Diario

Sinagoghe virtuali

Dopo il rogo del tempio di Lubecca, nel 1994, il primo dal dopoguerra, uno studente di architettura tedesco, Marc Grellert, ha cominciato a ricostruire al computer gli edifici distrutti. Finora ne ha «rifatti» 18

Elena Comelli

Dalla skyline di Francoforte manca qualcosa. Non salta all'occhio come lo squarcio gigantesco aperto nel profilo di Manhattan dall'attacco alle Twin Towers, ma resta un vuoto inquietante, frutto dello stesso odio. Mancano le quattro grandi sinagoghe della città, distrutte dalla furia nazista nella Kristallnacht, fra il 9 e il 10 novembre 1938, insieme a un migliaio di altre in tutta la Germania. In poche ore è andato perduto un patrimonio architettonico e culturale di inestimabile valore, testimonianza di un lungo e fruttuoso intreccio di destini fra i tedeschi di fede cristiana e di fede ebraica. Ma c'è qualcuno in Germania che avverte la mancanza. A sessant'anni dalla tragedia, Marc Grellert, uno studente di architettura non ebreo dell'università di Darmstadt, vicino a Francoforte, ha tentato una ricostruzione virtuale di quegli edifici, ricreando al computer, insieme a una cinquantina di colleghi, pilastri e arcate, fregi e arredi, esterni e interni di alcuni fra i più significativi templi distrutti. Un'opera ciclopica, avviata dopo il rogo della sinagoga di Lubecca, che un gruppetto di naziskin ha dato alle fiamme il 25 marzo 1994. Nella sinagoga incendiata nessuno si è fatto seriamente male, ma era la prima volta dalla fine della guerra che si rinnovava in Germania l'incubo dei pogrom e per Marc Grellert è stato il segnale d'allarme della barbarie che ritorna. Da quel rogo è nata l'idea di chiedere al suo professore Manfred Koob - che si era già fatto un nome con la ricostruzione virtuale dell'abbazia di Cluny - di organizzare un seminario sulle sinagoghe distrutte. Koob tentennava, timoroso di toccare qualche nervo scoperto nella comunità ebraica, ma alla fine l'entusiasmo degli studenti ha avuto la meglio. «Come architetto, volevo rivedere quello che i nazisti avevano distrutto. E mostrarlo agli altri. Come uomo, volevo dare ai giovani tedeschi un'opportunità di riflettere sul proprio passato, usando i nuovi media. Per parlare ai ragazzi del ventunesimo secolo bisogna utilizzare le tecnologie del ventunesimo secolo», spiega Grellert. Gli studenti hanno cominciato il lavoro nel 1995, andando alla ricerca dei progetti di ogni sinagoga negli archivi in giro per la Germania. Basandosi su questi, hanno disegnato le proiezioni bidimensionali di interni ed esterni. Da lì sono passati al computer, ricostruendo ogni sinagoga pietra per pietra: i dettagli, come gli arredi o le tende, vengono dalla documentazione fotografica o dai ricordi personali dei sopravvissuti. Per Grellert, la fase più interessante del processo è stata proprio questa: «Alcune città in Germania invitano ogni anno gli ebrei superstiti che erano vissuti là a ritornare in visita e noi siamo andati a questi incontri portando ci dietro un computer per attingere alle loro memorie: mostravamo le immagini sullo schermo e chiedevamo ai frequentatori delle diverse sinagoghe se combaciavano con i loro ricordi, se c'era qualcosa di diverso, se potevano aggiungere qualche particolare, come il colore di una vetrata, la forma di una lampada, il fregio di una ringhiera». Il lavoro completo, a detta dei testimoni, è di una verosimiglianza impressionante: per alcuni templi è stata aggiunta un'animazione che dà al visitatore l'impressione di muoversi all'interno dell'edificio. Merito del progresso tecnologico, che con i software Cad (Computer-aided design) più avanzati consente riproduzioni virtuali estremamente sofisticate di spazi tridimensionali. Quest'opera, che lo ha accompagnato per un decennio e resta ancora un work in progress, si può visitare nel sito www.synagogen.info, che oltre alle 18 ricostruzioni virtuali contiene anche un vasto archivio di dati e ricordi su migliaia di sinagoghe distrutte in Germania e in Austria. Grellert ormai non è più uno studente e insegna nella stessa Università di Darmstadt, ma è rimasto un ragazzo con la coda di cavallo, forse anche grazie a questo pro­getto, che lo ha portato in giro per il mondo, prima di tutto in Israele e negli Stati Uniti, per raccogliere fotografie, dipinti, ritagli di giornale, ricordi su cui ha basato le ricostruzioni e poi per esibire il suo lavoro. «Le sinagoghe», precisa Grellert, «rappresentavano un elemento architettonico tipico di moltissime città tedesche: erano una parte della nostra cultura, comune a ebrei e non ebrei. Oggi questo aspetto della storia tedesca non è più visibile nel panorama urbano, al massimo qua e là sono state apposte delle lapidi per ricordare l'esistenza degli edifici dati alle fiamme. A mio parere invece si dovrebbe cercare, laddove possibile, di utilizzate degli elementi architettonici per dare un'idea dell'importanza che le sinagoghe avevano nel profilo cittadino. Per esempio a Vienna, al posto del tempio della Tempelgasse, oggi sorgono quattro possenti colonne che riecheggiano lo stile della facciata distrutta. A Francoforte, dove sorgeva la sinagoga della Börneplatz, è stato riprodotto il contorno delle fondamenta nel selciato della piazza». Proprio da Francoforte, con oltre 30 mila ebrei il più grosso centro ebraico della Germania prima del 1933, una comunità fiorente e integrata come poche altre in Europa, è partita la ricerca degli studenti di Darmstadt. Qui sorgevano tre dei templi «ricostruiti»: la sinagoga centrale della Judengasse, inaugurata nel 1860, il tempio della Börneplatz, sorto nel 1881-82 e la sinagoga della Friedberger Anlage, la più recente (del 1907) e la più grande, con oltre 1.600 posti a sedere. Si trattava di tre edifici di un certo pregio, il primo dei tre progettato da un architetto tedesco piuttosto noto, Johann Georg Kayser. Il tempio della Judengasse, costruito in stile neogotico con elementi orientaleggianti al posto di una sinagoga preesistente quando questa si era rivelata troppo piccola, tradiva la fierezza e la tranquillità d'animo raggiunta dalla comunità nella seconda metà dell'Ottocento, quando ormai lo status degli ebrei in Germania era sostanzialmente equiparato a quello dei connazionali cristiani e la piena emancipazione consentiva di praticare la propria fede apertamente. L’intreccio del neogotico con particolari esotici sta chiaramente a significare la simbiosi fra la tradizione tedesca e le origini medio­rientali della religione ebraica. Il tempio della Börneplatz era meno vistoso: di stile vagamente rinascimentale, molto rigoroso all'interno, al contrario della sinagoga nella Judengasse evitava senza compromessi ogni apparentamento con i caratteri tipici dell'architettura sacra cristiana. Visto dall'esterno, tranne forse per le grandi fine­stre al secondo piano, avrebbe potuto contenere tranquillamente case di abitazione, com'era tradizione peri templi ebraici, che preferivano non dare troppo nell'occhio. La sinagoga della Friedberger Anlage, un bell'edificio Art Nouveau costruito per ospitare la comunità ortodossa, testimoniava della definitiva scissione degli ortodossi dai riformati, una branca più liberale dell'ebraismo, nata in Germania alla fine del Settecento, e diventata largamente prevalente nel corso dell'Ottocento, tanto da provocare una frattura con la minoranza più osservante. I tre templi «ricostruiti» da Grellert e compagni furono incendiati dalle squadracce della Hitlerjugend nella notte del 9 novembre 1938. Nei giorni seguenti la comunità fu costretta a farsi carico della demolizione completa e della rimozione delle macerie (dei 30 mila ebrei di Francoforte, quasi 20 mila riuscirono a scappare in tempo, oltre 10 mila, increduli di fronte alla barbarie, furono uccisi). Da allora, le sinagoghe sono sparite dal profilo architettonico delle città tedesche. Ma non solo dalla memoria urbana: anche dalla memoria della popolazione. Laddove si ergevano i templi degli ebrei oggi ci sono pompe di benzina, teatri, uffici, ristoranti, abitazioni: 150 anni di progresso civile, cominciato con la costruzione della prima sinagoga «visibile», nel 1798, a Karlsruhe, sono andati in fumo in una notte. I templi distrutti nella Kristallnacht rappresentavano la testimonianza dell'evoluzione sociale oltre che culturale di una società intera, espressa nel nuovo abbraccio fra la comunità ebraica e il mondo circostante. Era proprio in Germania che l'emancipazione degli ebrei, arrivata con la diffusione dell'Illuminismo fra i principi tedeschi, aveva scatenato gli effetti più vistosi. La presenza ebraica fra le tribù germaniche durava ormai da 1.500 anni senza interruzione: cacciati dall'Inghilterra nel 1290, dalla Francia nel 1394 e dalla Spagna nel 1492, gli ebrei giunti in Europa ben prima della diffusione del cristianesimo, dalla Germania non erano stati cacciati mai. Fino all'epoca dei Lumi, la vita della comunità si era sviluppata sottotono e solo nei piccoli centri, non nelle grandi città, che erano precluse agli ebrei. Le sinagoghe erano sempre state edifici modesti che cercavano di dissimularsi nel tessuto urbano senza dare nell'occhio. Del resto la sinagoga è soprattutto una «casa d'incontro» e «di studio», più che «di culto» (come indicano i tre termini ebraici con cui si usa definirla, di cui il primo è prevalente: bet ha-knesset, bet ha-midrash, bet ha-tefilla). In questo senso il suo carattere si distingue nettamente dalla chiesa: non è considerata un luogo particolarmente sacro e quindi non richiede le caratteristiche monumentali tipiche delle chiese cristiane. Ma quando agli ebrei tedeschi, nei primi decenni dell'Ottocento, si aprono le porte delle grandi città e viene data la possibilità di praticare apertamente la propria religione, cresce la voglia di imitare i propri connazionali di fede cristiana. Da qui nascono le prime sinagoghe monumentali, che fino ad allora non erano mai esistite e che diventano sempre più simili a del­le chiese, causando non poco fastidio nei settori più osservanti della popolazione ebraica, fino alla scissione in due branche diverse, ognuna con sinagoghe proprie, caratterizzate da elementi strutturali differenti. «L'architettura», come dice Grellert, «è uno specchio della società». In questo caso si tratta della società tedesca, che nel corso dell'Ottocento si è rapidamente evoluta e radicalmente trasformata, imprimendo una svolta epocale nella vita dei suoi cittadini di fede ebraica, di cui ancora oggi si vedono gli effetti. «All'inizio del XX secolo», spiega Salomon Korn, vicepresidente del Consiglio centrale degli ebrei tedeschi e lui stesso architetto, «c'erano circa 2.800 sinagoghe in Germania. Ben oltre la metà sono state distrutte dai nazisti, in gran parte durante la Kristallnacht, altre centinaia dalla guerra. Le poche decine rimaste in piedi sono state demolite o destinate ad altro uso dopo la guerra, in seguito allo svuotamento delle comunità ebraiche, devastate dalla Shoah. In questo modo è stato quasi completamente sradicato dal paesaggio urbano un ramo un tempo fiorente dell'architettura tedesca». Il tentativo di Grellert di riportare alla luce dal buio della storia questo ramo ormai sradicato ha suscitato grande interesse nell'ebraismo mondiale: il suo progetto ha ottenuto il plauso internazionale e l'anno scorso ha tenuto banco per mesi al Museo della diaspora di Tel Aviv, con una mostra che è servita anche per attirare nuove testimonianze, raccolte da un gruppo di studenti incaricati dall'Università di Darmstadt. La mostra, che era stata portata precedentemente a Bonn e in altre città tedesche, s'inserisce nel ricco filone dell'interscambio culturale fra Germania e Israele. Nel corso dell'ultimo mezzo secolo, i tedeschi hanno riversato circa 30 miliardi di dollari nello Stato ebraico: Conrad Adenauer, firmando il patto di riparazione con Israele nel 1952, sapeva bene che un cittadino israeliano su tre era stato perseguitato dai nazisti. Solo durante la guerra del Golfo, il governo tedesco ha contribuito allo sforzo militare israeliano con 900 milioni di dollari. Sul fronte della ricerca, la Germania ha sostenuto con quasi 400 milioni di dollari la crescita degli istituti israeliani più avanzati. Ma questo rapporto sta arrivando a una svolta: i tedeschi che avevano vent'anni alla fine della guer­ra, nel 2005 hanno raggiunto gli 80. Con ciò, l'attuale società tedesca nel suo complesso può essere ormai esclusa da qualsiasi responsabilità diretta nella Shoah. Il finanziamento di due milioni di dollari l'anno per mandare in Israele centinaia di giovani tedeschi si è interrotto nel 2000, con lo scoppio della seconda intifada. E in base a un recente sondaggio l'80 percento dei tedeschi non ha mai conosciuto un ebreo. Con la fine del senso di colpa, inoltre, si diffonde una crescente insofferenza: come dimostra il caso che ha mosso Grellert, bruciare una sinagoga non è più un tabù. D'altro canto, tramontata la generazione dei colpevoli, i giovani tedeschi si sentono più liberi di affrontare apertamente l'argomento. In tutta la Germania scuole, università e altre istituzioni fanno uno sforzo enorme per diffondere la conoscenza dei temi ebraici nella popolazione. Fioriscono i programmi di studi ebraici nelle università di Heidelberg, Fran­coforte, Monaco, Tübingen e Berlino. Schiere di giovani partecipano ai progetti di volontariato più disparati, dagli stage al Museo Anna Frank di Amsterdam al lavoro nelle case di riposo per anziani ebrei negli Stati Uniti. La musica klezmer si suona in ogni dove e il teatro ebraico dilaga, prevalentemente recitato da compagnie composte da non ebrei. La comunità ebraica in Germania è enormemente cresciuta negli ultimi anni: supera ormai le 100 mila anime, soprattutto grazie all'immigrazione dalla Russia, ma non solo. Il lavoro di Grellert cavalca così l'onda della furia costruttrice che attraversa l'ebraismo tedesco, impegnato in una serie di progetti architettonici senza precedenti, dal Museo ebraico di Berlino disegnato da Daniel Libeskind ai nuovi centri comunitari di Francoforte, Dresda, Düsseldorf, fino alla nuova sinagoga di Monaco, in costruzione in pieno centro. In pratica, si sta avverando il percorso suggerito in maniera molto suggestiva nel Museo ebraico di Berlino. Con una gigantesca stella di Davide destrutturata, Libeskind ha esemplificato le tre vie dell'ebraismo tedesco. La più drammatica è una strada senza uscita che attraversa una serie di sale vuote per culminare nel cul de sac della Torre dell'Olocausto. Un'altra sbocca all'aperto, nel Giardino dell'esilio e dell'immigrazione. La più lunga comincia in un edificio barocco e porta attraverso la Scala della continuità a una serie di mostre permanenti sulla vita ebraica antica e moderna in Germania. Il messaggio è chiaro: gli ebrei tedeschi hanno sofferto una devastazione massiccia, ma l'ebraismo in Germania esisteva molto tempo pri­ma dei nazisti e continuerà a esistere per molto tempo dopo di loro.

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da «Diario del mese», 27 gennaio 2006, per gentile concessione

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