Diario
L'ultima
preda
Un
anziano signore spagnolo in realtà è il «dottor Morte» di Mauthausen. Ovvero
Aribert Heim ricercato sino all'ultimo da Simon Wiesenthal
Gabriele
Eschenazi
Ibiza.
Una giornata d'estate. Due turisti israeliani si aggirano in un negozio di
souvenir. Parlano in ebraico ad alta voce, Le loro chiacchiere attirano
l'attenzione di un anziano alto, prestante, che in spagnolo con l'accento
marcatamente tedesco li insulta con epiteti antisemiti. Un'improvvisa
esplosione di odio che non lascia indifferenti i due malcapitati israeliani.
Tornati in patria raccontano il loro episodio a Efraim Zuroff direttore del
Centro Wiesenthal di Gerusalemme. Per Zuroff è una notizia bomba. Quell'anziano spagnolo è con tutta probabilità Aribert Heim, il criminale nazista
più ricercato del mondo dopo Alois Brunner, assistente di Eichmann da anni
nascosto in Siria. Una cicatrice a V sul viso notata dai due turisti lo
confermerebbe. I crimini di Heim, medico di professione, ricordano quelli di Yosef Mengele. Come Mengele anche Heim si è meritato l'appellativo «dottor
Morte». Lavorò come medico a Sachsenhausen e Buchenwald, ma è a Mauthausen
che la sua mente perversa concepì gli atti più atroci. Gli bastarono sette
settimane in quel campo di sterminio dall'8 ottobre al 29 novembre 1941 per
realizzare esperimenti tanto crudeli quanto inutili e assurdi sul piano
scientifico. Iniettava nei prigionieri benzene, un veleno usato come
solvente e insetticida. Voleva verificare per quanto tempo sarebbero stati in
grado di sopravvivere in quelle condizioni. Un'altra sua specialità erano le
operazioni inutili compiute senza alcuna anestesia. Li considerava dei test
sulla capacità di sopportazione al dolore. A due giovani ebrei olandesi, una
volta, rimosse le appendici condannandoli a morire dopo una lenta agonia da
lui cronometrata con precisione teutonica. Decapitò, poi, i loro cadaveri,
mise a bollire le teste e conservò i loro teschi ripuliti in bella mostra
sulla sua scrivania insieme a un paralume confezionato con la pelle di un
prigioniero. Tra le sue vittime molti ebrei, ma anche molti spagnoli. Ed è
tra questi ultimi che si conta ancora qualche testimone sopravvissuto agli
esperimenti Heim. «Il mio corpo era paralizzato, la mia urina era rossa e il
mio viso trasudava sangue», racconta Marcelino Bilbao, un sopravvissuto di 85
anni, che non dimentica quel volto anche se non sentì mai la sua voce. Mentre
prestava le sue «cure» il medico nazista, infatti, non proferiva parola. Aribert Heim era nato a Bad Radkersburg in Austria il 28 giugno 1914. Era il
figlio di un poliziotto e di una casalinga. Studiò medicina e concluse il suo
dottorato a Vienna. Era un grande ammiratore di Hitler e questo lo spinse nella
primavera del 1941 ad arruolarsi volontario nelle Waffen Ss. In ottobre fu
inviato a Mauthausen e in dicembre spostato a Vienna in un ospedale da campo
delle Ss, dove rimase fino alla fine della guerra quando fu catturato dagli
americani il 15 marzo del 1945 e inviato in un campo per prigionieri di guerra.
La sua prigionia non durò a lungo. Gli americani lo rilasciarono in
circostanze poco chiare e lui si rifece una vita gestendo una clinica
ginecologica a Baden Baden e praticando l'hockey su ghiaccio nel tempo libero.
Qui rimase tranquillamente fino al 1962, quando chiuse tutto e scomparve.
Aveva ricevuto una soffiata da un suo informatore: la polizia austriaca aveva
aperto un fascicolo su di lui con l'accusa di essere un criminale nazista e
aveva emesso un ordine di cattura internazionale. Delle tappe della sua
latitanza si sa poco. A tentare di ricostruirne parzialmente il percorso ci ha
provato il quotidiano spagnolo El Mundo, secondo il quale Heim sarebbe
vissuto fino al 1967 in Egitto e tra il 1979 e il 1983 in Uruguay dove avrebbe
aperto una clinica. Risalirebbe invece al 1985 il suo trasferimento in Spagna,
dove quest'estate è stata appunto segnalata la sua presenza. Ad aiutarlo
sarebbero stati una rete di protezione organizzata da estremisti di destra e
vecchie organizzazioni fasciste spagnole e i suoi parenti in Germania. Meno
ipotizzabile è invece un coinvolgimento della mitica organizzazione Odessa,
che dopo la guerra aiutò i nazisti a scappare e che secondo Zuroff nel 1962
non era ormai più operativa. Per anni il «dottor Morte» sembrava scomparso
nel nulla. La moglie, pure lei medico, che aveva divorziato da lui nel 1967,
ha sempre sostenuto di non avere idea di dove si trovasse e che se avesse
conosciuto il suo passato certamente nel 1949 non lo avrebbe sposato. Il resto
della famiglia ha, invece, sempre insistito nel dichiarare che era morto in povertà
per cancro in Argentina nel 1993 senza però essere in grado di dimostrarlo.
Nel 2001 Heim si tradisce. Il suo avvocato Fritz Steinacker, già legale di
Mengele, avvia per conto di Heim un'azione legale per ottenere una riduzione
di tasse su profitti da capitale e si rifiuta di comunicare dove si trovi il suo
cliente. La polizia tedesca, che insieme a quella austriaca aveva posto su di
lui una taglia di oltre 150 mila euro e diffuso un identikit, intensifica le
indagini e nel 2003 scopre un conto a lui intestato in una banca di Berlino,
dove è depositata la ragguardevole cifra di un milione di dollari mai
reclamati dai suoi eredi evidentemente informati del suo essere ancora in vita.
Non si trattava inoltre di soldi «fermi». Tra il 2000 e il 2003 la banca aveva
registrato 100 bonifici su un conto spagnolo. Ed è nel Paese iberico che si
spostano le ricerche. A ricevere i soldi dalla famiglia di Heim in Spagna sono
un pittore italiano di nome Pisano e la sua moglie francese, entrambi
residenti in Costa Brava a Palafrugell. Il figlio di Heim rimetteva loro
regolari somme di denaro giustificate con investimenti di vario tipo. Il più
recente all'inizio del 2005 è stata la costruzione di una galleria. Dai
controlli sui due coniugi si è scoperto l'invio di un pacco sospetto nella
vicina cittadina di Roses. Questo indizio ha avvalorato il sospetto che Heim si
rifugiasse nei dintorni. La polizia spagnola ha cominciato così a cercarlo
nelle cittadine di Palafrugell e Roses, in tutti gli appartamenti di vacanza
della zona e soprattutto nella cittadina costiera di Denia, ubicata a breve
distanza da Ibiza e Mallorca, una delle località preferite dai pensionati
tedeschi. Ne vivono qua circa diecimila alloggiati in confortevoli ville con
piscina e vista mare, circondate da insuperabili inferriate e senza nomi sui
citofoni. A fondare Denia sarebbero stati 60 anni fa alcuni ufficiali delle
Ss, che ne fecero un rifugio per nazisti in fuga con la compiacenza del regime
del dittatore Franco. Nè a Denia, però, né in altre località spagnole si
è trovata traccia del criminale nazista e si è fatto largo così il sospetto
che Heim fosse scappato in Danimarca approfittando dello spazio Schengen. Una
conferma in tal senso è arrivata da una notizia pubblicata dal quotidiano
spagnolo El Mundo secondo il quale la famiglia di Heim aveva aperto un
conto in banca a Copenaghen. L’avvistamento del turista israeliano di
quest'estate ha però ricondotto la caccia sul territorio spagnolo. La rete di
protezione che per decenni ha consentito a Heim di evitare la cattura e il
processo sembra essersi ormai dissolta e forse è proprio per questo che Zuroff crede che oggi «le probabilità di catturarlo siano del 50 per cento».
«Gli spagnoli non si sono mai interessati realmente all'arresto di Heim e
neanche l'avvento della democrazia nel 1975 contribuì a cambiare la
situazione», dice Zuroff a Diario, «In Spagna è mancata la coscienza
della Shoah. Gli spagnoli pensavano di non esservi stati coinvolti durante la
guerra e quindi non gli interessava». Il generale Franco offrì dopo il 1945
asilo a numerosi ufficiali nazisti e collaborazionisti del regime di Hitler.
Tra questi Auke Pattist, collaborazionista olandese ancora in vita, e Léon
Degrelle, un nazista belga deceduto nel 1994. Altri nazisti riuscirono a
emigrare in Sudamerica transitando dalla Spagna grazie all'aiuto di burocrati
locali. Sulla presenza nazista in Spagna ha indagato a lungo Maria José Irujo,
noto giornalista del quotidiano El Pais e autore del libro La lista
nera, nel quale fa i nomi di 104 nazisti rifugiati in Spagna alla fine
della guerra e ricercati dagli Alleati. Sotto Franco i nazisti non avevano
nulla da temere. Il caudillo li proteggeva per ringraziarli dell'appoggio
ricevuto dalla Germania hitleriana durante la guerra civile spagnola. Anche la
Chiesa cattolica secondo Irujo accolse diversi nazisti sotto le sue ali e li
fece sparire nei suoi palazzi e nei suoi monasteri. Lo Stato iberico e in
particolare la Costa Brava sono anche diventati i luoghi preferiti per la
sepoltura dei nazisti. Proprio nel cimitero di Denia Maria José Irujo ha
trovato la tomba di Anton Galler, l'ufficiale delle Sa responsabile del massacro
di 400 italiani a Sant'Anna di Stazzema. Galler era vissuto indisturbato a Denia ed era forse stato vicino di casa di Heim. La solidarietà spagnola nei
confronti dei superstiti del regime hitleriano continuò anche nella Spagna
democratica. Ne ha fatto le spese lo stesso Irujo qualche anno fa quando
dopo aver pubblicato su El Pais l'elenco dei nazisti residenti in Spagna
si vide negare l'accesso agli archivi di Stato dal governo Aznar con la
motivazione, che non si poteva violare né la loro privacy né quella dei loro
familiari. L’assenza d'impegno nella caccia ai nazisti non è mai dipesa in
Spagna dal colore politico. Già sotto il governo del socialista Felipe
Gonzales la Corte nazionale di giustizia si era più volte pronunciata contro
l'apertura di procedimenti legali contro rifugiati nazisti. La motivazione
addotta era quasi sempre quella che la giurisdizione spagnola non prevede il
reato di apologia di genocidio. Nel 1996 una modifica di legge ha annullato
questa stortura, ma ciò nonostante per gli spagnoli scavare nel loro passato
filonazista è rimasto un tabù. Oggi con la vicenda di Heim qualcosa è
cambiato e il governo Zapatero non fa mancare la sua collaborazione
all'inseguimento di Heim, che peraltro potrebbe non trovarsi più in Spagna. «Il
caso Heim è il primo vero caso per il quale si siano mobilitati e forse è
proprio perché c'è un legame spagnolo con la vicenda di questo ricercato.
Molti repubblicani spagnoli sono stati prigionieri a Mauthausen e lì sono stati
trucidati. Una coscienza della Shoah si sta facendo strada anche in Spagna. In
più oggi esistono degli obblighi che derivano dalla Ue. Se la Germania chiede
collaborazione per un'azione di polizia internazionale gli spagnoli sono
obbligati a collaborare», spiega ancora Zuroff. La cattura di Heim è per
Efraim Zuroff una missione, che ha ereditato da Simon Wiesenthal, scomparso il
20 settembre del 2005 proprio quando stava ancora lavorando alla cattura di Heim.
Zuroff, che oggi a 56 anni dirige il Centro Wiesenthal di Gerusalemme, aveva
conosciuto il cacciatore di nazisti 25 anni fa quando preparava un dottorato
sulla storia della Shoah. Quell'incontro cambiò la sua vita. Lo spinse a non
limitarsi ai soli studi, ma a passare anche all'azione. Fece suo il motto del
maestro: «Chi ignora gli omicidi del passato apre la strada agli omicidi del
futuro». Un'eventuale processo a Heim sarebbe per lui un tributo alla memoria
di Wiesenthal, e un'importante occasione aprire uno squarcio su uno degli
aspetti più perversi della macchina della tortura nazista. «Un processo a Heim
non potrebbe sostituire completamente il processo a Mengele, che non si è potuto
fare, ma parzialmente sì», sottolinea Zuroff. «Si aprirebbe infatti
un'opportunità di parlare del tema medico, dell'uso perverso della medicina
da parte del regime nazista. Tra Mengele e Heim ci sono certamente differenze.
Il primo cercava chiaramente attraverso i suoi "esperimenti" una
dimostrazione delle teorie razziste dei nazisti. In Heim questo aspetto è
meno chiaro. Ho l'impressione che nel suo caso si sia trattato più di sadismo
e crudeltà fini a se stesse. Se lo cattureremo potremo chiarire meglio anche
questo aspetto». Degli orrori di Heim non ci sono testimoni ebrei, ma di altre
nazionalità sì. I nomi sono in possesso della magistratura tedesca così
come tutti i documenti che lo inchioderanno alle sue responsabilità in caso di
processo. «Nessuno può sfuggire alla punizione per i suoi crimini anche in
età avanzata. È questo il senso della caccia e della auspicabile cattura di Aribert Heim», ribadisce Zuroff, che con il Centro Wiesenthal ha lanciato l'Operazione Last Chance. Rimangono ancora pochi anni per rintracciare gli ultimi
criminali nazisti sopravvissuti e il Centro Wiesenthal non intende lasciare
nulla di intentato per tentare fino all'ultimo di assicurarli alla giustizia.
Su ogni criminale nazista rintracciato ha messo una taglia di 10 mila dollari.
Le segnalazioni non hanno tardato ad arrivare. Ne sono arrivate più di 150 e
di queste 50 sono state prese in seria considerazione. Ai primi di novembre il
Centro ha fornito al governo tedesco nomi e informazioni su quattro criminali nazisti
ancora in libertà. Insieme alla caccia a Heim sono questi i primi risultati
dell'Operazione Last Chance, che promette ancora sorprese e quindi la possibilità
di scrivere nuove pagine sulla storia infinita della Shoah.
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da «Diario del mese», 27 gennaio 2006, per gentile concessione |