Diario

Una comunista in dono a Hitler

Ebrea tedesca, comunista, agente sovietica. E innamorata di Luìs Carlos Prestes con cui andò in Brasile per esportare la rivoluzione. Andò male e Olga Sinek venne data in mano ai nazisti e morì in un lager. Ma la storia continua …

di Alessandra Orsi

 

Occhi chiarissimi, esaltati da una chioma di capelli corvini, un corpo longilineo, più alta di lui: quando il capitano Luìs Carlos Prestes la notte del 29 dicembre 1934 incontra alla stazione di Mosca l'agente segreta Olga Sinek, incaricata dal Comintern di fingersi sua consorte e accompagnarlo in Brasile per una missione che ha come obiettivo nientemeno che un'insurrezione popolare nel suo Paese natale contro la dittatura di Getulio Vargas, la sua imperturbabilità vacilla. In quel treno per Leningrado ha inizio un viaggio rocambolesco attraverso molte capitali europee, molteplici travestimenti e altrettanti cambi di identità e destinato ad avere almeno un successo garantito: la mattina del 26 marzo 1935, quando il transatlantico Ville de Paris partito da Brest attracca a New York, Antonio Vilar e Maria Bergner, alias Carlos e Olga, non sono più una coppia di copertura: si amano davvero. A soli 26 anni, Olga ha già alle spalle una carriera da coraggiosa rivoluzionaria. Nata in una colta famiglia ebraica di Monaco, racconterà di esser diventata comunista leggendo delle ingiustizie che emergevano dalle carte processuali su cui lavorava il padre, Leo Benario, avvocato socialdemocratico che difendeva gli operai bavaresi, verso il quale la figlia proverà sempre un grande affetto, anche quando lo considererà troppo moderato rispetto ai suoi ideali rivoluzionari. Ideali che condivide invece con lo scrittore Otto Braun, con il quale si trasferisce a Berlino diventando, a soli 17 anni, segretaria del partito comunista (appena dichiarato illegale) nel popolare quartiere di Neukoelln e incaricata del settore propaganda. La frequentazione degli ambienti intellettuali berlinesi la porta a un impegno sempre più totalizzante fino a quando, nel 1928, si rende protagonista di uno spettacolare assalto al carcere di Moabit per aiutare a fuggire Otto Braun e altri compagni accusati di alto tradimento. La meta successiva dei due fuggiaschi non può che essere Mosca, dove Olga viene ricevuta con rispetto e ammirazione e viene eletta nel comitato centrale della gioventù comunista internazionale. Sempre più trascinata dalla passione politica, anche quando ciò provoca reazioni gelose dell'amato, decide di entrare in un'unità regolare dell'Armata Rossa, dove impara a usare le armi, a cavalcare e prende anche un brevetto di volo. La sua segreta speranza è quella di tornare prima o poi in Germania e quindi accetta con entusiasmo le varie missioni all'estero, da Parigi a Londra, che le vengono affidate anche grazie alla conoscenza di quattro lingue e alla sua brillante intelligenza. Ma quando le viene chiesto di assumere un incarico così difficile come quello in America Latina, la sua emozione è rivolta soprattutto all'incontro con il «cavaliere della speranza», quel mitico brasiliano che è riuscito a convincere l'Internazionale comunista che i tempi erano maturi per esportare la rivoluzione. Giunto a Mosca tre anni prima, Luìs Carlos Prestes era famoso come capitano della Coluna invicta, ovvero un battaglione di 1200 uomini, tutti disertori, che per due anni e mezzo aveva guidato attraverso dodici Stati brasiliani, percorrendo a piedi 25 mila chilometri e fronteggiando impavidamente l'esercito. E se non fu amore a prima vista, di certo i due ebbero il tempo di conoscersi intensamente da quel primo capodanno sul Baltico, attraverso Helsinki, Stoccolma, Copenaghen, l'Inghilterra, Amsterdam, Parigi, Brest, discutendo notte e giorno di politica e lotta di classe. Con la sua passionalità e insieme tenerezza, Olga stupiva Carlos per la competenza nella strategia militare di cui parlava con entusiasmo senza però smettere di lavorare all'uncinetto, mentre lei era attratta da un uomo che, finalmente, non le rimproverava di buttarsi anima e corpo nella politica. L’avventura brasiliana sarà però un disastro: la rivolta di novembre viene soffocata nel sangue e nel settembre del 1936 Getulio Vargas è ben felice di poter «rimpatriare» Olga, offrendo così a Hitler, con il quale spera di costruire un'alleanza, una rivoluzionaria ebrea e comunista. Olga, al settimo mese di gravidanza, è dapprima rinchiusa nel carcere femminile di Barnimstrasse a Berlino dove a novembre nasce la figlia Anita Leocadia che, dopo un anno, viene messa in salvo dalla madre di Carlos che la porta in Messico. Due anni dopo inizia il calvario di Olga da Lichtenburg a Ravensbrueck fino alla stazione finale, il lager di Bernburg, dove non cessa di organizzare discussioni e letture segrete e dove viene mandata alla camera a gas nell'aprile del 1942 dopo aver scritto, nell'ultima lettera a marito e figlia, «avrò voglia di vivere fino alla fine». L’intraprendenza e il coraggio di Olga, nonché la sua tragica fine, hanno fatto sì che negli anni Cinquanta il regime della Repubblica democratica tedesca ne facesse una vera e propria icona, e alla «bella rivoluzionaria rossa» vennero dedicate strade, scuole e fabbriche. Ci sono voluti molti anni però prima di approdare a uno sguardo più articolato e a una biografia meno «agiografica» e, proprio all'inizio dello scorso dicembre, è arrivato nelle sale tedesche il film documentario Olga - una vita per la rivoluzione. Diretta dal regista di origini turche Galip Iyitamir, alla prima prova registica dopo esser stato assistente di Fassbinder e della von Trotta, la pellicola ripercorre la vita di Olga Benario con l'aiuto di materiali d'epoca che inquadrano la vicenda nel clima tedesco degli anni Venti. Il film di Iyitamir è stato presentato in anteprima al festival di Rio de Janeiro proprio mentre nelle sale cinematografiche brasiliane il regista Jayme Monjardim riscuoteva un insperato successo con un altro film dedicato a Olga. Incentrato soprattutto ­ troppo, secondo alcuni - sulla storia d'amore con Prestes, il film è ispirato alla biografia Olga - Vita di un'ebrea comunista (in uscita a inizio aprile in Italia per il Saggiatore) con la quale 20 anni fa il giornalista Fernando Morais segnava il primo passo verso una riabilitazione della rivoluzionaria tedesca. Fino a quel momento, infatti, la storia brasiliana l'aveva ignorata, confinandola ai margini della vita di Prestes e considerandola un personaggio scomodo. Non senza motivo. Sarà in­atti lo stesso Prestes a far prevalere la «ragion politica» quando Getulio Vargas nel 1945 concederà l'amnistia ai prigionieri politici e in seguito chiederà il suo appoggio quando tornerà al governo non più nei panni di dittatore, ma di presidente eletto dal voto popolare. Ed è senza dubbio agghiacciante questo primato della realpolitik che spinge Prestes a perdonare l'uomo che ha mandato a morire l'amata. Tre anni dopo Vargas morirà suicida in un agosto segnato da attentati politici, pronunciamenti militari e insurrezioni popolari che gli storici non hanno smesso di indagare e che fanno da sfondo all'avvincente 1954, il più famoso giallo dello scrittore Rubem Fonseca (pubblicato in Italia da il Saggiatore). Così oggi la figura di Olga può emergere in tutta la sua tragicità di vittima sacrificale di una politica antisemita e filofascista che gli eventi degli anni successivi tentarono di mettere in ombra, allorché Vargas entrò in guerra alleato degli Stati Uniti. Non è un caso che l'attuale ministro della Cultura del governo Lula, Gilberto Gil, abbia deciso di presentare Olga come film brasiliano per le prossime candidature agli Oscar. Non solo. Negli stessi giorni in cui i giornali riferivano dell'incredibile successo del film di Monjardim, una speciale commissione governativa per l'amnistia ha riconosciuto alla figlia Anita Leocadia il diritto a un indennizzo di 30 mila dollari per le ingiustizie subite a partire dal 1964, anno in cui in Brasile venne instaurata la dittatura militare. Dopo un lungo esilio in Unione Sovietica, Anita è tornata in patria solo di recente, e oggi, a 68 anni, insegna storia all'università di Rio de Janeiro. Pur criticando alcuni toni eccessivamente melodrammatici del film, Anita ha riconosciuto che si tratta di un'opera importante per recuperare con orgoglio la storia sua e degli ebrei in Brasile. Un orgoglio che l'attuale governo brasiliano ha fatto proprio in molteplici forme, ed è forse la prima volta nella storia brasiliana che il valore della memoria si esprime attraverso una politica culturale che mette al centro la varietà delle popolazioni su cui si fonda il Paese. In questa concezione si iscrive l'ambizioso progetto di un Memoriale dei Popoli inaugurato lo scorso agosto nella città di Belém, capitale e porto dell'Amazzonia, con una mostra non a caso dedicata all'immigrazione, in cui perfino la storia dei coloni portoghesi viene compresa all'interno di una costellazione di popoli - dagli ebrei marocchini ai russi ai giapponesi ai neri e ai molti altri europei - che approdarono sulle coste del Nordeste. Un modo coraggioso per ripercorrere la genesi etnica e culturale di uno stato che, forse unico tra le colonie latinoamericane, oggi con difficoltà distingue il sangue dei conquistatori da quello dei conquistati. Attraverso fotografie reperite negli archivi di famiglia, mobili, oggetti e suppellettili, si susseguono oltre 400 anni di storia di un luogo che è stato un avamposto, un crocevia, un luogo di scontri e di battaglie, ma anche il laboratorio di una convivenza che nei secoli si è estesa all'intero Brasile. Spesso, nei Paesi segnati dal colonialismo, l'omaggio agli indigeni oppressi si limita a una tassa o a un'elemosina culturale che resta confinata in una retorica museale. In questo caso invece - forse perché l'Amazzonia rivendica anche su scala globale il diritto alla difesa di un patrimonio non più solo locale - sembra possibile intravedere una valorizzazione di memoria pienamente iscritta nella storia del Paese. Del resto, il Brasile è anche la patria dei quilombos, le repubbliche dei ribelli neri che vennero fondate fin dalla fine del Seicento, e in memoria delle quali, il 20 novembre, si celebra la «Giornata della Coscienza Negra». Saranno per ora solo simboli, ma non poco significativi.

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da «Diario del mese», 21 gennaio 2005, per gentile concessione

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