Diario

La rivolta

Shlomo Venezia era nel Sonderkommando (gli incaricati di bruciare i corpi) di Auschwitz. Il 7 ottobre 1944 questi disperati si ribellarono

di Marcello Pezzetti

«Siamo stati scelti quando eravamo ancora in quarantena e non vedevamo l'ora di uscire per andare a lavorare e per ricevere un pezzetto di pane in più. Allora è capitato che si è presentato un ufficiale delle Ss con due altri sottufficiali, i quali hanno chiamato il capo facendo l'appello della baracca dove c'ero io. Avevano bisogno di 80 persone e non si sapeva per dove, solo per andare a lavorare. Cosa sarebbe stato il lavoro nessuno lo sapeva. Hanno chiesto chi sapeva fare il barbiere, chi sapeva fare il dentista. Allora io avevo visto precedentemente dei ragazzi prigionieri che facevano i barbieri, che non erano poi barbieri perché ci hanno massacrato tutti quanti con la depilazione, eravamo pieni di sangue dappertutto. Ho pensato bene che se loro non sapevano fare quel lavoro, io lo sapevo fare meglio di loro, così avrei potuto avere qualche pezzo di pane in più. Mi sono presentato come barbiere. Un altro mio amico che lavorava in banca, aveva due anni più di me, era alle prime armi in banca, ha detto che poteva fare il dentista, però pensando che andando là avrebbe fatto l'aiutante, cioè portare l'acqua, pulire e fare cose del genere. Anche lui è stato scelto, praticamente siamo stati scelti in una ottantina, tra cui mio fratello e due miei cugini».

È Shlomo Venezia che parla. Abitava a Salonicco, ma era di nazionalità italiana. «Italiano residente all'estero», come tanti, con una sola «differenza»: era ebreo. Per questo motivo, agli inizi del 1944, venne deportato ad Auschwitz con tutta la famiglia. Pochi giorni dopo l'arrivo al campo, mentre la madre e la sorellina erano già state barbaramente uccise col gas, venne scelto con il fratello per fare il «barbiere». Non poteva sapere che era stato assegnato al Sonderkommando, ovvero a quel gruppo di sfortunati ebrei che furono obbligati a lavorare nelle installazioni omicide del campo: le camere a gas, le fosse di cremazione e i forni crematori.

«Ho incontrato un ebreo polacco al quale subito ho chiesto qualcosa. Questo m'ha detto che qui era un blocco del Sonderkommando e io naturalmente non sapevo che cosa voleva dire "Sonderkommando" e allora mi ha spiegato che questo è il Kommando per quelli che lavorano al crematorio. La mia prima preoccupazione non era il fatto del crematorio... o dei morti... ho chiesto per prima cosa se davano da mangiare, se c'era da mangiare, perché già sentivamo deperire il nostro organismo. Lui ha detto di star tranquillo, che li avremmo la possibilità di avere qualcosa da mangiare. Questo mi tranquillizzò, però non sapevo ancora di quello che poteva essere l'inferno dei crematori».

I crematori di Auschwitz, con le camere a gas annesse, rappresentavano uno dei segreti che i nazisti custodivano con maggior cura. Anche se sporadiche notizie sulla loro esistenza erano già in possesso degli Alleati, esse non erano state fatte arrivare alle potenziali vittime, per cui la quasi totalità degli ebrei rastrellati nell'intera Europa occupata, come Shlomo, arrivavano sulla Rampa del campo assolutamente ignari della sorte che li attendeva. Auschwitz era un complesso di campi creato dai nazisti nei pressi della cittadina polacca di Oswiecim ed era composto da tre grandi campi attorniati da una serie di sottocampi. Il «campo base» (Stammlager), Auschwitz I, era stato istituito il 27 aprile del 1940 come campo di concentramento per prigionieri politici polacchi e, come per tutti gli altri luoghi di detenzione nazisti, era dotato di un crematorio per la cremazione dei cadaveri dei prigionieri morti di stenti, di malattia o condannati a morte. Aveva dunque una funzione prevalentemente «sanitaria»: prevenire possibili scatenarsi di epidemie. Una squadra di prigionieri, chiamata «Krematoriumkommando», doveva conseguentemente occuparsi della liquidazione dei cadaveri nei forni crematori. Alla fine del 1941 una parte di questo crematorio venne trasformata in una provvisoria camera a gas. In essa, oltre a essere eliminati gruppi di prigionieri di guerra sovietici e piccoli gruppi di prigionieri polacchi la cui capacità lavorativa era stata giudicata definitivamente compromessa, incominciarono a essere uccisi i primi ebrei provenienti dai ghetti della vicina Alta Slesia. Tuttavia, nella primavera del 1942, in previsione dell'arrivo dei trasporti di massa degli ebrei dell'Europa occidentale, l'attività omicida venne trasferita a oltre tre chilometri di distanza, nei pressi di un nuovo campo in costruzione: Birkenau, o Auschwitz II, che sarebbe diventato il più grande ed efficiente campo di sterminio nazista per ebrei. Di conseguenza, nella seconda metà di marzo e in giugno, due fattorie agricole limitrofe al campo vennero trasformate in camere a gas, con accanto due baracche-spogliatoio ciascuna (Bunker 1 e Bunker 2, chiamati anche «casa rossa» e «casa bianca»). Essi erano collegati con piccoli binari a scartamento ridotto a fosse di seppellimento - successivamente di cremazione a cielo aperto - dei corpi. In questi impianti di messa a morte incominciarono a essere assassinati gli ebrei deportati dai ghetti ubicati nelle zone polacche circostanti. Essi venivano scaricati su una banchina ferroviaria appositamente realizzata, denominata Judenrampe, nei pressi dello scalo merci della stazione di Oswiecim, e trasportati ai Bunker con camion militari. Erano costretti ad abbandonare su quella banchina tutto quello che era stato concesso loro di portare con sé. Inizialmente, i componenti di questi trasporti venivano inviati interamente nelle camere a gas, tuttavia dal mese di giugno i nazisti iniziarono a praticare la tristemente famosa «Selezione iniziale»: una piccola percentuale di persone - meno del 20 per cento - era inserita nel campo come manodopera schiava, il resto inviato alla morte immediata. Con l'attivazione di questi impianti di sterminio si ebbe bisogno di formare un gruppo, chiamato Sonderkommando (letteralmente «Kommando speciale») consistente di prigionieri addetti al «trattamento» dei cadaveri, divisi in squadre con i seguenti compiti: estrarre i morti dalle camere a gas, trasportarli su vagoncini fino alle fosse, seppellirli. Essi dovevano anche raccogliere il vestiario abbandonato nelle baracche e, naturalmente, scavare via via le stesse fosse. Periodicamente venivano a loro volta uccisi con un'iniezione di fenolo al cuore e rimpiazzati con nuovi arrivati. Durante il periodo in cui lavoravano nelle strutture di morte, questi uomini erano alloggiati nella parte maschile di Birkenau, in un Block isolato dal resto del campo e non potevano avere contatti con gli altri detenuti. Alcuni di essi dovettero estrarre dai Bunker i cadaveri dei propri familiari e bruciarli nelle fosse. Non esistono parole per descrivere il dramma di queste persone catapultate da piccoli Shtetl polacchi (villaggi ebraici) o da quartieri centrali di Parigi nella realtà dell'ingranaggio dello sterminio di Birkenau. Un ufficiale delle Ss, l'Obersturmführer Johann Paul Kremer, docente di anatomia presso l'Università di Münster, inviato nel campo per condurre una sperimentazione sullo stato della malnutrizione, dopo aver assistito a una Sonderaktion («azione speciale»), tipico eufemismo nazista per indicare l'uccisione degli ebrei col gas, scrive il 2 settembre 1942 nel suo diario: «Ho assistito per la prima volta ad un'azione speciale... in paragone, l'Inferno di Dante mi sembra una commedia. Non è senza motivo che Auschwitz è chiamato campo di sterminio» e quattro giorni dopo: «Aveva ragione l'Hauptscharführer Thilo - un suo collega medico delle Ss - nel dirmi oggi che noi ci troviamo nell'Anus mundi». Similmente, poco prima della cessazione delle attività omicide, il 6 novembre 1944, Haim Hermann, ebreo polacco deportato dalla Francia, membro del Sonderkommando, lascia scritto in una lettera indirizzata alla moglie e alla figlia e sotterrata nei pressi dei crematori: «Qui c'è un altro mondo. Se volete, è l'inferno, ma l'inferno di Dante è inauditamente ridicolo se paragonato a questa realtà, e noi siamo i suoi testimoni oculari, che non hanno il diritto di sopravvivere». Nell'estate dello stesso anno, il Sonderkommando raggiunse circa le 500 unità, 300 delle quali vennero costrette, dal mese di settembre, a effettuare la riesumazione delle migliaia di cadaveri seppelliti intorno ai Bunker e a bruciarli su pire a cielo aperto. Nel giro di due mesi, vennero così fatti sparire 107 mila cadaveri e il personale addetto, dopo aver completato queste terribili «operazioni», venne assassinato. Da allora, si procedette alla immediata bruciatura dei corpi delle persone uccise col gas direttamente nelle fosse. Questo sistema di messa a morte e di liquidazione dei cadaveri durò per circa un anno, fino alla primavera del 1943, quando tra il 14 marzo e il 25 giugno vennero attivati quattro nuovi crematori (indicati nei documenti con numeri romani: II, IlI, IV, V), la cui costruzione era iniziata l'anno precedente. Essi divennero i più giganteschi e perfezionati impianti di messa a morte che l'uomo abbia mai realizzato. I Krematorium II e il III erano dotati, infatti, di una camera a gas sotterranea che conteneva sempre più di 1.500 persone, così come di una serie di cinque forni crematori a tre muffole (paratie interne) ciascuno; il IV e il V contenevano, a livello del suolo, ognuno tre camere a gas di dimensioni più ridotte rispetto a quelle dei primi due, e due serie di forni a quattro muffole. Dopo aver attivato questi impianti, i nazisti distrussero il Bunker I e disattivarono il Bunker 2 e, naturalmente, ampliarono ancora una volta l'organico del Sonderkommando. Nell'estate del 1944, il campo Birkenau raggiunse la sua massima espansione: arrivò a contenere 360 costruzioni, 250 delle quali consistenti in Block per i detenuti, prevalentemente ebrei. In questo periodo si diede avvio all' «azione ungherese», ovvero allo sterminio della comunità ebraica residente in Ungheria (oltre 400 mila persone). Per questo scopo fu costruito un prolungamento ferroviario fino all'interno dello stesso campo. Da allora gli ebrei vennero sottoposti alla selezione iniziale su una banchina interna, chiamata Bahnrampe, e avviati ai crematori a piedi. Successivamente vennero qui deportati anche gli ebrei ancora sfruttati nell'ultimo ghetto in funzione in Polonia: quello di Lòdz. A causa dell'elevatissimo numero di ebrei deportati in questo periodo (oltre che dall'Ungheria, continuavano ad arrivare numerosi con­vogli dal resto dell'Europa occupata), i nazisti riattivarono anche il Bunker 2; inoltre, dal momento in cui fu chiaro che la capacità di messa a morte delle camere a gas fosse superiore quella dei forni crematori di liquidare i cadaveri, vennero scavate cinque fosse per la cremazione a cielo aperto accanto al Krematorium V e una nei pressi del Bunker 2. In questa fase di massima capacità di messa a morte del campo, venne di proposito ulteriormente potenziato l'organico del Sonderkommando, che il 10 agosto raggiunse la cifra di ben 903 prigionieri, costretti d alloggiare prevalentemente negli tessi edifici dei crematori. Birkenau era diventata una spaventosa fabbrica della morte di massa, dove i prigionieri addetti ai crematori dovevano effettuare uno «sporco» lavoro a catena: accompagnare le vittime, quasi sempre ignare della loro sorte, nelle grandi sale-spogliatoio, ordinare e raccogliere i loro indumenti mentre queste venivano uccise, estrarre i corpi dalle camere a gas, estrarre i denti in oro, tagliare i capelli delle donne, introdurre questi corpi nei forni crematori o gettarli nelle fosse all'aperto, sminuzzare le parti delle ossa ancora intatte, gettare le ceneri nel vicino fiume Vistola. Shlomo, che aveva detto di essere un barbiere, fu costretto a tagliare i capelli di quelle povere donne e bambine: «Mi avevano consegnato una forbice di quelle che usano i sarti, quelle forbici grandi così... quelle... come un'accetta, come quelle che si usano per tagliare l'erba... Dovevo tagliare i capelli alle donne che avevano i capelli lunghi, le trecce... una volta si usava... Questi capelli poi venivano messi in sacchi di plastica e poi quando si faceva una certa quantità, tonnellate di capelli, allora questi li prelevavano e li portavano via». L'amico che aveva detto di essere un dentista venne obbligato a estirpare i denti d'oro e le protesi: «Quello che era oro doveva essere estirpato e poi messo in una cassetta sigillata, con una fessura dove dovevi mettere cose che entravano e non potevano più uscire fuori. Questo mio amico, quando si è trovato lì a dover aprire, spalancare le bocche dei morti, finché era all'inizio la cosa poteva andare perché erano ancora caldi, ancora potevi giostrare con la bocca... quando non erano più caldi... non riusciva più ad aprire loro la bocca. Stando lì, come eravamo ri­dotti, il nostro cervello non era più quello di una persona che può anche un po' ragionare». Spesso i prigionieri del Sonderkommando avevano pensato ad una rivolta contro le guardie Ss, ma non avevano mai ricevuto l'indispensabile sostegno da parte dei membri della «resistenza politica» che da tempo si era organizzata nel campo. Tuttavia, il 7 ottobre essi diedero vita a un'eroica, quanto disperata rivolta, riuscendo a mettere fuori uso il Krematorium IV. Da questo momento i nazisti, oltre a uccidere gran parte degli uomini coinvolti nella rivolta (due giorni dopo l'organico del Sonderkommando venne ridotto a 212 uomini: fra questi, Shlomo, suo fratello e suo cugino), misero in atto un sistematico processo di smantellamento delle strutture di sterminio. Agli inizi del mese di novembre, vennero finalmente sospese le azioni di sterminio degli ebrei e il gruppo del Sonderkommando costretto a partecipare allo stesso smantellamento dei crematori. Il 18 gennaio iniziò l'evacuazione generale del campo. Nell'arco di cinque giorni, circa 58 mila prigionieri furono incolonnati in quelle che vennero definite «marce della morte» e avviati, a piedi e su vagoni merci scoperti, verso i campi ubicati all'interno del Reich. Naturalmente, i nazisti cercarono di eliminare gli uomini del Sonderkommando ancora in vita, ma Shlomo e alcuni altri approfittarono della confusione di quel giorno inserendosi nelle colonne di prigionieri che evacuavano il campo. Così finirono a Mauthausen, in Austria, e liberati quattro mesi dopo. Shlomo ha avuto il coraggio di rifarsi una vita. Ha sposato una donna «speciale», dolce e forte in egual misura, Marika, ebrea di origine ungherese, dalla quale ha avuto tre splendidi figli che lo hanno reso più volte nonno. Oggi vive a Roma, è una persona mite, dotato di grande umanità e intelligenza. Dagli inizi degli anni Novanta, ha deciso di dedicare le sue energie a spiegare ai giovani e agli insegnanti la realtà della Shoah. Con uno sforzo immenso, anche se mai detto, perché Birkenau, le camere a gas, le fosse comuni sono nel suo cuore e nella sua mente, sempre. «Ogni volta che penso a Birkenau penso all'inferno. L'inferno... non ci san parole. L'inferno... qualsiasi di noi lo conosce attraverso i libri, senza averlo vissuto. Noi l'abbiamo vissuto».

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da «Diario del mese», 21 gennaio 2005, per gentile concessione

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