei campi di internamento nazisti. Da questa scoperta, la curatrice del catalogo In the shadow oJ the tower. The works of Joseph Nassy 1942-1945, Monica Rotschild, prese il via per ricostruire, attraverso interviste e ricerche, la vita del dimenticato pittore. Ricerche che culminarono nel 1989 in una mostra di Nassy allo Yad Vashem, il museo dell'Olocausto israeliano. A volte l'unico collegamento tra due punti non è una linea retta, ma un groviglio di circostanze casuali. Questo groviglio, nel caso di Joseph Nassy, è il destino che unisce il Suriname e i campi di internamento di Beverloo, in Belgio, e poi di Laufen e Tittmoning, nella Bassa Baviera, dove il pittore fu imprigionato dall'aprile 1942, fino alla liberazione avvenuta il 5 maggio 1945 a opera della Terza armata statunitense. In Suriname non esistevano scuole secondarie, così i fratelli e le sorelle più grandi di Joseph venivano spediti a studiare in Olanda. Con lo scoppio della Prima guerra mondiale, l'Europa divenne un posto pericoloso e il patriarca Adolf, che nel frattempo si era trasferito a New York, decise di portare con sé i suoi figli in età da diploma. Nel 1919, Joseph e il fratello Henri si trasferirono a Brooklyn, in una casa a Ocean Parkway. Nel 1924 Joseph ottenne il diploma di ingegnere elettronico e due anni più tardi suo padre morì. A questo punto, per cinque anni, la sua vita fa perdere le tracce. L’apparizione successiva data 29 luglio 1928 quando Joseph Nassy fa domanda per il passaporto dichiarandosi «cittadino americano». Nel modulo afferma, stranamente, di essere nato a San Francisco nel 1899, cioè cinque anni prima della sua nascita reale. Le ragioni della scelta del luogo, San Francisco, e di anticipare la data di nascita vanno probabilmente ricercate nel celebre terremoto del 1906 durante il quale tutti i documenti della città californiana andarono distrutti. Durante la Depressione e, poi, nell'era MacCarthy diventò pratica comune, per chiunque volesse cambiare o nascondere la propria identità, dichiarare di essere nati a San Francisco prima che i documenti dell'anagrafe centrale fossero cancellati dal terremoto. Così, il 31 luglio 1929, il 25enne ingegnere elettronico del Suriname, nero di pelle, di religione ebraica, si imbarcò da cittadino americano sull'Aquitania alla volta dell'Europa con un contratto con la Melotone, multinazionale che realizzava impianti sonori. Dopo un anno a Londra, la ditta lo mandò a Parigi dove rimase fino al 1934 prima di decidere di lasciare tutto e iscriversi all'Accademia di Belle arti di Bruxelles così da seguire il suo sogno: studiare pittura. Di giorno frequentava i corsi e di notte si manteneva realizzando ritratti. Nel frattempo aveva incontrato Rosine van Aerschot che nel 1939 sarebbe diventata sua moglie. Presto, però, la più grande tragedia del secolo scorso iniziò a bussare sulle vite di tutti. Il 10 maggio 1940 la Germania di Hitler invade Belgio, Olanda e Lussemburgo e inizia la campagna di Francia. Joseph e Rosine, grazie al passaporto americano di lui, potrebbero imbarcarsi per gli Usa, ma scelgono di restare, non si sentono minacciati. Nassy, secondo la legge, si limita a registrarsi come residente straniero presso le autorità belghe. L’entrata in guerra degli Usa, il 7 dicembre 1941, fa di lui un nemico. Viene arrestato il 14 aprile 1942 e inviato nel campo di transito di Beverloo, nei pressi di Leopoldsburg, in Belgio, dove rimane sette mesi prima di essere spedito in Germania nei campi di internamento di Laufen e Tittmoning (Llag VII e Llag VIIh). Non è facile collocare con precisione il centinaio di opere che Nassy realizzerà negli anni della prigionia. Quello che è certo, e che è testimoniato dagli stessi dipinti, è che le condizioni di vita nei quattro campi di internamento, tutti in Germania, furono incomparabili rispetto a quelle dei campi di sterminio. Oltre ai costanti rifornimenti della Croce rossa, oltre alle visite dei familiari, i prigionieri avevano spesso il permesso di dipingere o di suonare, e di ricevere gli strumenti per farlo. In un'occasione, addirittura, a Joseph e Rosine fu permesso di passare una notte in albergo, con due soldati tedeschi a piantonare la stanza. Queste circostanze, uniche nella Germania di Hitler, fanno delle opere di Nassy un documento storico altrettanto unico, capace di restituire quasi in diretta l'atmosfera di quei giorni sospesi sul baratro, una specie di Purgatorio nel Secondo conflitto mondiale. I documenti della Croce rossa descrivono Laufen (e il sottocampo di Tittmoning) come campi per prigionieri di guerra. In realtà, le cose sono un po' più complicate. Gli internati erano anche cittadini inglesi delle Isole della Manica, una cinquantina di ebrei con passaporti di Paesi sudamericani, molte persone nate in America che negli anni della Depressione avevano deciso di tornare nei Paesi d'origine e una dozzina di neri di diversa nazionalità. I testimoni raccontano che i prigionieri tendevano a fare gruppo: gli ebrei stavano tra ebrei perché erano terrorizzati dalla possibilità che si scoprisse che i loro passaporti stranieri erano fittizi, altri per questioni di lingua, i neri perché il regime tendeva a segregare le persone su base razziale. I quadri di Joseph Nassy raccontano l'esistenza quotidiana nei Llagda una distanza che quasi dissecca l'emozione. Sono facce di gente che resterà per sempre senza nome, i cui tratti rivelano, però, appartenenze geografiche, religiose ed economiche disparate. È il tempo che passa suonando l'armonica, l'arpa o il clarino. È un gruppo di prigionieri nella doccia comune che il vapore trasforma in fantasmi. È la decina di internati seduti, tutti con le teste reclinate, che pelano quintali di patate, il loro nutrimento pressoché esclusivo. Ricorre in varie tele il tema della mappa, della carta geografica, quasi che la fatica di localizzare se stessi e di interpretare sulla carta il progredire della guerra rappresentassero l'unico tenue filo in grado di legare il destino individuale di ognuno al dipanarsi della storia. Le opere più intense sono, però, i paesaggi. Perché nelle scene assolate o innevate, sotto cieli gialli di fuoco o carichi di neve, sulla figura ingobbita e quasi inessenziale di anonimi prigionieri, incombe qualcosa. Incombono le torrette dei guardiani che si intrave­dono scuri in lontananza e i reticolati di filo spinato che tagliano lo spazio in quadrati, imprigionando anche lo sfondo su cui esistono i prigionieri. Incombe, perfino, dietro il filo spinato, il campanile della chiesa di Tittmoning, città che «rimane», ha scritto Joseph Ratzinger nell'autobiografia La mia vita, «la terra dei sogni della mia infanzia». Avvolge ogni cosa un'atmosfera di attesa, deprivata del tempo e di ogni senso della storia, grazie al controllo carcerario dello spazio. Il 5 maggio 1945, tre mesi dopo che i sovietici liberarono Auschwitz, la Terza armata americana arrivò a Laufen e Tittmoning. Ma lo stato a dir poco confuso di visti, nazionalità e passaporti dei prigionieri, resero più lente le operazioni di rimpatrio. Per Joseph Nassy l'attesa durò un anno ancora: solo il 2 maggio 1946 ottenne i documenti per rientrare in Belgio, dove arrivò in treno il 6 giugno. Il matrimonio con Rosine andò in crisi quasi subito, anche se il divorzio fu firmato soltanto nel 1952. Riprese a dipingere e nell'autunno 1946 ebbe due importanti mostre sulle opere della prigionia. Dopo di allora, si rifiutò di parlare di quegli anni e la sua pittura cambiò. Scelse di dipingere paesaggi privi di ogni riferimento architettonico o nature morte soprattutto floreali. Nel 1956 aveva sposato Sylvie Debrabanter. Un anno prima aveva conosciuto Paul Vankeuken, l'amico che avrebbe parlato dell'opera di Nassy a Severin Wundermann, il collezionista al cui interessamento si deve la scoperta. Joseph Cosmo Nassy morì di cancro il 23 gennaio 1976 senza mai essere tornato in Suriname.

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da «Diario del mese», 26 gennaio 2007, per gentile concessione

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