Diario

Per i neri non ci fu la «soluzione finale». Ma per cinquemila afrotedeschi il regime decise la sterilizzazione forzata, l'internamento o l'obbligo di esibirsi come acrobati e ballerini. Alcuni si ribellarono e furono uccisi. Tutti soffrirono - Dopo il fallimento dell'Afrika-Schau di Goebbels, furono molti i neri internati. Molti di loro erano artisti come Valaida Snow, la «piccola Louis Armstrong»

Il colore della pelle

 

Massimiliano Boschi

Hilarius Gilges Platz è una minuscola piazzetta di Düsseldorf, non compare nemmeno sulle mappe ma è nel cuore della città vecchia, a due passi dalla Kunstsammlung. È dedicata a un ragazzo nero di 24 anni che amava il teatro e la politica e faceva politica con il teatro. Hilarius Gilges era afrotedesco in un periodo in cui si doveva essere tedeschi e basta. Iscritto al Partito comunista aveva organizzato spettacoli e manifestazioni contro il Partito nazionalsocialista in prepotente crescita. Il 20 giugno del 1933, i nazisti erano al potere da poco più di tre mesi, le Ss lo prelevarono da casa, lo torturano e lo uccisero con un colpo di pistola alla testa. Il suo cadavere venne ritrovato nelle acque del Reno a pochi metri dalla piazza che ora gli è dedicata. Per essere neri e antinazisti occorreva molto coraggio. Gli afrotedeschi erano circa cinquemila e per loro non era facile nascondersi. L'atteggiamento del regime nei confronti della comunità afrotedesca fu, però, abbastanza complesso. La società tedesca era indubitabilmente razzista, ma la persecuzione verso i «non ariani» variava notevolmente. La letteratura in materia non è molto vasta ma è concorde nell'affermare che i tedeschi dalla pelle nera non furono mai minacciati di sterminio. Lo sostiene per esempio Clarence Lusane nel suo Hitler's Black Victims che, nonostante alcuni difetti, resta il testo più completo sull'argomento. «Gli afrotedeschi non sono stati perseguiti collettivamente e nemmeno definiti "Auslander" (stranieri) nonostante a molti di essi fosse stato ritirato il passaporto». Ovviamente, in confronto alla vastità della tragedia della Shoah, ogni altra persecuzione sembra minore. È vero che centinaia di ragazzi neri vennero sterilizzati, che la gran parte degli afrotedeschi venne esclusa dalla vita sociale, che la loro vita quotidiana era sottoposta a vessazioni e derisione e che i matrimoni misti vennero proibiti. Non venne, però, istituzionalizzata una legislazione razzista nei loro confronti. I neri erano un bersaglio quotidiano della propaganda ma, per quanto sembri assurdo, nei primi tempi qualche nero riuscì persino a entrare nella Hitler Jugend, cacciato solo dopo il varo delle leggi razziali del 1935. Gli afrotedeschi vennero espulsi anche dall'esercito, ma negli anni più duri della guerra la Wehrmacht ne spedì qualcuno a combattere in Russia. La testimonianza più famosa riguardo alla vita di un cittadino dalla pelle nera sotto il Terzo Reich è quella narrata da Hans Massaquoi nell'autobiografia Destined to Witness, diventata un bestseller in Germania. L'autore racconta gli insulti e le discriminazioni patite ad Amburgo durante il regime nazista, ma mostra anche come non esistesse una «soluzione finale» nei confronti degli afrotedeschi. Massaquoi, figlio di madre tedesca, passò indenne gli anni del Terzo Reich ed emigrò negli Stati Uniti nel dopoguerra. Merita, invece, un discorso specifico l'atteggiamento dei nazisti nei confronti dei neri e dei mulatti della Renania, dove i francesi, dopo la vittoria nella Prima guerra mondiale, avevano insediato truppe africane provenienti dalle colonie. Una scelta che fece infuriare Hitler, che si espresse sulla questione già nel Mein Kampf «La Francia è, e rimane, il nemico di gran lunga più pericoloso. Il popolo francese, che si va sempre più negrizzando, essendosi associato agli scopi della dominazione mondiale ebraica, comporta un costante pericolo per l'esistenza della razza bianca europea. Perché l'avvelenamento, compiuto con sangue negro sulle rive del Reno, nel cuore dell'Europa, è conforme tanto alla sadica e perversa avidità di vendetta di questo nemico ereditario del nostro popolo, quanto alla fredda volontà dell'ebreo di iniziare per tal via l'imbastardimento del continente europeo nel suo punto centrale e di rapire alla razza bianca le fondamenta della sua esistenza infettandole con un'umanità inferiore. [...] La Francia si va così rapidamente negrizzando che si può in verità parlare della nascita di uno Stato africano su suolo europeo. Se la politica coloniale della Francia nel senso attuale continuasse per altri trecento anni, sparirebbero gli ultimi resti di sangue franco nello Stato mulatto, africano europeo, che si sta formando. Un formidabile compatto territorio coloniale dal Reno al Congo, popolato da una razza inferiore formatasi a poco a poco da un costante imbastardimento». Deliri che come noto vennero presi molto sul serio. A partire dal 1935, infatti, almeno 385 bambini renani, nati dal rapporto tra donne bianche e uomini di colore, vennero sterilizzati a seguito dell'esame di un'apposita commissione. Così recita una delle schede possedute dall'archivio del Museo dell'Olocausto di Washington: «Il cittadino tedesco J.F. nato il 26 settembre del 1920 e residente a Magonza è discendente delle truppe coloniali di occupazione di cui mostra distintivi tratti antropologici. Per questa ragione è stato sterilizzato. Sua madre dà il consenso». Successivamente, con lo scoppio della Seconda guerra mondiale, poté scatenarsi liberamente anche l'odio contro le truppe coloniali francesi. Il 5 giugno 1940, a difendere il territorio francese sulla Somme, si trovava il 24° reggimento degli «esploratori senegalesi». Nella notte tra l'8 e il 9 giugno il reparto venne circondato nei pressi di Erquinvillers e costretto alla resa. I prigionieri dalla pelle nera non vennero però inviati nei campi di detenzione, ma percossi e uccisi con la baionetta, mentre una cinquantina di loro venne fucilata. Il numero preciso dei soldati senegalesi giustiziati quella notte non è certo, le cifre più prudenti parlano di 150 esecuzioni sommarie, ma altre inchieste parlano di almeno 500. Nel giugno del 1940 nella Somme si trovava anche il capitano N'Tchoréré, originario del Gabon. Era al comando di una compagnia del 53° reggimento di fanteria coloniale. La sua compagnia aveva il compito di di­fendere la cittadina d'Airaines. Resistette per giorni fino a quando le truppe tedesche non decisero di fare largo uso dei lanciafiamme. N'Tchoréré, rimasto con soli 15 uomini, decise di arrendersi. I dieci prigionieri neri vennero divisi dai cinque bianchi. Il capitano si oppose e per questo venne giustiziato sommariamente e il suo corpo stritolato sotto i cingoli di un blindato. I cittadini di Airaines, nel dopoguerra, gli hanno dedicato il viale di accesso alla città: avenue N'Tchoréré. Questi non furono gli unici crimini commessi dalla Wehrmacht contro le truppe coloniali francesi, la lista è piuttosto lunga e lo stesso trattamento colpì, anche se molto più raramente, i soldati afroamericani. Il caso più noto è quello degli «11 di Wereth», cittadina alla frontiera tra Belgio e Germania, quando 11 soldati di colore del 333° Field Artillery Battalion vennero brutalmente torturati e uccisi a colpi di baionetta dalle Ss. Era il dicembre del 1944. Sul luogo dell'eccidio sorge oggi il Wereth Memoria!. In tutti questi casi, però, non si trattò di una direttiva precisa del comando della Wehrmacht, altrove i neri vennero fatti prigionieri e trattati come i loro commilitoni bianchi. Sul comportamento arbitrario dei singoli pesarono decenni di propaganda contro i «neri selvaggi» e i «bastardi del Reno» iniziati già prima dell'avvento dei nazisti. Diverse ragioni si pensa abbiano influito sulla scelta di non calcare la mano sulla questione afrotedesca. Senza dubbio ha pesato lo scarso numero, erano poche migliaia, il loro scarso potere e, secondo alcuni storici, anche il pensiero che, una volta che i tedeschi avessero riottenuto i possedimenti coloniali, sarebbero stati rispediti in Africa. Prima della guerra il regime nazista li utilizzò anche per una campagna antiamericana. Hitler sopportava a fatica le critiche degli americani alla sua politica razzista e anche su questo si era già espresso nel Mein Kampf «Il diritto di cittadinanza s'acquista oggi in prima linea col nascere entro i confini d'uno Stato. La razza o l'appartenenza alla nazione non hanno in ciò nessuna parte. Un Negro, vissuto una volta nei territori di protettorato tedesco, e ora dimorante in Germania, mette al mondo un figlio che è cittadino tedesco. E così, ogni figlio di ebrei o di polacchi o di africani o di asiatici può essere senz'altro dichiarato cittadino tedesco. [...] Considerazioni razziste non vi hanno la minima parte. So che queste cose non si odono volentieri; ma non esiste nulla di più assurdo, di più irritante dell'odierno diritto di cittadinanza. C'è oggi uno Stato in cui si manifestano almeno i primi indizi d'una concezione migliore: e non è la nostra esemplare repubblica tedesca, ma l'Unione americana, dove si tenta di fare appello almeno in parte alla ragione. L’Unione americana rifiuta gli elementi cattivi dell'immigrazione, ed esclude semplicemente certe razze dalla concessione della cittadinanza». Per questo le critiche statunitensi alla politica razzista del Terzo Reich fecero imbufalire i nazisti, tanto che, nel 1938, il giornale delle Sa pubblicò delle vignette in cui si mostravano neri impiccati o attaccati alla sedia elettrica, mentre lo Zio Sam, con tanto di stella di Sion appiccicata sul petto, protestava contro i «metodi barbari tedeschi». Il tutto per mostrare l'ipocrisia degli americani. Goebbels si inventò anche un metodo umiliante per arricchire e controllare i tedeschi dalla pelle nera: l'AfrikaSchau. Una compagnia itinerante di ballerini e acrobati afrotedeschi, finanziata dal ministero degli Affari esteri, che proponeva, a scopo di propaganda, il repertorio classico degli stereotipi sugli africani: danze tribali di guerra, stregoni, preghiere pagane eccetera. Molti ballerini e attori afrotedeschi accettarono di essere arruolati nella compagnia perché ben pagati in un periodo in cui molti altri lavori erano preclusi a causa del colore della pelle. Dietro all'idea di pagarli adeguatamente c'era anche l'intenzione di riunire i neri sotto al tendone di un circo per evitare che andassero in giro a corrompere - sono le parole del Führer - «le nostre giovani, bionde, inesperte fanciulle». Purtroppo per Hitler il progetto fallì miseramente. L’Afrika-Schau si mostrò un'arma di propaganda spuntata tanto che Goebbels chiuse l'esperienza dopo che il responsabile del progetto gli fece sapere che l'isolamento sociale dei neri era insufficiente e che non riusciva a proibire i rapporti con le donne tedesche. Lo mostra tragicamente la storia di Mohamed Bayume Husen. Cresciuto in Tanzania si era arruolato nell'esercito coloniale tedesco dopo la Prima guerra mondiale, poi, arrivato in Germania, si era fatto ingaggiare dall'Afrika-Schau. Proprio negli ultimi giorni di vita della compagnia si era innamorato di una donna tedesca da cui ebbe un figlio che ebbe la malaugurata idea di voler riconoscere. Questo gli costò l'arresto con l'accusa di «attentato alla purezza della razza tedesca». A settembre del 1941 venne inviato nel campo di concentramento di Sachsenhausen dove morì nel novembre 1944. Da Sachsenhausen passò anche Anton de Kom, membro di un gruppo anticolonialista e successivamente della resistenza olandese. Nato nel Suriname, nel 1920 si trasferì nei Paesi Bassi e con l'occupazione tedesca si unì alla resistenza locale. Il 7 agosto del ’44 venne arrestato a Scheveningen e mandato a Vugh, uno dei tre campi di concentramento costruiti dai nazisti in Olanda. Fu poi deportato insieme agli ebrei a Sachsenhausen e successivamente in uno dei campi di concentramento satelliti di Neuengamme, dove morì di tubercolosi nel 1945. Il suo cadavere venne seppellito in una fossa comune. Inserito nella lista dei «Grandi olandesi», gli è stata dedicata una bella piazza di Amsterdam nell'area chiamata Bijlmermeer, ispirata ai principi di Le Corbusier. La mortalità dei neri nei campi di detenzione era altissima. Considerati una razza inferiore erano ridotti in stato di schiavitù, spesso gli era proibito parlare con i compagni di sventura dalla pelle bianca e, in molti casi, ai prigionieri neri non era concesso il rispetto della convenzione di Ginevra. Numerosi furono anche gli artisti di origine africana che vennero inviati nei campi di concentramento. Di Joseph Nassy raccontiamo nelle pagine successive. Seguirono la sua stessa sorte il cantante John Williiam, il trombettista jazz James Arthur Briggs, arrestato dai nazisti a Parigi nell'ottobre del 1940 e inviato nel campo di Saint Denis e la più nota Valaida Snow. Nata in una famiglia di musicisti in Tennessee veniva chiamata «Little Louis» per il suo stile alla Louis Amstrong nel suonare la tromba. Incominciò a fare tournée in Europa e lo scoppio della guerra la colse in Danimarca mentre si esibiva con il suo gruppo composto interamente da donne. I nazisti la arrestarono nel 1940 per possesso di droga. Nera, eccentrica, interprete di «musica degenerata» (il jazz), i suoi 18 mesi di detenzione a Wester-Faengler furono durissimi. Venne liberata grazie a uno scambio di prigionieri, ma la detenzione le danneggiò seriamente la salute. Non rese mai pubblici i dettagli della sua detenzione e tornò a calcare le scene fino alla morte sopraggiunta nel 1956. Raphael Élizè, originario della Martinica, era una celebrità senza essere un artista. Era stato il primo sindaco nero della Francia metropolitana a Sablé sur Sarthe, una cittadina nella regione dei Pays de la Loire, a quaranta minuti da Le Mans. Socialista, aveva avviato una serie di importanti lavori pubblici a partire dai primi anni Trenta. Partito per il fronte nel settembre del 1939 ritornò a Sablé nel giugno del 1940, ma venne destituito ufficialmente dai tedeschi dalla carica di sindaco. Entrò quindi nella resistenza e venne arrestato nel settembre del 1943. Nel gennaio del 1944 venne deportato a Buchenwald, dove morì il 9 febbraio 1945. Otto mesi dopo, il 16 ottobre 1945, il consiglio comunale di Sablé decise di dedicargli la piazza centrale della "sua" città.

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da «Diario del mese», 26 gennaio 2007, per gentile concessione

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