Diario

Nazionalità nemica: razza ebraica

Documento per documento, il racconto della spoliazione sistematica di un ebreo milanese. La tranquilla crudeltà della burocrazia fascista

di Philippe Daverio

 

Tranquilla serata milanese seduti alla tavola da pranzo sotto la luce del lampadario. Cena casalinga con famiglia e amici. È venuto a trovarci Orio per parlare di certe sue idee sulla situazione dell'arte contemporanea e la pittura in Italia oggi, priva di diritti perché schiacciata dalle mode estere. Il tavolo è ingombro. Pollo (o forse polpettone), bottiglie di vino casuali in mezzo ai giornali ancora del mattino, già sgualciti, un catalogo della mostra sull’Africa a Torino, quella geniale fatta dall’Ezio Bassani, e un plico più sgualcito dei giornali, ma più grosso. Me lo ha mandato Jean, questa mattina. Poi mi ha chiamato per telefono: «Guardalo, potresti scrivere un articolo per il Diario. Riguarda mio bisnonno Reinach». La vita quotidiana è sempre piena di piccole casualità. È la prima volta che Orio cena a casa mia, lo conosco da quando è nato più o meno una trentina d'anni fa, sono amico del padre e della madre. Ernesto Reinach è anche il trisnonno suo, per linea materna. La busta viene aperta ovviamente con il pollo (o forse polpettone) ancora in tavola e cadono nella normalità della nostra esistenza attuale le fotocopie della burocrazia milanese di sessant’anni fa. Fogli assolutamente normali, prestampati simili a quelli che compiliamo ancora oggi, riempiti con la macchina per scrivere con caratteri uguali a quelli usati da noi tutti fino a ieri mattina, prima del computer. Sapore domestico quanto il pollo (o forse polpettone). Ci si mette un attimo, non solo un istante, a mettere a fuoco. Prima imbarazzo, poi una certa incredulità, poi repulsione e poi appassionata curiosità. Troppo familiari i nomi, troppo familiari i parenti di Jean e di Orio, troppo milanese il tutto, gli indirizzi in via Aurelio Saffi o Morozzo della Rocca, da qui ci si va a piedi, i nomi delle banche dove abbiamo tutti avuto o abbiamo ancora un conto corrente, dove abbiamo pagato una cambiale o incassato un assegno. La prefettura. La provincia di Milano. L'ufficio delle Tasse (la t deve essere maiuscola). Jean per linea paterna è belga. Il nonno paterno di Orio è stato uno dei maggiori giornalisti italiani del secolo appena passato. I milanesi non hanno razze, sono una naturale mescolanza da almeno duemila anni. La parola razza ebraica suona come fuori luogo. È la prima che appare dalla busta del caso Reinach. E continuerà a tenerci nel disagio mentre ci passiamo i fogli e mentre compaiono altri fantasmi più ghiacciati ... In questi giorni la destra al governo ha dichiarato che le leggi razziali furono un'infamia. Bene. Ma la normativa è cosa astratta. Le leggi ci sembrano sempre lontane, spesso sbagliate, alcune volte infami. Ma sempre leggi sono. Trovato l'inganno? La fabbrica Oleoblitz del Grand Uff. Ernesto Reinach fondata nel 1882 agli albori dell'automobilismo è cosa concreta, lì dietro dalle parti di Niguarda. È concreta la soffice morbidezza dell’agiato signor Reinach con un figlio ingegnere, un altro amante dei cavalli da corsa, con altri ancora che costituiscono un bel famiglione milanese anni Trenta, lampadario di cristallo e tappeti persiani compresi. Sono concrete le azioni di società ancora oggi quotate in Borsa. È concreta la mia amica Silvia, che poi è la mamma di Jean, e con la quale ho fatto i miei primi commerci un po' (per vezzo non vi dirò quanti) di anni fa. Fa parte della mia vita quotidiana e la rivedo giovane quindicenne nel salotto Reinach attorno al 1935. È naturale provare la pietas di fronte alle immagini del ghetto di Varsavia nel 1940: la televisione ci ha abituati alla memoria. La pietas sorge sul terreno tranquillo e solido del teleschermo. Nella televisione tutto è vero ma nulla fa mai vera­mente male. Fa male sapere che, nella foto del salotto dove c'è Silvia, il nonno Reinach, la zia e lo zio De Benedetti col bambino di tre anni che è in braccio al nonno e che al momento della deportazione di anni ne aveva undici sono morti ad Auschwitz o forse prima di arrivarci. Fa male accorgersi che il male non è nella normativa, è nella casa dove siamo passati. Perché la normativa in sé non è quasi nulla, non esiste se non applicata, con «corretti» gesti burocratici, da «solerti» burocrati come il prefetto Villa, che si chiama Villa come tanti miei conoscenti lombardissimi si chiamano. Jean è riuscito a farsi dare dall'Archivio di Stato le copie degli atti burocratici e amministrativi, delle lettere intestate delle aziende e delle banche che riguardano il caso Reinach conservate da allora, conservate non per testimoniare, qui la memoria non c'entra, conservate perché burocraticamente la burocrazia conserva. Non ha anima la burocrazia. Forse non ha anima neppure la legge. L’anima la dovrebbero avere gli uomini. Ho visto le carte di uomini che l'anima la hanno persa, ho avuto questa visione orribile assieme a Orio durante la cena di famiglia con in tavola le bottiglie e il pollo (o forse polpettone). Ho visto la lettera in cui l'azienda commissariata Oleoblitz rinnegava colui che la aveva fondata sessantun anni prima e che forse era già morto poiché lo avevano prelevato il 6 dicembre 1943, giorno per i cattolici di San Nicola. La lettera è del 30 dicembre e sono passati solo 24 giorni. Spiega la lettera l'ammontare del finanziamento soci per una cifra non indifferente, roba da borghesia più che solida. Soci in famiglia, i due figli fortunatamente riusciti a fuggire assieme al nucleo principale di casa Reinach per via del fatto che la villa di Lanzo confina con il canton Ticino. Il capofamiglia Ernesto, la figlia e il genero avvocato piemontese con figlioletto si fanno prendere per uno stupido ritardo a bordo, si dice, dell'Isotta Fraschini, la stessa automobile che s'era comperato Gabriele d'Annunzio prima di morire. Ho visto la lettera in cui l'amministratore condominiale di via Aurelio Saffi, dove abita la buona borghesia, chiede al capo della Provincia di Milano di fare sgomberare, il 4 febbraio successivo, l'appartamento «ancora» ingombrato dai mobili (di cui lista allegata) di uno dei figli fuggiti e moroso dell'affitto, poiché la casa era già stata destinata a un nuovo inquilino «sinistrato» (probabilmente in seguito ai bombardamenti dell'agosto precedente). Ho visto la denuncia della Comit su un prestampato previsto per il congelamento dei conti di cittadini appartenenti alle nazioni in guerra con l'Italia. Ho visto il tabulato del Credito Commerciale, sede di Milano, che denunciava le proprietà azionarie, con azioni di società che ho rivisto nella normalità della Borsa valori di Milano. Qui la dicitura nazionalità nemica è ipocritamente cancellata. Ho visto l'elegante carta intestata dell'Ente di Gestione e Liquidazione Immobiliare, che assomiglia non poco agli Enti di privatizzazione di oggi, l'ho visto affidare i beni immobili dei Reinach alla Cassa di Risparmio delle Province Lombarde. L'unico timbro della Repubblica Sociale l'ho visto su un foglio non prestampato in tipografia ma risultante da un timbrone dell'ufficio delle tasse. Si sa che quelli lì sono sempre un po' miserabili. Ho notato inoltre che sono stati anche gli unici a non trattare l'ottantanovenne da ebreo, ma a lasciarli addirit­tura il titolo di Gr. Uff. (Grand'Ufficiale). Ho visto l'orribile lettera di Saeveke, il capo della Gestapo, che manda una informativa attardata il 22 maggio 44 alla prefettura di Milano come per giustificare la sua buona volontà nell’avere cacciato una preda sostanziosa (indicando azioni, partecipazioni, soldi e beni immobili) nell'ambito delle «procedure di evacuazione» di sua competenza. Ho visto lettere a carta intestata chic, quelle della Società Trenno, che denuncia gli ebrei ai quali doveva danaro come premio allevatori per i cavalli da corsa. Ho visto la lettera del lanificio Targetti che denuncia il suo azionista ponendo però alcune possibili eccezioni sul fatto che le azioni siano ancora in mani sue. La società potrebbe forse essere già pulita. Ho visto un capolavoro d'ipocrisia grafica nella lettera del Banco di Roma, filiale di Milano dove non si usa più il prestampato ma la tabella è ottenuta artigianalmente componendo le linee verticali con punti esclamativi in colonna. A Roma si era già passati dall’8 settembre: la testa della banca era libera, il braccio repubblichino. L'intestazione è scomparsa, permane solo un timbro banale. Non sono d'accordo con Yaakov Lozowick, il male può essere banale. La data indicata è del 25 gennaio 1945, tre mesi prima del 25 aprile. Ho visto gli estratti conto del Credito Commerciale di Via Armorari 4 che comunica l'arricchimento dei conti dei relativi interessi attivi, siamo in febbraio e il vento si fa freddo. E poi ho visto infine la lettera del prefetto di Milano che, il 6 giugno 1945, reintegra dei suoi diritti e possessi il nonno Reinach ormai morto. Lo reintegra non perché abbia vinto l'Italia della Resistenza ma per via di un decreto reale emanato a Roma già il 20 gennaio 1944. Ma continua ancora a definirlo «di razza ebraica».

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da «Diario del mese», 23 gennaio 2004, per gentile concessione

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