Diario
La città abruzzese dedica la giornata della memoria all’olocausto dimenticato dei rom e sinti. Che ancora oggi vivono una pesante discriminazione.
L’Aquila per i rom
David Santoro
L' Aquila sarà forse la prima città al mondo a dedicare il 27 gennaio ai circa cinquecentomila rom e sinti sterminati dai nazisti durante la Shoah. Anche per loro, come per gli ebrei, la tragedia è stata resa possibile da un clima culturale dominato da pregiudizi e da teorie pseudoscientifiche, in particolare in campo genetico; su questa base e sul sistema discriminatorio già esistente hanno poi trovato terreno fertile le idee e le politiche fondate sull'odio razziale. A Monaco, in Germania, già nel 1899 era stata istituita la Zigeunerpolizeistelle, un ufficio di polizia incaricato di controllare specificamente la popolazione romani. Poi, una volta giunti al potere nel 1933, i nazisti inaspriscono le norme repressive nei confronti di questa comunità e nel 1935 promulgano due nuove leggi con cui si dichiarano zingari e ebrei cittadini di seconda classe, per via del loro sangue impuro. Nel 1936 iniziano le deportazioni di rom e sinti verso Dachau, Buchenwald, Mauthausen e Ravensbrück cui successivamente si aggiunge il campo di Auschwitz-Birkenau. Lo psichiatra e neurologo Robert Ritter, fondatore dell'Istituto nazista per la questione zingara di Berlino, stabilisce criteri «rigorosi» per individuare gli appartenenti a queste comunità arrivando a colpire persino cittadini che avessero anche solo un nonno di sangue misto. Nel 1942 Ritter ha già schedato 30 mila persone, più o meno l'intera popolazione romanì della Germania. L’Italia di Mussolini non sta a guardare: nel 1938 vengono promulgate le leggi razziali che colpiscono gli ebrei e tra il 1940 e il 1941 vengono emanate disposizioni per l'internamento degli zingari italiani. Alla fine della guerra i rom e sinti sterminati sono circa mezzo milione. Ritter però, nonostante il ruolo svolto con le sue ricerche volte a individuare «zingari e semizingari», mantiene incarichi direttivi nel sistema sanitario tedesco fino al 1950 quando, messo sotto processo, si toglie la vita. Il prof. Santino Spinelli, docente all'università di Trieste, musicologo e musicista appartenente a una famiglia rom abruzzese di antico insediamento, ricorda che la tragedia ha sfiorato anche la sua famiglia: «Mio padre è stato internato da bambino, a otto anni, in un campo che si trovava in provincia di Taranto, in un paesotto sperduto di cui non ricorda il nome. Con l'avanzata degli alleati da sud i tedeschi sono scappati e hanno abbandonato il campo. Mio padre racconta di essere tornato a casa a piedi per le campagne. La famiglia di mia madre invece non venne catturata semplicemente perché mio nonno aveva la residenza, un documento, e poteva dimostrare di essere cittadino del luogo. Mia madre ricorda perfettamente che vennero a prendere tutta la famiglia con due camionette, passarono una notte all'addiaccio a Castel di Sangro e vennero inviati a un campo "di sorveglianza"e non di sterminio. Certo è che Agnone doveva diventare il luogo destinato ai rom, e questa non poteva che essere la premessa a qualcosa di nefasto. Se la guerra si fosse protratta più a lungo probabilmente sarebbe diventato un campo di sterminio, ma non fecero in tempo». Non si tratta però solo di ricordare il passato; perché un simile orrore non si ripeta occorre infatti che la memoria alimenti la coscienza di tutti i cittadini. «Invece i rom negli ultimi 70 anni sono stati vittime di tre genocidi», afferma Spinelli riferendosi in primo luogo a quello nazista,« che però è stato dimenticato», in secondo luogo alla pulizia etnica attuata da Milosevic nella ex Jugoslavia che ha provocato uccisioni deportazioni e stupri di massa «ma che è stato ignorato», e infine, rischiando di sorprendere molti, a quello attualmente in corso anche nel nostro paese. «Quello dei campi nomadi è un genocidio invisibile», spiega Spinelli, «è una forma di sterminio moderno, democratico. Il campo è la forma materializzata della segregazione, della diffidenza che un luogo determinato ha nei confronti dei rom. Nei cosiddetti campi nomadi ci sono bambini che muoiono per malattie ormai debellate dalla società civile o addirittura per assideramento, vecchi che muoiono per incendi provocati da cortocircuiti... In una società come la nostra è qualcosa di veramente riprovevole ed è la conseguenza della politica di segregazione razziale. Ma non se ne parla mai in questi termini, anzi si parla addirittura di "espressione culturale": si dice "sono loro che vogliono vivere in questo modo", come dire che uno per scelta va a vivere in mezzo al fango. Per massacrare un popolo bisogna togliergli la dignità, poi il nome, e infatti non ci chiamano rom, ma nomadi o zingari o gitani... un popolo che non è chiamato con un etnonimo non esiste e se non esiste non ha diritti, questa è la tecnica della repressione verbale. Noi non siamo nomadi per cultura, possiamo abitare in una casa senza perdere la nostra identità contrariamente a quanto pensano alcuni. In questo modo si giustifica la segregazione, ecco perché gli intellettuali italiani non protestano. Non è che non siano sensibili, ma non percepiscono l'inganno e le organizzazioni che si occupano dei rom spesso sono complici di questa situazione; hanno contribuito a creare questa mistificazione perché occuparsi dei rom, gestire i campi significa gestire un sacco di soldi... Noi invece abbiamo interesse a smantellare questo sistema. I rom sono discriminati anche sul piano dei diritti: hanno difficoltà a trovare casa, lavoro, assistenza sanitaria; in certe Asl le donne vengono respinte e i medici rifiutano con diversi pretesti di sottoporle a visita ginecologica, cosi come si trovano pretesti per allontanare i bambini rom dalla scuola. In questo modo il diritto alla salute e allo studio sono negati». Perciò la scelta della Provincia dell'Aquila di mettere rom e sinti al centro della giornata della memoria e di ricordarne con una targa lo sterminio acquista un forte valore simbolico. «La scelta di apporre la targa commemorativa a L’Aquila nel comprensorio di Collemaggio», dice Spinelli, «è senz'altro significativa, poiché è lì che aveva sede e svolgeva i suoi interrogatori la Gestapo, che tra i molti altri ha torturato anche il rom Vincenzo Morelli. Sono sei secoli che viviamo su questo territorio, in Italia, e finora da parte delle istituzioni c'è stata al massimo indifferenza. È importante che ci sia un luogo della memoria dove possiamo far emergere la cultura, la civiltà del nostro popolo». Spinelli, che da anni organizza a Lanciano, dove vive, un festival internazionale dedicato all'arte e alla cultura rom, individua nella conoscenza reciproca una delle chiavi per spezzare la catena dei pregiudizi. Dall'estete scorsa infatti ai concerti di Spinelli, in arte Alexian, e del suo gruppo si è affiancata una mostra che riunisce fotografie, documenti e prodotti artigianali rom, con l'obiettivo di avviare un percorso di conoscenza della storia e della cultura di questo popolo. Il progetto, battezzato Differenti identità, si è svolto in diversi Comuni abruzzesi come L’Aquila, Sulmona, Castel di Sangro e Avezzano, raccogliendo l'interesse di un pubblico numeroso, ed è stato sostenuto dalla Provincia dell'Aquila che ha inoltre patrocinato un doppio cd di Alexian dedicato alla musica romani intitolato Andre miro romano gi, un «Viaggio nella mia anima rom» dalle origini indiane fino all'incontro col jazz. L’assessore provinciale alle politiche sociali Teresa Nannarone sottolinea la necessità di un dialogo con le comunità rom, in particolare con i giovani di cui occorre favorire la frequenza scolastica e la formazione professionale, e indica in Spinelli un possibile mediatore culturale. Altre iniziative sono poi previste in ambito locale a favore delle donne rom per sostenerle in un percorso di integrazione ed emancipazione femminile che, afferma l'assessore, «non riguarda solo loro, ma tutte le donne». Musica e memoria tornano ancora nel progetto di Alexian di un cd in cui sono raccolte composizioni dedicate all'olocausto dei rom e che sarà presentato in occasione della giornata della memoria. Infine, ancora un'iniziativa musicale e interculturale dell'attivissimo artista, che sarà realizzata nello stesso periodo in collaborazione con l'Orchestra sinfonica abruzzese, punta all'incontro tra musica romani e tradizione colta occidentale. «Si tratta» dice Spinelli, «di invertire il processo consueto, di cui esistono numerosi esempi nella musica europea, in cui i compositori si appropriano delle musiche rom per inserirle in un quadro musicale "classico". Qui, al contrario, il compito dell'orchestra sarà di potenziare elementi musicali della cultura romanì attraverso una delle maggiori espressioni della musica colta. È un esperimento nuovo, ma anche un momento di dialogo interculturale, perché noi non vogliamo essere oggetto di studio per pochi ma di confronto per molti».
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da «Diario del mese», 26 gennaio 2007, per gentile concessione |