Diario

La memoria albanese

Tirana ha istituito la Giornata per commemorare le vittime della Shoah e delle altre persecuzioni. Ma nello Stato balcanico nessun ebreo fu deportato

di Michele Sarfatti

 

Il 19 novembre 2004, a Tirana, alla presenza delle più alte cariche della Repubblica di Albania, ha avuto luogo la cerimonia pubblica di presentazione della «Legge istitutiva della Giornata della Memoria», approvata dal Parlamento il 23 settembre. La manifestazione è stata promossa e presieduta dal presidente del Parlamento, Servet Pellumbi. Il giorno della Memoria è stato determinato nel 27 gennaio, data della liberazione del campo di Auschwitz. La legge ricorda le vittime della Shoah e di ogni altra forma di violenza collettiva. Nonostante le complesse vicende del periodo, nessun ebreo residente o profugo in Albania fu deportato. L'Albania è un Paese a maggioranza musulmana, dal 1992 è membro della Conferenza Islamica. Alla cerimonia hanno preso parte varie delegazioni straniere, tra le quali quella del Centro iniziativa Balcani della Fondazione Gramsci di Puglia (Natale Parisi), dell' Unione delle comunità ebraiche italiane (Enrico Modigliani) , della fondazione Centro di documentazione ebraica contemporanea Cdec di Milano (Micaela Goren Monti). Sono intervenuti il vicepresidente del Parlamento, Makbule Ceco, il vicepremier Namik Dokle, il presidente dell'Accademia delle scienze, Ylli Popa, l'ambasciatore italiano, Attilio Massimo Iannuzzi, e altre autorità politiche e culturali di Albania. Le relazioni storiche sono state tenute da Shaban Sinani (direttore generale degli archivi di Stato di Albania, principale propugnatore della legge), Anna Lala) (direttrice dell' Istituto storico nazionale di Albania), Michele Sarfatti (direttore della fondazione Centro di documentazione ebraica contemporanea Cdec di Milano).

È per me un grande onore essere stato invitato a tenere una relazione storica in questa giornata. Ringrazio caldamente l'amico Shaban Sinani e tutti gli organizzatori di questa manifestazione. Ma prima ancora, voglio dirvi che, come cittadino europeo, apprezzo moltissimo la decisione del Parlamento albanese di approvare una legge sulla Memoria della Shoah. Con questa legge, voi stabilite dei valori supremi di civiltà e li comunicate al vostro Popolo e a tutto il continente. Grazie! Vi porto il saluto più cordiale del presidente della fondazione Centro di documentazione ebraica contemporanea, Giorgio Sacerdoti, e del presidente onorario, Luisella Mortara Ottolenghi. La vicepresidente della fondazione, Micaela Goren Monti, è invece qui in sala, venuta apposta per partecipare a questo incontro così importante. Shoah è una parola ebraica, che significa catastrofe, disastro, distruzione. Con il vocabolo Shoah si denomina ciò che è stato compiuto contro gli ebrei, in gran parte d'Europa, negli anni Trenta e Quaranta del Novecento, a opera del regime nazista tedesco con il concorso di molti altri governi e partiti fascisti e reazionari. La Shoah è un evento unico nella storia del nostro continente. Pensiamo per esempio agli ebrei dell'isola di Rodi: uomini e donne, bambini e anziani. Essi vennero tutti arrestati, trasferiti su nave e su treno in un luogo distante centinaia di miglia, il campo di Auschwitz-Birkenau, al fine di esservi uccisi tutti con il metodo tecnologicamente avanzato di stanze sigillate e sature di gas mortale. L'Europa e il mondo hanno conosciuto, purtroppo, numerose altre persecuzioni e massacri. La Shoah si differenzia dagli altri per il suo carattere assoluto, per la sua dimensione continentale, per l'impiego della scienza e della tecnologia. Nessuno aveva pensato prima, nessuno ha pensato dopo, a qualificare come nemico da distruggere, da annientare, un neonato ebreo, tutti i neonati ebrei; e poi ad allestire strutture di uccisione capaci di sopprimere molte vite in pochi secondi; e poi a costruire dei forni crema tori finalizzati a eliminare con rapidità i corpi delle persone che venivano uccise con rapidità nelle camere a gas. E, prima di ciò, occorre ricordare che tanti governi del continente avevano emanato leggi antiebraiche, che definivano gli ebrei una «razza» e non una religione, e che revocarono loro diritti fondamentali come il diritto al lavoro, il diritto all'istruzione, fino allo stesso diritto di cittadinanza. Quando gli Alleati e le forze della Resistenza sconfissero definitivamente lo schieramento nazifascista, le vittime ebree erano ormai un numero enorme, quasi inconcepibile. Il bilancio finale della Shoah fu la scomparsa di sei milioni di esseri umani, uccisi nei campi di sterminio allestiti in Polonia, nelle foreste russe, nelle campagne serbe, nelle pianure sul Mar Nero. Morirono così oltre tre quarti degli ebrei di Polonia, Lettonia, Lituania, Cecoslovacchia, Ungheria, Germania, Olanda, Austria, Jugoslavia e Grecia. Negli altri Paesi europei la percentuale delle vittime fu minore, ma non per questo meno tragica. Vi furono anche casi come quello della Bulgaria, che protesse gli ebrei di cittadinanza bulgara, ma concordò la deportazione degli ebrei della Macedonia. Vi furono anche delle eccezioni. Gli ebrei della Danimarca e della Finlandia si salvarono quasi tutti. E si salvarono tutti quelli che si trovavano in Albania. Ma osserviamo meglio cosa accadde in questa parte d'Europa. L’Italia fascista occupò l'Albania nel 1939. Roma esportò a Tirana almeno una parte della propria legislazione antiebraica. Nel 1941 l'Italia e la Germania occuparono tutte le altre regioni della penisola balcanica. In Croazia venne costituito uno Stato autonomo, governato dagli ustascia. La Macedonia venne annessa alla Bulgaria. Tra il 1941 e il 1943 i nazisti e le autorità croate e bulgare uccisero, o deportarono, o fecero deportare gli ebrei della Croazia, della Bosnia, della Serbia, della Macedonia e della Grecia settentrionale (Salonicco). Gli ebrei della Dalmazia, del Montenegro, dell'Albania, del Kosovo, e della Grecia meridionale erano invece sotto l'autorità dell'occupante italiano. Roma conduceva una politica antisemita contraria all'uccisione degli ebrei, ma era oscillante nei confronti delle richieste di collaborazione di Berlino. In concreto, dobbiamo riconoscere che nel marzo 1942 le autorità italiane di occupazione del Kosovo consegnarono alle autorità tedesche di occupazione della Serbia 51 ebrei tedeschi e austriaci che si erano rifugiati a Pristina. Non abbiamo nessun documento sul destino di questi ebrei; ma sappiamo che tutti gli ebrei della Serbia, locali e profughi, nessuno escluso, vennero uccisi dai nazisti. Pochi mesi dopo, nell'agosto 1942, Mussolini dette il suo nulla osta alla consegna ai tedeschi degli ebrei croati presenti nella Dalmazia occupata; però alcune autorità diplomatiche e militari italiane ostacolarono quel progetto, e nei mesi successivi nessun ebreo venne consegnato ai nazisti o agli ustascia. Tuttavia dobbiamo anche tenere presente che il 15 luglio 1943 il capo della polizia italiana a Roma ordinò al responsabile della polizia italiana a Nizza, in Francia, di consegnare alla polizia tedesca di Marsiglia gli ebrei tedeschi e austriaci che si trovavano nei territori francesi occupati dall'Italia. La consegna non avvenne perché il 25 luglio 1943 vi fu la caduta di Mussolini, del capo della polizia, e quindi anche di quell'ordine. Il nuovo governo italiano creato nell'estate 1943 iniziò una trattativa segreta con gli Alleati. L'8 settembre fu annunciato l'armistizio. L'Italia abbandonò tutti i territori occupati in Francia e nella penisola balcanica, compresa l'Albania. L'esercito tedesco occupò l'Italia centro-settentrionale e tutti i suoi ex territori. Nei mesi seguenti, i nazisti deportarono gli ebrei della Francia meridionale, dell'Italia, della Dalmazia, del Montenegro, del Kosovo e della Grecia centrale e meridionale. In particolare. per quanto riguarda la penisola balcanica, gli ebrei di Spalato/Split vennero arrestati tra l'ottobre 1943 e il marzo 1944, quelli del Montenegro nel febbraio 1944, quelli di Atene e Yannina nel marzo 1944, quelli di Corfù nel giugno 1944, quelli di Pristina nella primavera 1944. (Come ho già detto, gli ebrei di Belgrado, Sarajevo e Kosova Mitrovica erano stati arrestati nel 1941-1942, quelli di Skopje e di Monastir-Bitola nel marzo 1943, quelli di Salonicco nel marzo-giugno 1943). Insomma, vi è stata solo una regione dei Balcani occupata dai tedeschi (qui ovviamente non parlo dei territori liberati dalla Resistenza) nella quale gli ebrei sono rimasti vivi: l'Albania. Occorre tenere presente che, a seguito dell'invasione italiana e tedesca del 1941, il Kosovo era stato annesso all'Albania. Ma, relativamente alla deportazione degli ebrei di Pristina nel 1944, dobbiamo dire che le notizie e i documenti oggi noti indicano che gli arresti furono effettuati dalla divisione Ss Skanderbeg, agli ordini diretti delle autorità tedesche, senza il coinvolgimento delle autorità di Tirana. La tragedia degli ebrei di Pristina nel 1944 merita tutto il nostro rispetto, e io auspico che possa essere meglio studiata. Ma torniamo al fatto che gli ebrei dell'Albania «storica», nei suoi confini attuali, sono rimasti tutti vivi. Lo storico si domanda: perché? Per quali motivi ciò è accaduto? La risposta non è semplice. Il motivo è che non è ancora stata compiuta una seria ricerca storica; non sono ancora stati studiati i documenti, che pure esistono. Vi dirò che alcuni studi sulla Shoah in Europa addirittura non si occupano dell'Albania. Solo alla fine di un complesso studio, potremo dare una risposta storiografica di carattere scientifico. lo non posso anticipare quelle conclusioni. Posso però dirvi che esiste un documento tedesco di quell'epoca che contiene un'indicazione molto importante per la comprensione storica. Vediamo cosa dice e cosa lascia capire. Si tratta del riassunto di un colloquio, avvenuto il 17 ottobre 1943, a Berlino, tra un alto responsabile del ministero degli Esteri del Terzo Reich e il capo della polizia segreta di Stato, la Gestapo. Il colloquio aveva per oggetto lo sviluppo della politica antiebraica tedesca in tutti i territori ex italiani. Per la Francia meridionale, la linea d'azione era quella di iniziare subito gli arresti e le deportazioni. Stessa cosa veniva decisa per la Grecia meridionale. In Italia l'azione doveva essere ancora più «fulminea» perché si temeva la reazione della Chiesa cattolica. Per le regioni balcaniche sull'Adriatico si prendeva atto del fatto che una parte degli ebrei si trovava in zone liberate dai partigiani. (Questo accadde anche in Albania; ma la mia relazione non si occupa del soccorso agli ebrei dato dalla Resistenza). Nella riunione del 17 ottobre 1943, i due alti esponenti del governo nazista parlarono anche della situazione albanese. Il capo della Gestapo disse al suo interlocutore che egli «comprende benissimo la posizione del ministero degli Esteri (tedesco), secondo cui una operazione eseguita senza il consenso del governo albanese, o senza che questi ne sia a conoscenza, apparirebbe offensiva e potrebbe causare gravi complicazioni in Albania». Per questo motivo, il capo della Gestapo concluse che l'azione in Albania era sospesa, in attesa del «momento opportuno». Per comprendere queste parole, dobbiamo ricordare nuovamente che la Germania nazista deportò gli ebrei da tutti i territori via via occupati. Per l'Italia, di fronte alla possibilità di una reazione pubblica della Santa Sede (che peraltro non avvenne), fu deciso di procedere in fretta con gli arresti. Sempre per l'Italia, le deportazioni furono iniziate prima ancora che Mussolini costituisse il nuovo governo della Repubblica sociale italiana e poi vennero continuate con il suo consenso e la sua collaborazione. Nel marzo 1944 i tedeschi entrarono in Ungheria, misero in piedi un nuovo governo, e iniziarono subito a trattare la deportazione di quegli ebrei. In Albania tutto questo non accadde. Berlino sapeva, perlomeno nell'ottobre 1943, di non poter contare su Tirana per deportare gli ebrei. Questo è un dato di fatto. Peraltro, è mio dovere precisare che io conosco meno di voi la storia dell’Albania, quindi non posso e non voglio analizzare qui le caratteristiche e la politica del governo albanese durante l'occupazione tedesca. Il secondo dato di fatto sono i sentimenti e i comportamenti dei singoli albanesi non-ebrei. Dico «singoli albanesi» e non «popolazione albanese», perché non credo che i componenti di un popolo possano avere tutti caratteristiche positive o tutti caratteristiche negative. Vi sono, per esempio, persone che addebitano la Shoah a tutti i «tedeschi» in quanto tali; a loro io ricordo che alla fine della guerra vi erano alcune migliaia di ebrei sopravvissuti nella stessa città di Berlino, ossia nel cuore dell'impero nazista. Dobbiamo riconoscere che se ciò poté avvenire, fu grazie al soccorso offerto da uomini e donne cosiddetti «ariani» che erano anch’essi tedeschi. Dunque, parliamo di albanesi non-ebrei. Ebbene, esistono numerose testimonianze di ebrei ospitati e soccorsi in Albania da non-ebrei. Molte di queste storie sono già state raccolte e pubblicate. Ora, sarebbe opportuno condurre una vera ricerca scientifica su di esse e sul comportamento altruistico. Nel frattempo possiamo e dobbiamo dire una cosa molto semplice: quel comportamento altruistico è avvenuto. Ed è stato un bene. Per concludere il mio discorso, e in attesa che proseguano le ricerche che ho auspicato, credo che si sia verificata una sorta di convergenza tra atteggiamento del governo e comportamento della popolazione. Il risultato di ciò fu che in Albania la tremenda macchina della Shoah conobbe un arresto, uno stop. Il poderoso Terzo Reich deportò perfino gli ebrei che vivevano sotto le finestre del papa, ma non deportò quelli che vivevano in questo piccolo Paese. Ciò costituisce un titolo di merito, un grande indice di vera civiltà. Con la legge istitutiva del Giorno della Memoria voi dichiarate di voler proseguire su quella strada. Come cittadino europeo, vi dico: grazie. 

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da «Diario del mese», 21 gennaio 2005, per gentile concessione

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