Diario
Il vicario di Pio XII
Quarant’anni fa, per le pressioni vaticane, la censura impediva la messa in scena del dramma con cui Rolf Hochhuth denunciava lo scandaloso silenzio del papa
di David Bidussa
La
scena si svolge a Roma. È il febbraio 1965. Nella nuova libreria Feltrinelli
di via del Babuino Gian Maria Volontè e la sua compagnia di amici attori
mettono in scena in forma privata e clandestina - il dramma Il vicario -
l'opera teatrale di Rolf Hochhuth che chiama in causa la responsabilità e il
silenzio di Pio XII nella vicenda dello sterminio nazista degli ebrei. È
l'ultimo atto di una sequenza a suo modo drammatica e che segna uno strappo
profondo nella società italiana. Il vicario non è un testo facile. Ha
destato scandalo e suscitato perplessità e interrogazioni di coscienze dovunque sia stato rappresentato.
Debutto a Berlino nel 1963 e subito dopo a
Londra, New York, Parigi, Vienna. A Roma arriva sulla scia dell'uscita
dell'edizione italiana pubblicata dalla Feltrinelli nel 1964. La possibilità
che anche in Italia, e in particolare a Roma, sia rappresentato il dramma di
Hochhuth, è stata a lungo osteggiata. Da parte del Vaticano e delle
componenti della destra cattolica e politica. In questo clima Gian Maria
Volontè prova a mettere in scena il dramma in un circolo privato romano, in
via Belsiana, ma la sera della prima (è sabato 13 febbraio 1965) la polizia
interviene e impedisce la rappresentazione insistendo sulla «non agibilità»
del locale. Passano 48 ore e dopo gli interventi della radio vaticana e dell'Osservatore
Romano mentre è in corso la rappresentazione privata all'interno dei
locali della libreria di via del Babuino, la polizia notifica a Gian Maria
Volontè un decreto prefettizio che vieta la rappresentazione de Il vicario a
Roma in osservanza degli obblighi concordatari tra Italia e Santa Sede che
statuirebbero un regime particolare per la capitale come «città sacra». Così
il dramma va in scena all'interno della libreria. Un rappresentazione a cui si
accede per invito, mentre fuori la polizia isola la strada e chiude l'accesso ai
pedoni. Che cosa sostiene Il vicario? Molti e a lungo hanno ritenuto che
la tesi centrale del dramma sia definita dall'accusa mossa a Pio XII di essersi
rifiutato di soccorrere gli ebrei perseguitati. Nel dibattito parlamentare
che mercoledì 17 febbraio ha luogo a palazzo Madama, il ministro dell'Interno Taviani è dello stesso parere. Il
testo ruota intorno al
rifiuto da parte di Pio XII, alla domanda avanzata da un giovane gesuita, di
condannare fermamente e pubblicamente il nazismo. La risposta di Pio
XII è che questo obiettivo, che pur dichiara di condividere, è
conseguibile con maggior efficacia venendo meno allo spirito originario della
Chiesa. Risposta che non elimina il conflitto, anzi lo acuisce. Poiché
secondo il giovane gesuita bisogna che qualcuno, in un momento così scuro,
testimoni per il messaggio originale del Cristo. Quando la crisi avrà
raggiunto il suo massimo e si spingerà fin sotto le finestre di Pio XII, nei
giorni del sabato nero romano del 16 ottobre 1943, allorché una parte
consistente della comunità ebraica romana viene razziata e avviata verso lo
sterminio, il gesuita seguirà i deportati verso il lager per andarvi a morire
insieme. Negli anni successivi, altri testi e altri documenti sono stati
pubblicati con l'effetto di far discutere la figura e l'opera di Pio XII. Nello
stesso 1965 Feltrinelli pubblica in versione italiana
Pio XII e il Terzo Reich di
Saul Friedländer; in anni più vicini a noi sono seguiti I
dilemmi e i silenzi di Pio XII di Giovanni Miccoli (Rizzoli) e Il
Vaticano e l'Olocausto in Italia di Susan Zuccotti (Bruno Mondadori).
Inoltre, nelle ultime settimane questi temi sono stati sollevati a partire dal
documento pubblicato sul Corriere della
sera il
28 dicembre scorso e commentato da Alberto Melloni a proposito della
circolare vaticana in data 20 ottobre 1946 relativa ai bambini ebrei,
«affidati alle famiglie e alle istituzioni cattoliche durante l'occupazione
tedesca» (come recita il testo), e «salvati» dallo sterminio nazista, in
alcuni casi battezzati, di cui si consigliava la non restituzione ai genitori.
Un dibattito in cui è tornata la questione se Pio XII fosse o no antisemita;
se il suo silenzio prima, e poi le sue scelte furono dettate da impotenza,
oppure da accortezza, o, infine, da un doppiogiochismo poco rispettoso dei
principi cristiani originari. Un dibattito istruttivo non solo per i suoi
contenuti, ma anche per lo stile, in gran parte piegato verso la
giustificazione di quel testo su cui il ventaglio delle posizioni è vario. Si
va dalla difesa dell' «orgoglio cattolico» proposta da Vittorio Messori (29
dicembre 2004), alle elucubrazioni fuori tema di Ernesto Galli della
Loggia (7 gennaio 2005) per cui sembra che se la Shoah è divenuto un
problema che ci turba lo è come conseguenza di un' operazione culturale e che
allora nessuno valutò - e così anche Pio XII - perché lo sguardo era
altrove (ma non è avvenuto, anche, proprio perché tutti guardavano altrove?
Non è forse avvenuto così anche per il Rwanda?). Per finire con il dubbio di
Lucetta Scaraffia (4 gennaio 2005) quando si chiede: «Se davvero la
Chiesa avesse sottratto tanti bambini ebrei alle loro famiglie, come
mai in tutti questi anni nessuno ha protestato?». Per poi domandarsi:
«Sarebbero forse i figli meno importanti del denaro depositato presso le banche
svizzere e per riottenere il quale sono state avviate tante cause istruttorie internazionali?». «Non è forse Bruto uomo
d'onore?», si
domandava Antonio nel monologo del Giulio Cesare di Shakespeare. Gli
ebrei mettono i figli almeno sullo stesso piano del denaro? Chissà. Ai posteri l'ardua sentenza, a noi (mi sembra di intuire se non misinterpreto)
almeno il beneficio del dubbio. Forse le questioni presenti in quel testo
bruciano non tanto per la ripetuta questione dei silenzi di Pio XII, ma perché
la questione centrale è quella dei battesimi forzati, un fenomeno che si
colloca all'origine di numerosi pregiudizi antisemiti in ambito cattolico, ma
che tocca anche questioni inerenti il corpo femminile, la definizione di
«adulto», lo statuto giuridico del feto e del momento della sua animazione.
Un tema che mette in questione e mostra la contraddizione tra pratica inclusiva
della Chiesa e sua autodenominazione universalistica (è questa la questione e
non la presunta smemoratezza di Galli della Loggia, come invece vorrebbe
credere Giorgio Israel l'11 gennaio). Un tema che pur parlando della prima
Modernità e del periodo Cinquecento-Ottocento è prossimo a molte discussioni
dei nostri giorni, su cui è da vedere ora un libro di grande spessore (Marina
Caffiero, Battesimi forzati, Viella 2004) e rispetto al quale la stessa Scaraffia era intervenuta, sempre sul Corriere (6 dicembre 2004)
con argomentazioni discutibili. Chiudiamo la parentesi e torniamo al
febbraio 1965. Successivamente la rappresentazione teatrale del Vicario inizia
a circolare, ma avrà vita grama. L'Italia degli anni Sessanta non è un Paese
ancora pronto a discutere la figura storica di un papa. Occorrerà tempo. Se
ne riparlerà, ma tiepidamente, solo nel 2002, quando Costa Gavras gira Amen.
Un film tratto dalla pièce di Hochhuth, che sembra arrivato fuori tempo
massimo il Giubileo, la retorica delle scuse, con cui si dice che non si farà
mai più, ma nel frattempo non si fanno i conti del perché quella cosa fu
possibile, sono stati già consumati. Tuttavia questo episodio contiene anche
uno strascico interessante, se si osserva la dinamica delle vicende italiane del
decennio successivo. Nel mentre a Roma la discussione su Volontè è infuocata,
nella notte tra il 16 febbraio e il 17 febbraio scoppia una bomba in via di
Porta Angelica intorno al perimetro del Vaticano. L'ipotesi è quella della
bomba politica: della sinistra per protestare contro il divieto del Vicario,
della destra per un gioco a specchio di responsabilità facilmente
scaricabile sulla sinistra. Viene accusato Claudio Volontè, fratello di Gian
Maria, di cui si ricorda un passato a destra e poi una militanza a sinistra e,
infine, la presenza nel gruppo teatrale del fratello impegnato nella
rappresentazione del testo di Hochhuth. La vicenda va avanti per alcuni giorni
tra metronotte che dicono di aver visto e poi smentiscono e un agente di Ps chi
dichiara di averlo riconosciuto. Vita italiana imposta un lungo dossier
in cui tutto si lega: la sfida «blasfema del
Vicario, Feltrinelli, la bomba, i soliti ignoti del panico e della
violenza. Il vicario inizia a girare per varie città. Ma a Roma in
quelle settimane, al di là del Vicario, è andata in scena anche
un'altra vicenda. Ancora nessuno se ne è accorto, nel febbraio 1965, ma è
iniziata timidamente una nuova stagione, sperimentando già tutta la tastiera
del «teorema» che ci accompagnerà a lungo.
©diario
della settimana |
Via
Melzo, 9 - 20129 Milano - Tel. 02 2771181 - Fax 02 2046261 |
Internet: http://www.diario.it/ - Email: redazione@diario.it |
da «Diario del mese», 21 gennaio 2005, per gentile concessione |