Diario
Primo
Levi non basta
Il
rigore storico deve accompagnare il valore delle testimonianze dirette.
Altrimenti l'educazione alla memoria diventa pura emozione e poi se ne va
Alessandra
Chiappano
Anche
negli anni in cui gli avvenimenti di cui ci occupiamo accadevano alcuni
storici ebrei rinchiusi nei ghetti creati dai nazisti iniziarono
a raccogliere testimonianze e a registrare
gli eventi. È quanto è avvenuto a Varsavia, dove per iniziativa di Emmanuel
Ringelblum ha preso corpo il progetto noto come «Gli archivi di Oneg Shabbat»:
giovani studiosi, così come persone comuni, si diedero il compito di
raccogliere le voci dei vari ghetti, documentando minuziosamente quanto si
dipanava davanti ai loro occhi. Ringelblum aveva compreso che il popolo
ebraico stava vivendo una catastrofe senza precedenti e sentì l'urgenza di
testimoniare la distruzione degli ebrei a opera dei nazisti. Anche nel
ghetto di Lodz, per volere del discutibile responsabile dello Judenrat, Rumkoski,
si registrarono gli avvenimenti: la Cronaca ufficiale del ghetto conta
più di cinque volumi, ma sono numerosi e spesso anche contrastanti con essa i
diari privati rinvenuti dopo la guerra. Analogamente ci è rimasto il diario
di Adam Czerniakow, il capo del ghetto di Varsavia, suicidatosi nel 1942,
quando iniziarono le deportazioni verso Treblinka. Oltre alle numerose voci
provenienti dai ghetti, per lo più diari privati, alcuni scritti anche da
ragazzini, capaci di commuovere profondamente gli studenti, come quelli di
Mery Berg e David Rubinowitz, anche i componenti dei Sonderkommandos di
Auschwitz hanno lasciato agghiaccianti testimonianze sull'annientamento degli
ebrei a Birkenau. Queste testimonianze, sepolte nella zona adiacente ai
crematori, sono state ritrovate solo in minima parte dopo la guerra e sono state
solo recentemente pubblicate in italiano a cura di Carlo Saletti. Dunque venne
percepita immediatamente la necessità di testimoniare e far conoscere al
mondo quanto era accaduto sia nei ghetti sia nei campi di sterminio. Questo
corpus di testimonianze è coevo agli avvenimenti e in alcuni casi tali
testimonianze sono state ritrovate o portate alla ribalta solo recentemente.
Alla fine della guerra infatti l'atteggiamento prevalente era il silenzio: i
sopravvissuti dei campi, fossero politici o ebrei, avevano da una parte il
timore di non essere creduti (era il sogno ricorrente in campo anche di Primo
Levi), dall'altra in generale la gente, anche i familiari più stretti, non
erano inclini ad ascoltare storie tanto tragiche: erano gli anni della ricostruzione
e tutti volevano rincominciare a vivere, lasciandosi alle spalle la guerra e le
sue tragedie (Anna Rossi Doria, Memoria e storia: il caso della deportazione,
Rubbettino 1998). Così negli anni Cinquanta assistiamo a un vuoto di
memoria. I temi della deportazione, così come della Shoah, dei campi restano
nell'ombra. Più forte è la memoria legata alle vicende partigiane. Il
processo Eichmann nel 1961 rompe il silenzio. Tale processo, seguito dalla
stampa internazionale, celebrato a Gerusalemme, fu ideato dal procuratore
generale Gideon Hausner come una lezione di storia sulla Shoah, capace di
trasmettere valori forti alle nuove generazioni, non solo di Israele, ma del
mondo intero. Il processo fu organizzato non tanto e non solo sui documenti
probatori come si fece a Norimberga, ma sui testimoni. Hausner decise di
ascoltare quei testimoni che avevano già consegnato le loro memorie a Yad
Vashem, il memoriale istituito nel 1954. Sfilarono nelle aule del tribunale
111 testimoni che raccontarono la Shoah, nelle sue varie sfaccettature.
Alcune delle loro testimonianze non erano strettamente collegate a Eichmann e
alla sua attività criminale, ma la loro deposizione contribuì a tracciare i
confini della lezione di storia che il procuratore voleva impartire. Come
afferma Annette Wieviorka: «Il processo Eichmann ha liberato la parola ai
testimoni, creando così una domanda sociale di testimonianze». E ancora: «Con
il processo Eichmann, comunque, il sopravvissuto acquisisce un'identità sociale
di sopravvissuto, che gli viene riconosciuta dalla società stessa (...). Al
sopravvissuto viene attribuita una nuova funzione: il testimone è portatore
di storia. In tal modo l'avvento del testimone trasforma profondamente le
condizioni stesse della scrittura della storia del genocidio» (Annette Wieviorka, L'era del testimone, Cortina). A partire dal 1961 sia il
dibattito storiografico, sia quello civile sui temi della deportazione e della
Shoah conobbero un nuovo slancio: venne pubblicata in America la
fondamentale opera di Raoul Hilberg, La distruzione degli ebrei
d'Europa
(poi
notevolmente
accresciuta
in una seconda edizione nel 1985); alla fine degli anni Sessanta in Germania si
celebrarono importanti processi contro i carnefici. Ebbero notevole successo
di pubblico le testimonianze letterarie sulla Shoah: diventarono dei
classici, letti anche nelle scuole, soprattutto grazie alla collana
pubblicata da Einaudi Letture per la scuola media, i testi di Primo Levi, di Anne Frank. Durante gli anni della contestazione giovanile, soprattutto in
Germania, fu assai vivace il dibattito fra la generazione dei figli e quella dei
padri, a cui i giovani chiesero conto delle atrocità del nazismo, nacque un dibattito
storiografico e generazionale molto intenso; non altrettanto avverrà in Italia,
dove continuò a prevalere il mito del buon italiano. Alla fine degli anni
Settanta lo straordinario successo negli Usa come in Europa dello sceneggiato
televisivo Holocaust segnò un intereresse crescente per la Shoah e
contemporaneamente una dura presa di posizione dei testimoni che fecero
dichiarazioni molto pesanti sulla banalizzazione e trivializzazione della
Shoah presentata dallo sceneggiato tratto da un libro di Gerald Green. A partire
da questo momento però cominciarono ad essere raccolte le testimonianze
audiovisive, a cura di vari enti tra cui il Cdec e l'Aned, e il genocidio
degli ebrei diventò un argomento posto al centro del dibattito storico e
politico in molti Paesi. Anche in Italia, mentre fino a questa data era stato
dato più spazio alla deportazione politica, si assiste a un rovesciamento:
quest'ultima venne lasciata sempre più nell'ombra, mentre l'attenzione si
concentrò su quella razziale. Così mentre sulle deportazioni razziali
dall’Italia si è fatta piena luce, grazie agli studi di Liliana Picciotto, la
storia completa della deportazione politica dall’Italia deve essere ancora
scritta e il gruppo di lavoro dell'Università di Torino finanziato dall'Aned
grazie a un contributo della Compagnia di San Paolo completerà le sue ricerche
in merito alla fine dell'anno prossimo, dopo più di sessant'anni. Alla fine
degli anni Novanta il film di Spielberg Schindler's List ebbe un enorme
successo ed ebbe inizio anche il grandioso progetto voluto dal regista di
raccogliere le testimonianze di tutti i sopravvissuti della Shoah. Lo scopo era
di raccogliere le testimonianze orali per costruire un immenso archivio a
disposizione delle generazioni future partendo dal presupposto che esse
hanno un importantissimo valore educativo e didattico. Infatti, come ha
scritto Geoffrey Hartman (direttore del Fortunoff, Archivio visivo delle
testimonianze dell'Olocausto all'Università di Yale) «l'immediatezza dei
racconti in prima persona ha l'effetto del fuoco in quella gelida stanza che
è la storia». In effetti - come si evince leggendo il volume che raccoglie gli
atti del convegno dell'Aned Storia vissuta. Dal dovere di testimoniare alle
testimonianze orali nell'insegnamento della storia della Seconda guerra
mondiale (Franco Angeli, 1988) - gli studenti di fronte al testimone provano
un'emozione capace di motivarli, di spingerli ad approfondire argomenti
difficili e astratti, come quelli che riguardano la deportazione e lo sterminio.
Tuttavia, il testimone deve rappresentare uno dei capitoli di cui si compone lo
studio di queste tematiche, non il solo e l'unico. Il testimone racconta la
sua personale vicenda, che è unica e soggettiva e pertanto non può essere
assunta come generale. D'altro canto gli studenti apprezzeranno assai di più
il racconto del testimone quanto più saranno in grado di seguire, perché
consapevoli, la sua storia di vita. In altre parole il testimone parla al
cuore degli studenti, crea emozioni ed empatia, è capace di cambiare
l'atteggiamento di molti di loro fino ad allora indifferenti, perché è la
storia che parla. Ma non può bastare, perché all'emozione deve accompagnarsi
la conoscenza e la consapevolezza e questa scaturisce solo grazie allo studio
dei fatti. Se si vuole praticare un insegnamento della Shoah che sia davvero
efficace occorre sapientemente dosare la ragione e il cuore. La testimonianza
dovrà essere utilizzata o all'inizio di un percorso storico o alla fine, non
deve essere isolata dal contesto, non può essere svincolata dalla grande
storia. Là dove si affida al solo testimone l'insegnamento di uno dei
capitoli più bui della storia del Novecento non si produce un apprendimento
destinato a diventare, come diceva Tucidide, un possesso perenne, ma si creano
solo emozioni, magari anche profonde, ma destinate a scivolare via come le immagini
di un film che ci commuove. Se invece si avrà la pazienza, la forza di partire
dalla testimonianza o di concludere con essa un discorso storico serio, basato
anche sulla lettura dei documenti, allora l'incontro con il testimone diventerà
un'occasione straordinaria di arricchimento spirituale e di conoscenza.
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da «Diario del mese», 27 gennaio 2006, per gentile concessione |