Diario
Equazione
ritrovata
Fuggito
in Francia dai nazisti, il
matematico Wolfang Döblin si
suicidò davanti all'avanzare delle truppe tedesche. Lasciando un mistero
Michele
Emmer
In
questi ultimi anni le storie di matematici hanno appassionato i lettori di
romanzi, gli spettatori di film e di spettacoli teatrali. La vita di Evariste
Galois sembra la trama di un film, morire a vent'anni all'alba per un duello,
forse a causa di una donna, forse per la causa della rivoluzione. Storia che
ispira libri, film e spettacoli a teatro. Dal film di Ansano Giannarelli del
1973 allo spettacolo teatrale di Luca Viganò del 2003. Per non parlare di A
Beautiful Mind, ispirato alla vita del Nobel per l'economia (non esiste
per la matematica) John Nash. Storie drammatiche, violente, insensate.
Ovvio, non tutti i matematici hanno vissuto in questo modo. La maggior parte
ha una vita tranquilla di ricerca, di insegnamento. La matematica ha la
caratteristica di ispirare timore, reverenza, in qualche senso. Uno spettacolo
come lnfinities di Luca Ronconi, andato in scena tra il 2002 e il 2003
cercava di mettere a fuoco, per dirla con le parole di Ronconi, lo «sconcerto»
degli spettatori davanti allo spettacolo dell' «infinito logico-matematico».
Ci sono storie di matematici che restano comunque esemplari come quella di Srinivasa Ramanujan, matematico indiano autodidatta. Isolato in un villaggio
dell'India, aveva scritto nel 1913 a un famoso matematico inglese dell'epoca,
Hardy, che fortunatamente capì l'importanza dei risultati matematici che
aveva ottenuto quello sconosciuto commesso indiano e lo invitò a Cambridge.
Poi Ramanujan per motivi religiosi dovette tornare in India dove morì
giovanissimo nel 1920. Molti dei suoi appunti e lavori vennero pubblicati e
compresi dopo la sua morte. Come era accaduto anche a Galois e Abel, matematico
norvegese contemporaneo di Galois, e a molti altri. Tuttavia la storia vera che
racconta lo scrittore francese Marc Petit ha dell'incredibile. Il 18 giugno
del 1940 la compagnia Renard combatte per l'ultima volta contro le truppe
tedesche. Il comandante Berck il giorno dopo sotterra la bandiera del 291°
reggimento per non farla conquistare al nemico. L’armata francese è in rotta
davanti alle truppe naziste. Tra gli sbandati un giovane di nome Wolfang Döblin.
Di notte, sotto la pioggia, il giovane Döblin
lascia il fronte oramai dissolto. Si dirige verso la foresta di Rambervillers.
Arriva in un paese chiamato Housseras che è pieno di soldati più o meno
sbandati. Alla sera arrivano le avanguardie tedesche. Il comandante per
evitare un ulteriore massacro si arrende con i soldati. Wolfang si è
rifugiato in una fattoria. Saputo dell'arrivo dei tedeschi, il giovane va in
cucina, brucia le carte che ha con sé e ritorna nel suo rifugio. Il 21 giugno
per non essere catturato Döblin
si uccide sparandosi alla testa. Sarà sepolto come soldato ignoto e solo
dopo qualche anno sarà ritrovato e avrà un nome. Chi era Wolfang Döblin?
Che cosa aveva in quelle carte? Portava un nome famoso, quello di Alfred Döblin,
lo scrittore suo padre. Era un matematico Wolfang. Qualche settimana prima di
uccidersi aveva inviato un plico alla Accademia delle Scienze francese a
Parigi. Conteneva quel plico i suoi più importanti risultati ottenuti durante
i mesi di guerra, in servizio come telegrafista. Probabilmente le carte che
brucia contengono una copia o l'originale delle carte che ha inviato all'Accademia
delle Scienze. Il pacco, come tutti quelli inviati all'Accademia ancora oggi,
era registrato con la data del ricevimento. Il materiale inviato secondo i regolamenti
dell'Accademia poteva essere aperto solo se l'autore lo richiedeva. Nel caso
di Wolfang l'autore muore poco dopo la spedizione. Il regolamento prescrive
che in questo caso nessuno ha il diritto di aprire il plico prima del
passare di 100 anni, a meno che non vi sia una richiesta esplicita degli eredi.
Dato che la spedizione era avvenuta nel 1940 e l'autore era morto, il plico
poteva essere aperto solo nel 2040. Il pacco di Wolfang Döblin
era stato registrato il 26 febbraio 1940. Era stato inviato dal fronte il 19
febbraio. Vi era scritto Sur l'équation de Kolmogoroff par W. Döblin.
Kolmogoroff è il nome di un
famoso matematico russo. Döblin
si era ucciso che aveva 25 anni. Il romanzo che dalla storia ha tratto Marc
Petit si intitola L’équation de Kolmogoroff (Editions Ramsay,
2003). Di quel plico si perderà la memoria per molto tempo. Di Wolfang invece
si ricordano i matematici dato che pur alla sua giovane età aveva già ottenuto
risultati importanti, indipendentemente dal contenuto dal famoso plico. Il 19
gennaio del 2001 veniva annunciata la pubblicazione da parte della Accademia
delle Scienze francese delle ricerche svolte dal matematico Wolfgan Döblin
durante la Seconda guerra mondiale. Un testo di un centinaio di pagine con
risultati scientifici di grande interesse legati al calcolo delle probabilità
sviluppate in modo ovviamente del tutto indipendente dal giapponese Kiyosi Ito
dopo il 1944. Risultati di assoluta rilevanza internazionale, rimasti
sepolti per sessanta anni. E che avrebbero dovuto restare sepolti almeno per
altri quaranta. Che cosa era successo? Un fratello di Wolfang, Claude, aveva
concesso l'autorizzazione per aprire il famoso plico. Ovviamente questo era
avvenuto perché un matematico aveva trovato tracce in una lettera della
spedizione e aveva cercato e trovato il plico all'Accademia. Insomma
un fatto del tutto casuale. Altamente improbabile. Il giudizio dei matematici
sull'opera di Wolfang era che già quattro anni prima che Ito inventasse il
calcolo stocastico Döblin
conduceva ricerche analoghe. Rimaste per anni chiuse in quel plico. Della vita
di Döblin
figlio non si sa molto, al contrario di quella del padre. Wolfang era nato a
Berlino, figlio di Alfred, il 17 marzo 1915. Aveva seguito il padre, come lui
ebreo, e si era rifugiato in Francia, dove tutta la famiglia era stata
rapidamente naturalizzata francese, anche per i meriti letterari del padre.
Cambierà anche il suo nome da Wolfang in Vincent Döblin.
Si arruolerà volontario nell'armata francese come soldato semplice. Si
comprende molto bene come Wolfang non volesse essere preso prigioniero dalle
truppe naziste. Un ex tedesco ebreo che combatte con le forze armate francesi!
E non voleva che le sue carte cadessero in mano ai tedeschi. In Germania
alcuni matematici avevano attivamente partecipato alle leggi razziali,
dichiarando la superiorità della matematica «ariana». Anche matematici
famosi come Bieberbach, che verrà poi reintegrato nel suo posto all'università
dopo la guerra. Della spedizione
del famoso plico Wolfang scrive il 12 marzo del I940 al matematico francese
Maurice Fréchet, che insieme a Paul Levy erano i due matematici a cui faceva
riferimento. Sarà proprio questa lettera che, ritrovata, porterà alla
scoperta del famoso plico. Tra l'altro il matematico Paul Levy aveva scritto di
Döblin
che «ci si accorgeva presto che non aveva bisogno di maestri». È molto
preoccupato Döblin
che il plico vada perso, siamo in piena guerra, dato che ritiene che i
risultati ottenuti siano interessanti. Faceva riferimento Döblin
nelle sue ricerche a un articolo che era stato pubblicato dal matematico russo
Andrei Nikolaievitch Kolmogoroff nel 1931, in cui compariva l'equazione che si
chiamerà di Kolmogoroff, un'equazione differenziale a derivate parziali molto
importante nel calcolo delle probabilità. Per scrivere il libro Petit, che è
un romanziere esperto di letteratura tedesca a cui è stato richiesto di
raccontare questa storia, si è molto documentato, parlando con matematici
esperti del settore di cui si occupava Döblin.
Purtroppo quando Petit decide di scrivere il libro non sono più viventi nessuno
dei matematici che hanno conosciuto Döblin.
Parla anche di matematica il libro, con spiegazioni e bibliografia. Tuttavia
Petit non può fare a meno di scrivere ogni tanto frasi come: «L’effetto
prodotto dai discorsi di spiegazione della parte matematica su un ignorante è
dei più poetici». Petit ha parlato anche con Claude, il fratello di Wolfang,
chiedendogli dettagli sulla fuga della famiglia dalla Germania all'indomani
dell'incendio del Reichstag il 28 febbraio del 1933. Su cosa pensava, come si
comportava lo scrittore Alfred Döblin,
l'autore di Berlin Alexanderplatz, rifugiato in Francia, in esilio,
dove si sentiva profondamente isolato. La famiglia apprenderà solo il 20
marzo del 1945 della morte di Wolfang. Döblin
padre ritornerà alla fine della guerra in Germania con la divisa dell'esercito
tedesco; avrà molte difficoltà a essere accolto di nuovo nel suo Paese di
origine. Il romanzo di Petit vuole essere una sorta di biografia incrociata di
padre e figlio. Con una grossa difficoltà. Mentre del padre, famoso
scrittore, si conosce moltissimo, del figlio quasi nulla. Di episodi, di
aneddoti, insomma quasi nulla. Per cercare di ricostruirne la personalità.
In qualche modo Petit utilizza la biografia del padre per cercare di
raccontare per tentativi la biografia del figlio. Tra i due i rapporti non
debbono essere stati facili. «L’uno, Alfred, affascinato dal reale fino a
esserne accecato, disintegrando il naturalismo per riuscire a rendere il ritmo
ossessivo, sincopato, "cinematografico" della vita nelle città;
l'altro, il figlio, che sceglie di tutte le branche della matematica quella più
bizzarra, perché allo stesso tempo la meno accessibile all'intuizione, e, dal
punto di vista della ragione, la più paradossale: da quale associazione di
idee l'applicare il calcolo all'imprevedibile? Ci può essere una scienza
dell'incerto?». Nel giudizio del matematico che meglio conosce l'opera
matematica di Döblin,
Marc Yor, Wolfang era una sorta di monaco, quasi mistico che metteva nella
ricerca matematica la sua esigenza di estraneità dal mondo. E Petit cerca di
stabilire un parallelo tra padre e figlio: «A quale età ha deciso Alfred di
scrivere, lasciando il mestiere di medico? E Wolfang di fare il matematico?
Tutti gli scrittori sono prima di tutto lettori. E il matematico? Il gioco con i
cubi svolge un ruolo analogo a quello della lettura per apprendere il calcolo?».
Arrivando a dire che «su un punto Wolfang e Alfred si ricongiungono: il
motore del romanzo e dell'invenzione matematica non derivano da alcuna
disciplina, ma entrambe da una sola cosa: la visione poetica che tutto governa».
E lo scopo di Marc Petit, riconciliare il padre e il figlio «almeno in questo
volume immaginario e irreale... Bisogna pure che la poesia e la matematica
si ricongiungano da qualche parte». In un certo senso Berlin
Alexanderplatz è il primo romanzo stocastico della storia della
letteratura, il primo tentativo di trascrizione letteraria del moto browniano».
Scrive Petit che «l'innovazione in Döblin,
come in Joyce, consiste nell'integrare sino a un certo punto l'aleatorio, il
casuale, nella costruzione stessa dell'opera. A rischio, se si può dire, di
polverizzare la forma del romanzo». Dopo la guerra, nonostante la morte tragica
di Wolfang, i matematici francesi non l'hanno dimenticato. Al congresso della
Vittoria nell'ottobre del 1945 a Parigi è sempre Fréchet che esprime l'augurio
che sia possibile ritrovare i lavori dispersi. Forse si era dimenticato della
famosa lettera in cui Döblin
lo informava dell'invio di un plico all'Accademia delle Scienze. Nel novembre
del 1991 si tiene in Germania un convegno in onore di Wolfang. Al convegno
partecipa il matematico francese Bernard Bruche stava studiando la
corrispondenza inedita tra Fréchet e Döblin,
seguendo la quale trova traccia del famoso plico. Ci vorrà però del tempo a
convincere i familiari viventi di Wolfang Döblin
a dare il permesso di aprire quel plico prima della fatidica data del 2040.
Solo nel 2001 Claude Döblin
scriverà all'Accademia dando l'autorizzazione e il 18 maggio di quell'anno
finalmente viene aperto. La memoria scritta da Döblin
viene in seguito pubblicata sui Rendiconti dell'Accademia delle Scienze
francese. L'effetto sulla comunità matematica mondiale è molto forte; viene
organizzato un congresso internazionale per far sapere al mondo dei risultati
che Döblin,
da solo, al fronte, aveva ottenuto. Sono passati più di 60 anni dalla morte del
suo autore. Perché non tradurre il libro in italiano? Non per divulgare la
matematica, di cui non si sente grande necessità, ma perché è un affascinante
romanzo della memoria perduta e ritrovata.
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da «Diario del mese», 27 gennaio 2006, per gentile concessione |