Diario

Il manoscritto

Il racconto di un uomo in fuga che interroga Dio e invoca il ritorno del figlio più amato

di Andrea Morpugo

 

Quando passo per Forlì mi fermo sempre al suo cimitero. C è una lapide con una lunga lista di nomi, ebrei fucilati all'aeroporto della città romagnola nell'autunno del 1944. Tra i nomi anche quello di Gaddo Morpurgo, fratello di mio nonno. Alcuni anni fa sfogliando le pagine de l'Unità lessi di una serie di iniziative promosse della rivista forlivese Una Città, riguardanti un eccidio di ebrei rimasto per lunghi anni dimenticato. Collegai subito quella storia alle drammatiche pagine del diario scritto dal mio bisnonno Attilio e alle disperate lettere di suo figlio Gaddo, catturato e imprigionato dai nazifascisti. Dall'incontro con gli amici di Una Città si riuscirono finalmente a ricostruire gli ultimi giorni di Gaddo, dando in tal modo una conclusione a una triste storia di persecuzione e di morte «presunta» durata più di 40 anni. Attilio Morpurgo era un agiato e intraprendente commerciante goriziano nonché Presidente della sua antica Comunità Israelitica dal 1933 al 1943. A partire dall'istituzione delle leggi razziali del 1938 Attilio si era impegnato spasmodicamente a organizzare e tenere unita la ormai sconvolta e impaurita comunità ebraica. Le condizioni di vita per gli ebrei si erano fatte subito molto dure. In un'informativa della Questura di Gorizia del 3 marzo 1939, relativa all'applicazione delle nuove leggi antiebraiche sulla proprietà della ditta commerciale di Attilio, veniva osservato come «Nel consiglio di amministrazione continua a mantenere posizione prevalente lo stesso israelita, che tutti sanno essere comproprietario e dirigente l'azienda e che, pur essendo noto per la capacità e la tenacia nel lavoro, non gode però alcuna considerazione per i modi e perché presenta, con troppa evidenza, tutti i caratteri somatici e spirituali della razza a cui appartiene». Nel settembre del 1943, dopo la caduta del fascismo e il conseguente inasprimento delle leggi razziali, Attilio capisce che la situazione è ormai diventata molto pericolosa e che non è più possibile rimanere a Gorizia. Decide quindi, insieme alla moglie Maria Treves, al figlio Gaddo e alla governante Gina Viterbo, di cercare rifugio nelle Marche dove ritiene di poter trovare una situazione più sicura. Nel frattempo l'altro figlio Giulio, mio nonno, era scappato a Roma e li aveva trovato la salvezza, nascondendosi in un albergo insieme ad antifascisti e ufficiali badogliani. Purtroppo, i calcoli di Attilio non fanno i conti con le frequenti delazioni che gli ebrei subivano in quei gironi. Il 7 dicembre vengono tutti arrestati a Ostra Vetere e privati di tutti i beni. Dopo alcuni giorni i tre anziani vengono liberati, mentre Gaddo viene prima rinchiuso nel campo di concentramento di Senigallia e successivamente nelle carceri di Pesaro, di Urbino e infine di Forlì. All'indomani dell'8 settembre 1943 Attilio decide di scrivere un diario del calvario che sta per iniziare a vivere. È il diario di un padre che, non in perfetta salute, non esita a lasciare tutto perché preoccupato per il figlio ventiquattrenne. Nonostante la tragedia che si sta abbattendo su di lui e sulla sua famiglia, Attilio tenta disperatamente di continuare a essere, come sempre, profondamente religioso. Ridottosi a dormire in una cantina, e dopo essersi lasciato esaurire per non mangiare cibo non kasher, ha come unico conforto la possibilità di indossare i filatteri per recitare le sue preghiere. Ma dopo la cattura del figlio, Attilio per la prima volta, con tono sommesso, alza la voce: «Spero quindi ancora nella bontà di Dio». Sembra rivolgersi a Dio per avvertirlo che la sua fede sta passando una prova durissima: aver smarrito un figlio che era «la luce dei suoi occhi» e che un orribile presentimento gli dice non rivedrà più. Il diario di Attilio ci racconta di tanti italiani, non di tedeschi. Di carabinieri onnipresenti, di fascisti che vanno a vedere gli ebrei del campo di concentramento come «bestie rare» e di suore che rifiutano ai fuggiaschi una minestra. E poi di un medico provinciale, della cui visita Gaddo si dice in attesa in ogni lettera al padre, che alla fine scriverà su un foglio «abile» al concentramento. O di proprietari dell'appartamento affittato, gente affabile all'inizio del diario, ma che alla fine, per aver custodito alcuni valori, chiederanno un riscatto di 40 grammi d'oro. O del «famigerato» Titti, il fascista che aveva arrestato Gaddo e che, incarcerato dopo la liberazione, cercherà di uscirne invocando il perdono di Attilio, scaricando ogni responsabilità su un maresciallo e dichiarando di essere stato solo un semplice «esecutore d'ordini». Attilio continuerà a cercare il figlio. Non saprà mai che Gaddo era stato fucilato all'aeroporto di Forlì il 5 settembre 1944. Non otterrà mai la restituzione del suo corpo e nessuno lo metterà sulle tracce di quei loculi del cimitero di Forlì, segnati dalla P e dalla X, che ne custodivano le spoglie. Oltre la perdita del figlio, tornato a Gorizia, Attilio apprenderà che le due sorelle sono state deportate e uccise ad Auschwitz e che anche la comunità ebraica di Gorizia, di cui aveva a lungo sofferto la lontananza, non esisteva più.

Diario della terribile guerra

Attilio Morpugo e Gina Viterbo¹

8 settembre 1943 - Armistizio. Gioia fugace. Nel primo momento tutti sperano nella pace, poi l'esercito italiano si sgretola. Ufficiali e soldati si tolgono la divisa e tentano di svignarsela. Intanto a Gorizia apprendiamo che i tedeschi sono vicini... e che a Trieste da Opicina bombardano alcune navi che si trovano in porto. Si comincia a pensare seriamente di allontanarsi da Gorizia per timore di una nuova invasione tedesca e perché tutti dicono che bisogna andare al di là del Po dove ci sarà la li­nea di difesa.²

9 settembre. Incertezza, dubbi, nervosismi in famiglia. Finalmente alle 4 del pomeriggio il Sig. Attilio decide, per salvare Gaddo, di partire intanto per Udine, poi se possibile proseguire per Ostra Vetere dove abbiamo fissato un appartamentino. Dopo crisi di nervi da parte del Sig. Attilio e mia, alle 5 siamo pronti per partire, ognuno con una valigia, costretti a lasciare tutte le casse e bagaglio grande perché ormai il trasporto non è più possibile. Lasciamo tutto in custodia, preparati a non ritrovare più nulla, al Sig. Santoro, e con un'auto ci dirigiamo alla stazione. Alle 7 partiamo e alle 8 arriviamo a Udine. Scendiamo e prendiamo il treno per Venezia, ma dobbiamo stare fermi in stazione 5 ore, fino all'una di notte. Il treno è affollatissimo, tutti sono in piedi nei corridoi, infine troviamo posto.

10 settembre. Arriviamo a Venezia alle 5 del mattino. Nella vettura che deve portarci a Bologna incontro i cugini Viterbo anch’essi diretti verso le Marche. Apprendiamo che il treno non può andare a Bologna a causa dei danni causati dai bombardamenti alla stazione, dobbiamo perciò andare a Ferrara e prendere la linea per Ravenna. Scendiamo a Ravenna e andiamo a rifocillarci al ristorante della stazione giacché siamo a digiuno dal giorno prima. Proseguiamo il viaggio per Rimini e poi Senigallia. Treni lunghissimi e affollatissimi, soldati in abiti borghesi tutti strappati che si nascondono e cercano di fuggire. Alle 4 del pomeriggio arriviamo a Senigallia dopo 24 ore di viaggio e dopo molte ricerche di camere in albergo troviamo due stanze nella pensione Regina. Bella posizione al mare, ci fermiamo due giorni a riposare, ma il conto dell'albergatore è esagerato.

12 settembre. Alla mattina presto andiamo in corriera da Senigallia a Ostra Vetere. Troviamo l'appartamento in ordine e di nostro gradimento. La padrona, la signora Maria Manoni, è simpatica e affabile, come pure la sua figlia Rosaria. Ci mettiamo a posto, troviamo gente molto buona in paese che ci favorisce in ogni maniera e rimaniamo relativamente tranquilli sino al 7 dicembre.

7 dicembre. Da qualche giorno sono state emanate delle leggi d'inasprimento verso gli ebrei: riunione in campi di concentramento di tutti gli ebrei fino a 70 anni e confisca di tutti i loro beni. Noi purtroppo non abbiamo preso la notizia sul serio, mentre quasi tutti gli altri hanno cercato di nascondersi in altri luoghi cambiando nome.³ Come un fulmine a ciel sereno la mattina di buon ora la signorina Fanucci, moglie dell'appuntato dei carabinieri, venne gentilmente ad avvertirci che fra poco avremo una perquisizione in casa. Mi sento gelare il sangue, vado a svegliare Gaddo, avverto il Sig. Attilio e procuriamo nascondere gli oggetti di valore e i denari perché non li sequestrino. Poco dopo viene il segretario del Partito, Galeazzo Titti, col seguito dell'appuntato, il Maresciallo dei carabinieri e due militi. Per prima cosa chiesero di Gaddo, poi rovistano dappertutto senza trovare nulla di sospetto. Chiedono i documenti e i denari che dobbiamo consegnare. Sono molto agitata, anche Gaddo mi chiede di continuo cosa sarà di noi. Ci conducono tutti in caserma dei carabinieri dove rimaniamo tutta la mattinata con interrogatori e perquisizioni. Al Sig. Attilio portano via i denari e i libretti di deposito, a me restituiscono per fortuna i miei risparmi. Qui decidono che Gaddo purtroppo dovrà andare al campo di concentramento Unes a Senigallia e che noi possiamo rimanere a Ostra Vetere firmando una carta in cui ci impegniamo a non muoverci dal paese senza uno speciale permesso delle autorità. Devo osservare che sono partito da Gorizia solamente per salvare Gaddo e purtroppo tutti e tre si misero d'accordo di non informarmi quanto intesero per radio, se avessi saputo lo avrei mandato via da Ostra Vetere, a Firenze, tanto più che una prima visita dei carabinieri che avevano chiesto le nostre generalità mi aveva impressionato. Dio voglia che possa riabbracciare il mio Gaddo; guai altrimenti per me, tutta la mia vita è finita, egli è la luce dei miei occhi. Giulio lo si informò, ma con precauzione per non comprometterlo, lui che ha la fortuna di essere a Roma. Cominciano così le giornate tristi d'inverno col pensiero di Gaddo lontano e con la difficoltà di poterlo aiutare. Bene o male si passa dicembre, gennaio e febbraio, con temperature per fortuna miti e belle giornate di sole, potendo fare delle belle passeggiate per riscaldarci.

18 febbraio 1944. Verso sera la signora Manoni viene a chiamarmi per dirmi qualche cosa. Sono molto ansiosa ed essa piangendo mi comunica che ha saputo che l'indomani verranno a prenderci per condurci, noi pure, nel campo di concentramento di Senigallia. Nel frattempo Gaddo era stato trasportato nelle carceri giudiziarie di Pesaro e poi in quelle di Urbino. I carabinieri dietro supplica del Sig. Flaminio, economo del Comune, ci lasciano alcuni giorni di tempo prima di partire.

24 febbraio. Accompagnati dall'appuntato Fanucci e da un altro carabiniere partiamo al mattino presto con la corriera di Maganini per Senigallia diretti all'Unes, campo di concentramento. È una colonia marina per bambini, un bell'edificio pulito con un bel giardino e in una bella posizione. Siamo trattati abbastanza bene, soltanto siamo sempre in continua agitazione per il timore di venire mandati in un altro posto, e sempre sorvegliati dai carabinieri.

1 marzo. Arrivano i cugini Foà. Credevo fossero venuti da Marzocca a farmi visita invece mi dicono che anch'essi sono internati! Si sta tutti in una camerata e si fa vita in comune. Per uscire dall'Unes ci vuole il permesso del Maresciallo dei carabinieri e bisogna essere accompagnati. Del resto si cammina su e giù per il cortile e il giardino come i carcerati. La direttrice, la signora Iolanda Diamantini, con noi è abbastanza gentile. Ogni tanto c'è cambiamento di gerarchia con capoposto più o meno buono. Giornate di gioia quando si riceve posta con buone notizie dei propri cari. Tra noi internati ci sono quattro sloveni che sono dei buoni giovani, Biagio, molto servizievole, Marco, Vincenzo e Antonio. Ogni tanto c'è l'allarme, con lievi spaventi e corse in cantina di giorno e di notte. Il Sig. Attilio e la signora Maria, sempre impavidi, rimangono nella stanza di sopra a dormire tranquilli, mentre tutti gli altri, primi i carabinieri, scendono nel sottoscala. Per fortuna, ringrazio il Signore, la colonia non è stata mai colpita sebbene siano cadute bombe nelle vicinanze e abbiamo raccolto schegge anche nel giardino.

Più volte, a tarda sera, siamo stati spaventati dall'irruzione di alcuni fascisti con schioppi e facce da delinquenti e brutte maniere, che con la scusa di aver visto filtrare la luce da fuori, vengono a vedere gli ebrei come bestie rare.

12 giugno. Alle 5 di mattina si sente bussare alla porta. Si chiede chi è. I carabinieri. Ci si deve subito preparare per partire per Osimo. l'auto ci aspetta al cancello. In fretta e furia e in grande agitazione, certi di finire nelle carceri di Osimo, prepariamo il bagaglio e la nostra roba e partiamo scortati dai carabinieri. I Foà rimangono nella colonia e riteniamo che siano liberi, invece anch'essi in serata vengono condotti a Osimo. Durante il viaggio vediamo gli orrori dei bombardamenti aerei, specialmente Chiaravalle distrutta, e i ponti etc., etc.. Arrivati a Osimo, veniamo condotti in questura e qui il capo gabinetto, visto che si tratta di persone anziane e ammalate, ci manda dal medico provinciale e poi ci interna in ospedale dove, sorvegliati da un agente, veniamo accolti e condotti in corsia. Veniamo trattati bene...

18 giugno. Ci fanno andare nuovamente in questura e ci dichiarano liberi dopo solo sei giorni di internamento visto che i liberatori sono vicini. Non si può però ritornare a Senigallia mancando di qualsiasi mezzo di locomozione avendo i tedeschi portato via tutto.

Verso gli ultimi di giugno. Comincia la battaglia di Osimo e da allora comincia per noi il più brutto periodo di questa triste odissea. Continui cannoneggiamenti di giorno e notte e sempre più vicini.

26 giugno. lo (Attilio) devo rimanere a letto per una leggera colica renale. Frattanto gli ammalati delle corsie sono stati in fretta trasportati in cantina e, dato il forte bombardamento, anche il Sig. Attilio nel pomeriggio si alza e scende in cantina. Cinque minuti dopo, una bomba fonda la corsia e una scheggia si è trovata nel suo letto. Sia ringraziato il Signore che lo ha salvato. Ci trasportiamo tutti nelle cantine, legnaie e sotterranei dell' ospedale, vengono portati letti per gli ammalati, altri messi su materassi per terra, dormiamo naturalmente senza lenzuola e senza spogliarci. Passano i giorni, due, tre, quattro, una settimana. I cannoni tuonano continuamente, l'ospedale è colpito in varie parti, i feriti aumentano sempre più e i medici e gli infermieri non si coricano più, pronti a ogni chiamata. I sotterranei diventano sempre più difficili ad abitarsi. C'è poca aria, mancanza di luce e di acqua e con difficoltà si riceve una bottiglia di acqua per lavarsi. Molti ammalati sono riuniti assieme: tifo, tubercolosi, artriti, iniezioni intestinali e feriti di ogni genere, cattivi odori, poca igiene e fumo di lampade a carbone. Pare di essere nelle catacombe oppure nelle illustrazioni dei Promessi Sposi all'epoca della peste. I feriti aumentano sempre, c'è bisogno di altri letti, noi dobbiamo lasciare anche i nostri miseri materassi senza sapere dove andremo a finire.

6 luglio. Al mattino di buon ora Osimo è liberata e i tedeschi si sono allontanati finalmente. Arrivano i polacchi al comando degli alleati e si sentono i carri armati che salgono a occupare la città. Gioia di tutti e speranza di poter infine avere un po' di tranquillità. Per otto giorni invece continua ancora la battaglia attorno a Osimo. Le batterie tirano di continuo e purtroppo arrivano spesso in città i colpi di risposta dei tedeschi annidati nelle vicinanze. Intanto i viveri scarseggiano sempre più, e le suore ci avvertono che noi non possiamo più usufruire del vitto dell'ospedale. Siamo proprio tollerati e sentiamo che la nostra presenza è un peso per l'ospedale, e non fanno che dirci che dobbiamo andare via! Dove andare? Non ci sono alloggi, non c'è modo di mangiare!

8 luglio. Scacciati da tutte le parti otteniamo di poter dormire in una cantina sfitta, umida e oscura, con un' apertura che dà in una grotta. I Foà si sono accomodati alla meglio in due lettini, noi abbiamo un materasso per terra e una coperta imbottita. Dormiamo tutti tre sul materasso disteso per il largo con una tavola ai piedi e mattoni sotto i cuscini. Per mangiare andiamo alla mensa di Assistenza Civile per il pranzo, e alle 4 riceviamo altrettanto dalla Croce Rossa. Siamo tutti tristi, avviliti, e quando usciamo all'aria aperta ci sembra di essere dei sepolti vivi usciti alla luce. La mancanza di acqua è terribile, si può appena lavarsi faccia e mani, e per bere ho timore che non sia pulita e ci sia pericolo di tifo.

13 luglio. Mentre il Sig. Atti­io attraversa il cortile per andare al gabinetto cade una scheggia a poca distanza e per fortuna è salvo la seconda volta. Ho sempre la gola arsa e un grandissimo desiderio di bere.

14 / 15 luglio. Come al solito ci corichiamo in cantina e ci mettiamo a dormire. I cannoni delle batterie tirano colpi fortissimi, il forte rumore ci sveglia di continuo. All'improvviso, verso l'una di notte, la famiglia del cantiniere che dorme in una stanza vicino alla nostra cantina, viene a ripararsi dove siamo noi, vicino alla grotta e dove c'è il soffitto a volta, per essere più sicuri. A un tratto si ode uno schianto, la lampada di acetilene si spegne e rimaniamo al buio con la gola arsa dalla polvere e accecati pure dalla polvere. Si vede un chiarore, è una bomba che passando dal tetto attraversa due piani uccidendo tre persone, vecchi nei propri letti, nella sezione dei cronici; sfonda in un punto il soffitto sopra di noi e scoppia in cantina a poca distanza. Tutti gridano «aprite le porte» ma ci vuole del tempo perché siamo al buio e i letti dei Foà sono vicino alla porta e impediscono il passaggio. lo sento che la gente cammina sopra il mio corpo, faccio uno sforzo e finalmente riesco ad alzarmi. Anche il Sig. Attilio (credevo veramente fossero giunti i miei ultimi momenti e dissi forte «Pesach»...) e la signora Maria riescono ad alzarsi (siamo tra le macerie), si riesce ad aprire la porta e possiamo uscire, ringraziando il Signore di essere ancora vivi, giacché la morte l'abbiamo vista molto da vicino. Appena usciti dalla cantina vedo che il Sig. Attilio ha la testa che sanguina, per fortuna una ferita leggera, più un colpo alla spalla destra, e alla schiena. Dopo un poco mi accorgo di essere ferita anch’io leggermente alla tempia e un po' più alla gamba sopra il malleolo. Ci facciamo medicare alla Croce Rossa, sempre ringraziando il Signore di essere salvi per miracolo. Gli altri nostri, per fortuna, sono illesi, mentre nella famiglia del cantiniere ci sono rimasti parecchi feriti più o meno gravi.

16 luglio. Spaventati e sfiniti dormiamo in un altro sotterraneo dell'ospedale decisi a lasciare Osimo per sfuggire il pericolo. L'ospedale è molto colpito, e i feriti vengono trasferiti con la Croce Rossa, parte a Loreto e parte a Recanati. Quasi tutti gli abitanti lasciano la città ormai mezzo distrutta dalle bombe. Si cammina sulle macerie e sui vetri. Tutti i negozi sono chiusi o svaligiati, e bisogna andare a mangiare all'Assistenza, sempre col terrore dei colpi di cannone. (Perché le suore con vero senso di cuore e di bontà si rifiutano di dare una minestra. Carità cristiana!!!). Si parla di partenza in carovana per Loreto o Recanati. Noi decidiamo di partire per Loreto coi Foà.

17 luglio. Nonostante la ferita alla gamba mi accingo con tutta la forza di volontà a fare a piedi 7 chilometri per arrivare sino al Musone, nella speranza di trovare poi un mezzo per arrivare a Loreto. Alle 3 ci raduniamo in piazza, ma prima di avere i permessi, si fa l'appello etc.. Si arriva alle 5. Si forma la carovana di circa 35 persone, alla testa un prete, in coda un carabiniere, e ci mettiamo in cammino trascinando a fatica il poco bagaglio, e in fretta per arrivare al tiro a segno ed essere fuori tiro. lo sono tutta riscaldata e nervosa, cammino per forza con la gamba che mi duole, la signora Maria è tutta rossa, accaldata e stanca, il Sig. Attilio è anche lui mezzo sfinito. Dopo 7 chilometri di cammino arriviamo al Musone. Causa il ponte rotto dobbiamo passare il fiume a guado. lo non posso farlo con la mia ferita e per fortuna si trova un giovanotto che si presta a portare la gente sulle spalle e in braccio per attraversare il fiume. Così ci trasporta, me e il sig. Attilio. La signora Maria coraggiosamente, con scarpe e calze entra nel fiume e lo attraversa. Poi si fa l'appello e la carovana si scioglie. Noi rimaniamo soli coi Foà e col peso dei bagagli. Per fortuna c'è lì un carretto e un uomo che si è firmato al fiume. Siamo nell'impossibilità di continuare fino a Loreto a piedi e domandiamo di qualche casa di contadini. L'uomo del carretto dice che a due chilometri c'è la casa di suo fratello che potrà ospitarci. Ci avviamo caricando i bagagli sul carretto e avviciniamo verso le 8 di sera la casa dei contadini. Domandiamo da dormire e da mangiare, e per prima cosa acqua, acqua da bere in quantità che mi calmi la sete e l'arsura. C'è una stanzetta vuota, ci mettono della paglia in terra e delle coperte e lì dormiamo tutti sette: non ci sembra vero di essere lontani da Osimo, e speriamo di non sentire più i cannoni! Verso mezzanotte viene in stanza una ronda di polacchi che cercano dei fascisti nascosti nelle vicinanze e visitano i bagagli per vedere se trovano armi, poi chiedono scusa e vanno via.

18 luglio. Invece ricomincia la battaglia tutta la notte. Di nuovo i cannoni tuonano fortissimo, sebbene in lontananza, in direzione di Osimo e Lucana. I contadini ci hanno preparato un buon pranzo, ma molto salato, essendo a corto di quattrini bisogna pensare a partire e proseguire con qualche mezzo per Loreto. Dopo molte ricerche finalmente troviamo un carro con un cavallo che è disposto a portarci a Loreto.

19 luglio. Forte combattimento tutta la notte e tutta la mattina. Ancona è occupata dagli Inglesi. Il carro che doveva venire alle 7 non si vede a causa del combattimento. Viene alle 10. Ci mettiamo a posto sul carro, carichiamo la nostra roba come poveri zingari e partiamo alla volta di Loreto. Arriviamo verso le 12. Andiamo a mangiare e poi in cerca di alloggio.

Loreto è piena di sfollati, non c'è posto da dormire. Dopo aver girato molto in cerca di stanze e dopo aver fatto tre ore di anticamera dal Sindaco otteniamo una raccomandazione per andare a dormire nella S. Casa dove sono alloggiati gli sfollati, e ci danno due stanze senza finestre. lo sono contento anche se devo continuare a dormire senza lenzuolo, il mio terrore era di non poter mettermi i tefillin (4) e dire le mie preghiere. Le camere sono ben 35 gradini sotto terra, dalle finestre però si vede il mare. Per mangiare andiamo alla mensa degli sfollati, io per pranzo prendo un po' di pomodoro crudo e la sera latte.

20 luglio. Sto meglio dalle mie ferite mentre la signorina Gina, per gli sforzi del camminare nei giorni passati, ha dolore alla gamba.

24 luglio. Finalmente posso dopo sei mesi scrivere al mio Giulio. Non avevo scritto dal campo di concentramento per non comprometterlo, speriamo che in breve si possa vederlo e col suo aiuto rintracciare il mio tesoro di Gaddo. Urbino ancora non è liberata. Dio lo salvi, povero figliuolo: pensare che sono partito da Gorizia solamente per lui e con la trama di avermi nascosto la comunicazione della radio, nulla ho potuto fare e mi cruccio giorno e notte.

30 luglio. Ore 10. Mi sento male e per accontentare le donne, vado da un medico, il Prof. Patrignani di Ancona. Mi fa una visita accuratissima e mi riscontra un esaurimento generale. Continuando in tale stato può venire qualche complicazione e allora devo, con grandissimo dispiacere e cruccio, onde non si dica che per chi osserva la religione è la morte, andare a mangiare taref dagli sfollati. Prima di mangiare pregavo l'Onnipotente che mi perdoni e faccia terminare questo patimento per me di trasgredire la S. Torah. (5)

8 agosto. I Foà sono partiti per Osimo. Noi, visto le difficoltà che ci sono a Osimo per trovare alloggio e vitto, decidiamo di rimanere qui sperando di ricevere lettere da Giulio e qualche rimessa essendo privi di denaro...

10 agosto. La signora Gina ha trovato in piazza l'ingegnere Kerbes di Trieste e lo condusse da me nel mio rifugio dove ero disteso a letto non sentendomi bene, sapendo che l'avrei visto molto volentieri. Una persona conoscente e buona e dei nostri a cui si può parlare e chiedere consigli.

15 agosto. Mediante un camion che va a Roma mando una lettera a Giulio e alla Comunità implorando aiuto finanziario. L’ing. Kerbes mi fornisce giornalmente un litro di latte e un altro litro si prende presso un negozio pagando £. 8 invece di £. 5 che è il calmiere. lo bevo un intero litro e così mi sono rimesso un po' e finalmente al...

19 agosto. Rosh Hodesh di Elul decido irrevocabilmente di troncare di andare a mangiare taref, approfittando che si entra nel mese di Penitenza. (6)

21 agosto. L’ing. Kerbes ci racconta che si è formato una specie di comitato inglese palestinese per riunire tutti gli ebrei sfollati di Italia bisognosi di aiuto. I suoi parenti si trovano a Porto Recanati, hanno parlato con un ufficiale il quale promise di venirli a prendere e portarli, prima a Ancona e poi a Bari. Noi pure, visto che siamo privi del tutto di denaro... decidiamo di partire benché preoccupati di allontanarci di più dal benedetto di Gaddo, si teme però un bluff.

22 agosto. Delizie della vita in comune benché camere separate (per modo di dire). Si è tormentati dalle pulci in modo tale che mi si formano delle placche su tutto il corpo. Di giorno non si può stare nel corridoio perché c'è una forte corrente d'aria (lastre rotte), di notte si è tormentati dalle pulci, quindi io di notte vado su una sedia in corridoio e di giorno mi distendo sul letto. Comincio a essere preoccupato e di più sono arci che stufo di vedere solamente frati preti monache e cristi enormi e dico «qui non si può nemmeno morire, qui si crepa» e poi l'umiliazione di andare a prendere la sbobba, come diceva la cara Gilda per mia moglie. Quando si potrà riunirci in città nostra.

23 agosto. Questa mattina verso le 10 ero in stanza e sento chiamare Morpurgo dal corridoio. C'è un soldato inglese e una signorina interprete accompagnati dall'usciere del Comune. Scrivono i nostri nomi su un'apposita cartella, promettono di venirci a prendere nei prossimi giorni per portarci nel centro di raggruppamento in una località presso Ancona. Ci promettono anche un alloggio e quello che ci abbisogna e ci raccomandano di preparare tutto per la partenza. Ora speriamo di partire e che sia per bene e poterci incontrare così con il nostro tesoro di Gaddo e di poter riavere la roba lasciata a Ostra Vetere. Qui alla S. Casa non possiamo dire di trovarci bene, siamo in una continua umiliazione che eccita i nervi.

1 settembre. È partito il Capitano della sussistenza... si consegnò una lettera per le cugine pregando di interessarsi di trovare Giulio (comincio a temere anche per lui che sia successa qualche disgrazia o caduto nelle mani di tedeschi) e una per la Comunità dove pregavo un prestito di £. 5 mila. Si ha atteso inutilmente che il comitato inglese ci venga a prendere e rilevammo però che questi si interessino solamente di ebrei stranieri, intanto noi ebrei italiani abbiamo il danno e le beffe. Siamo molto pessimisti, io particolarmente vedo tutto nero, di più anche la salute: causa le correnti d'aria ho una bronchite. E pure la signora Gina è raffreddata: se non si parte presto si lascia la pelle.

9 settembre. ... ho insistito che la Signorina Gina scriva una domanda al Comando chiedendo il permesso di andare a Ostra Vetere dicendo che siamo poveri ebrei internati. Ora con questa domanda si ha tosto ottenuto il permesso. La difficoltà sta ora nel trovare il trasporto. Qui a Loreto non si può restare, comincia a far freddo e nel rifugio è una continua corrente d'aria, tutte le lastre mancanti.

12 settembre. Alle 7 di mattina andiamo all' ospedale, dove non si può entrare; si parla con un interprete, capiscono il nostro caso, si fa vedere il permesso dell'Autorità inglese. Ci fa attendere e finalmente alle 9 e mezzo ci dice che fra quaranta minuti partirà un camion per Ancona e che possiamo approfittare. L’ospedale è molto lontano dalla S. Casa e di tutta corsa si va a prendere la propria roba e prepararci per partire. Con molta fatica si arriva in Piazza Galli dove si attende il camion e subito arriva e si prega al conducente del camion di portarci all'ospedale civile di Ancona... Invece il camion prosegue per Falconara dove ci fanno scendere (Ancona è almeno al 50% distrutta, pare un terremoto. Povera Italia!). Qui la signora Gina parla con un ufficiale inglese con il suo inglese che sa, il quale per compassione e molto gentilmente manda a prendere un suo camion e ci porta a Senigallia ...

14 settembre. Vado al Municipio di Senigallia per parlare con il Sindaco e prego, dopo aver esposto quanto è successo al mio Gaddo, cioè che si trovava in carcere a Urbino, di fare delle ricerche tanto più che da giugno non ho notizie e poste funzionano solamente per uffici pubblici. Il Sindaco dà ordini di scrivere subito a quello di Urbino. Speriamo bene.

15 settembre. Camion militare per Ostra Vetere non si può avere, quindi finalmente si parte alle 13 con un carrettiere e pago £. 500 di trasporto e alle 15 e mezzo si arriva finalmente a Ostra Vetere. L’accoglienza in paese è veramente commovente. Tutti ci salutano e la signora Gina la baciano e andiamo intanto provvisoriamente in casa dell'appuntato Fanucci. Tutti ad Ostra Vetere si informano di Gaddo. Si va in cerca di alloggio, ma è molto difficile, ci sono molti sfollati e molte case sinistrate causa il bombardamento...

18 settembre. Abbiamo finalmente trovato una cameretta con cucina da una parte, buona gente, in via Vittorio Emanuele 2, così siamo finalmente a posto. Oggi è il secondo anno che faccio Rosh Hashanà fuori di casa senza tempio e senza Shofar e di più senza il proprio figliuolo. Iddio ci destini un'epoca di pace e che ci si possa riunire tutti assieme in tutti i congiunti e parenti. Penso anche alla cara Elda e famiglia, a Guido e alla povera Gilda sola con Marcello, cosa sarà di tutti loro ancora in mano dei barbari? (7)

19 settembre. 2° di Rosh Hashanà. Sto dicendo Musaff.(8) Viene un Capitano, Sig. Marzuccalli e chiede notizie di noi; comprendiamo che lo ha mandato il col. Leuzzi per conto di Giulio e sono felice in tal modo di aver avuto notizie indirette di questo figliolo. E di Gaddo quando potrò averne? Al pomeriggio dello stesso giorno viene a cercarci un maggio­re e ci dice che era a Loreto e da lì appositamente è venuto a portarci una lettera di Giulio con un assegno di £. 5 mila. La lettera e i denari sono un vero regalo di Rosh Hashanà.

23 settembre. Abbiamo finalmente traslocato presso la famiglia Berardinelli, la camera è molto piccola ma soleggiata e il più importante è che i padroni sono molto buona gente.

25 settembre. Da parecchi giorni si attendevano che i signori Manoni e Zucchi di Castelpiano venissero come promesso a portarci il pacco dei miei oggetti preziosi (anche il mio orologio che non avevo dal 23/2, cioè prima di partire per l'internamento) ma visto che non si fanno vivi si decide di andare con un calessino (£. 500 - spesa) a prendere noi e si parte alle 10 e si arriva alle 12 e tre quarti. Appena giunti in casa Manoni con grande sorpresa ci dice che ci darà quanto è nostro, ma bisogna che lasciamo 40 gr. di oro e ciò per riconoscenza perché potevano denunciarci e farcelo sequestrare essendo proprietà di ebrei. Ho protestato molto fortemente e dissi loro che ciò è un'infamia e, benché ebreo, nominai l'abate e il priore di Ostra Vetere per un arbitraggio. Ma rifiutano anche questa proposta e per non andare via a mani vuote si dà a loro £. 2 mila più 20 gr. di oro e da parte loro si impegnano di farmi avere i tre vaglia di £. 2 mila a mio favore più un'autorizzazione per il pretore che ordini alle Poste di pagare a me.

27 settembre. Kippur fuori di casa senza figliuoli e senza tempio. Iddio abbia pietà di Israel!

30 settembre. Sento l'appuntato e il Maresciallo e altre persone che dicono che è un'estorsione e che bisogna assolutamente fare dei passi. Sobillati da tutti decidiamo di rivolgerci ai Carabinieri e al comitato di Epurazione per ottenere la restituzione delle £. 2 mila e dell' oro. Speriamo buon esito, io sono pessimista. Mi dimenticai di dire che dopo Castelpiano eravamo stati a trovare i cugini a Serra... e trovammo Guido e altri cugini che ci fecero molta accoglienza, anzi Guido promise di farci una visita!  Gualtiero invece l'ho trovato molto sostenuto!

1 ottobre. La mia grande preoccupazione di giorno e di notte è Gaddo. Cosa sarà di quel figliuolo e pensare che abbandonai casa e tutto per salvarlo e invece per... non avermi avvisato della comunicazione della radio, nulla ho fatto. Visto che dal Sindaco di Senigallia nessuna risposta sono tornato a scrivere al medesimo pregando di fami avere una risposta...

2 ottobre. La ruota gira, ora sono gli altri che vengono da noi a chiedere aiuto perché i partigiani ... vogliono internarli quali ex-fascisti. La direttrice del campo di internamento, lolanda Diamantini, è venuta oggi appositamente da Senigallia per avere una dichiarazione che durante il nostro internamento ci trattò sempre bene. Dato che con noi è stata sempre gentile e cercava per quanto le era possibile di accontentarci, ho fatto una dichiarazione in tale senso. Anche questa è una soddisfazione, ora hanno bisogno di noi...

6 ottobre. Ho consegnato una lettera per Giulio ai Carabinieri ... non avendo l'indirizzo di Giulio speriamo che la riceva e quando potrò vedere questi figlioli?

16 ottobre. Da Senigallia il sindaco nulla ha risposto, ho parlato con il prof. Bardi che è vicesindaco giù a Ostra Vetere e mi promise di interessarsi lui d'ufficio e diedi tutti i dati di questo mio tesoro che tanto mi manca. Visto che il Prof. va a Osimo consegnai altra lettera per... Giulio per vedere che egli riceva nostre notizie e quando lo potrò baciare? Sono 14 lunghissimi mesi che non lo vedo.

22 ottobre. La prefettura di Ancona non risponde su quei galantuomini di Castelpiano. Ho presentato per la prima una sollecitatoria e per l'altra una nuova protesta. Vedremo se gioverà a qualche cosa. Come la Bandiera Rossa scrive, puzza ancora sulle macchie di fascismo. E sino a quando? Del mio Gaddo nessuna notizia e il mio cruccio continua. Se almeno venisse il mio Giulio lo manderei lì a vedere cosa è successo di lui. Quelli della Bassa Italia tornano per ordine dell'Autorità nelle loro case. E noi, quando Iddio benedetto avrà pietà di noi e ci farà rimpatriare? Per me mi accontenterei di avere notizie di Gaddo, invece nulla, nulla.

1 novembre. Sono 45 giorni da quando si ebbe il piacere della lettera del caro Giulio. Da allora nessuna nuova né da lui né dal Capitano Marzuccalli cui si scrisse due volte. Del mio Gaddo pure non ho avuto nessuna notizia sia dal Sindaco di Senigallia sia da quello di Ostra Vetere. Si vive proprio nel tempo preistorico, non ci si può muovere né scrivere, non si ha fiammiferi e molto limitatamente combustibile e si va verso l'inverno. Delizie che l'inverno mi prepara, in una cameretta che non ci si può muovere né un'altra dove stare quando fanno pulizie. Iddio ci aiuti. I carabinieri portarono il protocollo di Castelpiano di quei galantuomini di Manoni Luccio, si risponde subito ma  io ho perso tutta la fiducia in tutto e per tutto, anche nella giustizia. Quando avrà fine questa tortura!!! Senza figlioli e senza sapere nulla di loro. Anche i denari incominciano a mancare.

5 novembre. Un autista per incarico del Cap. Marzuccalli mi portò una lettera del caro Giulio del 20-22 settembre. Egli sa che siamo qui a Ostra Vetere. Speriamo che possa venirci a trovare. Del benedetto di Gaddo nessuna notizia, io sono disperato. Iddio benedetto abbia pietà di me.

10 novembre. Oggi ebbi dal sindaco di Senigallia la comunicazione che quel benedetto di Gaddo si trovava in ospedale di Urbino dal 5 agosto e il 25 agosto fu preso dai tedeschi, maledetti che siano, e lo hanno portato, dicono, nell’Italia settentrionale. Che sia vero? Io non ci credo. Temo di non vederlo più, povera creatura mia e povero io che lo chiamavo il mio sole. Iddio abbia pietà di me.

20 novembre … si scrive alla Prefettura per ottenere ciò che Titti portò via.

7 dicembre. È oggi un anno che mi portarono via il mio benedetto Gaddo e incominciò il mio cruccio e dolore sempre più grande. Ho voluto fare oggi digiuno per implorare a Dio Benedetto pietà per lui e per me, che possa rivederlo in breve. Da Giulio nulla, dopo la lettera del 20-22 sett., nessuna sua notizia. Sto in pensiero anche per questo figliolo. Iddio ci aiuti e abbia pietà di noi.

8 gennaio 1945. Finalmente è giunta una lettera di Giulio con la posta. Pare ora che funzionerà una volta alla settimana. Magari, risposi subito, speriamo che possa egli pure venirci a trovarci. La lettera è del 19 -12- 44.

24 gennaio. Domani è la festa della mia adorata sorella Elda. Quando la potrò vedere? Dal mio Giulio nessuna notizia. Dopo quelle del 19­12, non si vede venire su sue nuove che tanto mi preme di saperlo bene di salute e se ha fatto pratiche per avere notizie di quell'angelo di Gaddo. Passano i giorni e i mesi e non vedo i miei figlioli. Che esistenza è la mia! Che male feci a essere sì castigato. Sono oltremodo nauseato di tutto. Il mio Gaddo, non so nulla di lui, mentre ieri è arrivato libero quel famigerato di Titti che fu la causa di tutti i miei dolori. E si parla di giustizia!!!

6 febbraio. Oggi buona giornata. È giunta una bella lettera del mio Giulio che rinnova la promessa di venire a trovarci. Dice che ha buone speranze di ottenere il regolare permesso. La settimana ventura parte da qui un camion per Roma, potrà egli venire con questo? Speriamo!! Ci giunse una cartolina della mia cara Elda di giusto un anno fa, che dice di aver fatto la cura dei raggi e che sta bene. Che sia bontà di Iddio benedetto a che possa rivedere tutti i miei cari prima di morire. E presso i miei correligionari.

14 febbraio. Oggi si presenta da me un soldato (sergente) della Polizia Militare Americana e mi chiese di Titti. Ho spiegato tutto e che lui mi portò via il mio Gaddo! Faranno qualcosa sul serio? Sono sfiduciato e temo che nulla e nulla avrò di soddisfazione!

16 marzo. Tristezza, e di Giulio non si vede e non si sa quando verrà qui. Era a Firenze, si è saputo ciò dai parenti della Signorina. Sono passati 20 mesi che non si vedono. lo sono da due settimane a letto con un forte attacco di gotta al ginocchio. Il morale mio è sotto lo zero. Che peccati ho commesso per essere così castigato e abbandonato! Iddio abbia pietà di me.

19 marzo. Finalmente ebbi la tanto desiderata visita del mio caro Giulio. Il piacere di vederlo fu immenso. Egli mi trovò a letto ancora indisposto. Ci portò un ben di Dio, ma più di tutto vederlo mi commosse e mi ricorda chi ancora mi manca, cioè il benedetto Gaddo. Mi promise di tornare a farmi visita. Speriamo che finisca questo flagello.

27 marzo. Mi alzai dopo quattro settimane. Benché non ancora guarito, si prepara per Pesach. Si ebbe le Mazzot, tanto da Roma portate da Giulio che da Ancona. Si ha più che a sufficienza. Mazzot si chiama lehem oni, pane d'afflizione, e io invece dirò Pesach fuori casa e senza figli e parenti e un kasherut molto ma molto ridotto. Iddio ci perdoni e ci aiuti. (9)

26/27 aprile. Finalmente i fascisti nazisti sono battuti in Italia. In piena ritirata. Genova sino Mestre, Venezia liberate. Mussolini e altri 29 fucilati. Ora speriamo che quel santo di Gaddo si possa trovarlo e che io abbia la fortuna di vedere e allora sì che potrò ben dire «Iddio benedetto ci ha protetto e ci ha salvati» per qualche cosa. Altrimenti non sarebbe stato meglio per me che a Osimo fossi deceduto? Spero quindi ancora nella bontà e nella grazia di Dio onnipotente e misericordioso.

29 aprile. Ho scritto a Osimo per vedere che prima possibile si possa andare a Trieste magari col Vapore...

24 maggio. È quasi un mese che la guerra è finita. Del mio benedetto Gaddo nessuna notizia. Il mio Giulio era a Firenze per proseguire verso Bologna a cercarlo. È riuscito? Dubito! Con questa burocrazia... C'è Titti! E quando si potrà rimpatriare? Che differenza la giornata di oggi da quelle di 30 anni fa. Così è il mondo.

Note

1. Il diario è scritto a due mani, dalla governante Gina Viterbo e da Attilio Morpurgo. Il corsivo indica le parti scritte da Gina Viterbo. Attilio Morpurgo era Presidente della Comunità Israelitica di Gorizia. Sposato con Maria Treves, aveva due figli, Giulio e Gaddo.

2. 7 dicembre del 1943. La giornata dell'arresto di Gaddo. In questa pagina sia la signora Gina che Attilio fanno riferimento all'annuncio dato per radio dell'inasprimento delle misure antiebraiche. Il Signor Attilio dice che le donne e il figlio per premura nei suoi confronti gliel'hanno taciuto. Da come ne parlerà altre volte si capisce che considera questo un episodio fatale.

3. I tefillin o filatteri sono due piccoli astucci neri di pelle, che vengono legati dagli ebrei con lacci neri di cuoio al braccio sinistro e alla fronte e che vengono indossati per la preghiera del mattino nei giorni feriali. Essi contengono, scritti su pergamena, quattro brani biblici.

4. Tarefè il cibo impuro, cioè non trattato secondo le regole della religione ebraica.

5. Rosh Hodesh di Elul è il primo giorno del mese. Attilio coglie l'occasione per smettere di mangiare taref.

6. Rosh Hashanà è il capodanno ebraico. Si celebra il 1 e 2 di tishri (settembre-ottobre). È il momento in cui ciascuno è invitato a preparare il bilancio del proprio operato per difendersi, di fronte al Signore, dalle accuse che gli muoverà Satana. Caratteristica l'usanza di suonare il shofar, il corno di montone, per chiamare al pentimento ogni singolo ebreo.

7. Qui Attilio pensa alla sorella Elda, rimasta «in mano dei barbari». In realtà, Elda Morpurgo è stata deportata ad Auschwitz il 29/3/1944 e uccisa all'arrivo il 4/ 4/1944. Stessa sorte, in altra data, per un'altra sorella Pia Elvira.

8. Musaffè la preghiera dei giorni festivi.

9. Pesach è la pasqua ebraica in ricordo dell'uscita dall'Egitto. Mazzot sono i pani azzimi che si mangiano per l'occasione. Kasher è una legge religiosa molto importante per stabilire la purità o l'impurità dei cibi: è prescritto un particolare metodo di macellazione, poiché è assolutamente proibito mangiare il sangue, e vietata la conservazione, la preparazione e il mangiare insieme latte e carne.

©diario della settimana

Via Melzo, 9 - 20129 Milano - Tel. 02 2771181 - Fax 02 2046261

Internet: http://www.diario.it/ - Email: redazione@diario.it

da «Diario del mese», 21 gennaio 2005, per gentile concessione

sommario