Diario

Paragraph 175

«Un atto sessuale innaturale commesso tra persone di sesso maschile o da uomini con animali è punibile con l’imprigionamento; può essere imposta anche la perdita dei diritti civili» Paragrafo 175, Codice penale tedesco 1871)

di Rob Epstein e Jeffrey Friedman *

 

Il triangolo rosa è stato adottato dalla comunità gay come simbolo, ma la sua storia e il suo significato non sono mai stati pienamente compresi da molti gay, né soprattutto dal grande pubblico. Secondo una ricerca del 1993 commissionata dall'American Jewish Committee, solamente la metà degli adulti inglesi e un quarto di quelli americani sapevano che i gay erano state vittime del regime nazista e che il triangolo rosa era l'emblema fisico usato dai nazisti per identificare gli omosessuali. Con Paragraph 175 abbiamo voluto esplorare una storia mai raccontata prima su pellicola e difficilmente studiata nei libri di storia. Perché non c'è traccia storica delle esperienze di decine di migliaia di persone perseguitate e uccise? In qualità di gay e di ebrei avevamo ovviamente ragioni personali per approfondire questa storia. Sentimmo la necessità di registrare tutti quei racconti che era possibile raccogliere mentre ancora c'erano dei testimoni viventi a narrarli. C'erano vittime omosessuali, c'erano combattenti della resistenza omosessuali e c'erano nazisti e loro simpatizzanti omosessuali. Inoltre, anche se i nazisti perseguitarono costantemente gli omosessuali, i loro oppositori cercarono di usare l'omosessualità di un ufficiale nazista di alto rango per propagandare che tutti i nazisti erano omosessuali. Tra il 1933 e il 1945 secondo i documenti nazisti furono arrestati per omosessualità circa 100 mila uomini. La metà furono imprigionati, e di questi 10 o 15 mila finirono nei campi di concentramento. Il tasso di morte dei prigionieri omosessuali nei campi è stimato attorno al 60 per cento (una delle percentuali più alte tra i prigionieri non ebrei) cosicché nel 1945 solo 4 mila erano sopravvissuti. Ancora più ignota è la storia del dopo lager: molti sopravvissuti gay furono soggetti a una continua persecuzione anche nella Germania post nazista dove venivano visti non come prigionieri politici, ma come criminali secondo la legge sulla sodomia in vigore anche dopo la liberazione. Nel dopoguerra alcuni di loro furono di nuovo arrestati e imprigionati. Tutti restarono esclusi dai sussidi del governo e in gran parte dei casi il tempo che trascorsero nei lager fu dedotto dalle loro pensioni. La «cura» attraverso suicidio, matrimonio o isolamento erano comuni. Negli anni Cinquanta e Sessanta il numero di incarcerazioni per omosessualità nella Germania Ovest fu alto quanto lo era durante il nazismo. La versione nazista della legge sulla sodomia restò in vigore fino al 1969. Quando la comunità internazionale cercò la giustizia per le vittime di Hitler con i processi di Norimberga (1946) non furono mai menzionati né le atrocità commesse contro gli omosessuali né la legge e le misure antigay. La fobia e la persecuzione furono accettate come normali nell'Europa e negli Stati Uniti del dopoguerra. Allo stesso modo, le ricerche sulla Shoah, i memoriali e anche i musei ignoravano il destino dei detenuti omosessuali nei lager. Ancora oggi il governo tedesco si rifiuta di riconoscere gli omosessuali come vittime del nazismo. (Altri Paesi europei hanno politiche simili di esclusione e di non riconoscimento). Negli anni Novanta, i ricercatori iniziarono a documentare le storie degli uomini che portavano il triangolo rosa. La prima istituzione a farlo, fu lo United States Holocaust Memorial Museum di Washington, che cambiò la percezione pubblica includendo nelle sue rassegne la persecuzione nazista degli omosessuali. Incoraggiati dagli storici e dai musei molti sopravvissuti gay si fecero avanti e raccontarono le loro storie per la prima volta, mettendo fine a decenni di silenzio e isolamento innaturali. Nel 1995 otto sopravvissuti sottoscrissero una dichiarazione collettiva chiedendo il riconoscimento giuridico e morale della loro persecuzione.

* Con questo film nel 2000 hanno vinto l'Orso d'oro per il miglior documentario al Festival di Berlino e il Premio per il miglior documentario al festival di Sundance.

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da «Diario del mese», 21 gennaio 2005, per gentile concessione

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