Diario

L’incubazione

di Enrico Deaglio

 

Ora che abbiamo visto quella foto di Auschwitz (Dio, nel 1944, era evidentemente distratto; ma anche la Raf non scherzava, vedente e cieca), Diario presenta ciò che ha raccolto quest'anno: la terribile storia di un'amicizia che resistette a uno sterminio (Norman Manea che parla della Romania), un bambino che crede di essere spiritoso perché ad Halloween si veste da Hitler (l'americano Ryan Boudinot), il vero pianista di Varsavia, le mutazioni delle comunità ebraiche italiane, stille di «sangue dei vinti» tra i boschi dell'Appennino dove «ululavano i mongoli», un buon tedesco a Berlino, una zia che si mantenne allegra anche nei campi di sterminio, la sistematica spoliazione dei beni del milanese Ernesto Reinach, i compagni di scuola e di gite di Primo Levi, in un coro in cui si possono ascoltare anche violini yiddish, tristi memorie da Russia e Cambogia e buoni profumi da un magazzino di spezie a Trieste. Tutto bene? Tutt'altro. La cronaca parla di tutt'altro. Parla di antisemitismo crescente in Europa. La parola «incubazione» è quella che, a chi scrive, dà la maggiore inquietudine. «Italia, antisemitismo in incubazione» titolavano a gennaio 2004 i quotidiani italiani, presentando un sondaggio dell'Eurispes. («Gli ebrei governano il mondo», «complottano», «minacciano la pace». . . Le caselline con le domande e le percentuali degli assenzienti sono note a tutti. Siete d'accordo? Un po'. Abbastanza. Molto). Ma che cos'è un'incubazione? È, per esempio, il minaccioso tempo di attesa che separa la presenza di una malattia dagli inevitabili suoi primi sintomi. Ma è anche qualcosa di positivo: il calore che fa schiudere le uova, la machina (incubatrice) che aiuta a crescere i bambini nati prematuri. Dunque l'incubazione è anche un processo che può essere guidato, regolato. Ed è questo che inquieta. Nell'analizzare l’antisemitismo di oggi, l'interesse si appunta sull'Europa (l'antisemitismo del mondo islamico essendo praticamente dato per scontato e il fenomeno negli Stati Uniti assai poco trattato); in genere la conclusione lega la crescita dell'antisemitismo all’11 settembre, alla guerra Israele-Palestina, all'Iraq, a Bush e soprattutto a Sharon. Così si dice che l'Europa, culla storica e secolare dell'antisemitismo, si dimo­strerebbe nuovamente adatta a far crescere rigogliosamente il suo terribile bambino; lei, l'Europa, è sempre lei l'incubatrice. Ma per incubare, per costringere milioni di persone a essere antisemite, ci vuole un sacco di energia, di mezzi, di potere, di intimidazione. La Chiesa cattolica impiegò nei secoli gli eccezionali mezzi del suo potere per convincere le moltitudini cattoliche del «deicidio» operato dagli ebrei. Gli zar si misero molto d'impegno per fabbricare quel format di successo internazionale, I Protocolli dei Savi Anziani di Sion, ancora oggi così attuale. Hitler piegò tutto lo Stato tedesco, i suoi scienziati, la sua propaganda, il suo esercito, i suoi giuristi, lo stesso linguaggio per raggiungere quello che era il suo obiettivo primario: la eliminazione fisica degli ebrei nel suo Reich millenario. Mussolini, nel suo piccolo, fece la stessa cosa, assoldando in tempo relativamente breve scienziati, giuristi, prefetti, polizia, giornali, presidi e professori, oltreché l'imbelle casa reale. Henry Ford, in America, spese molti dei suoi soldi per propagandare l'odio nei confronti degli ebrei. E dunque possiamo dire che il «popolo», o se volete chiamarlo la piccola borghesia frustrata, impaurita per il suo presente e il suo futuro, o la classe operaia nei tanti momenti di crisi economica non abbia da sé trovato il nemico di se stessa, ma che contro questo nemico sia sempre stata, intenzionalmente, indirizzata. Spesso cedendo alle intimidazioni e al convincimento, molte volte però coraggiosamente rifiutandosi. Chi vuole investire nell'antisemitismo sa di poter contare su un humus favorevole. In un piccolo villaggio della Polonia i contadini non aspettarono l'arrivo dei nazisti per ammazzare tutti gli ebrei; gli avvocati di Lione da tempo mormoravano che i loro colleghi ebrei gli rubavano il lavoro e furono ben contenti quando gli dissero che lo pote­vano proclamare ad alta voce. Poi successe quello che successe; ma è colpevole forse l'avvocato di Lione? Poteva lui sapere quello che aveva in mente Hitler? L'incubazione è forse proprio questo: l'attesa di un permesso formale. La deve dare un politico, un leader, un religioso. Nel frattempo l'antisemitismo europeo di oggi rimane quello che descrisse Jean-Paul Sartre sessant'anni fa, l'unico «snobbismo» che i ricchi permettono ai poveri. Da molti anni ormai l’Europa assiste a un aumento di manifestazioni antisemite, quelle che un tempo si sarebbero chiamate “un rigurgito”. Si è cominciato sostenendo che Auschwitz era “una menzogna ebraica” (i famosi storici “negazionista”); si è continuato incolpando gli ebrei di volere fare reddito per aver chiesto ad alcune grandi banche svizzere i soldi che vi erano stati depositati e che erano stati rubati; si è continuato accusando gli ebrei di voler sommergere gli europei sotto un collettivo “senso di colpa”; si è ricominciato ad accusare gli ebrei di una “doppia lealtà”, una al proprio Paese, una più forte a Israele; si è ricominciato ad accusare gli ebrei di occupare posizioni preminenti nella finanza e nell'informazione; a identificare il sionismo come una forma di imperialismo. Tutto ciò è opera di stimati intellettuali, stimati storici, stimati opinion leaders, stimati vignettisti che hanno notevole ospitalità sui media più importanti. Forse sedotti, forse semplicemente stupidi, coloro che vanno a profanare cimiteri, a incendiare sinagoghe, a disegnare sui muri svastiche, a picchiare, sono (quando la polizia decide di scoprirli) timidi adolescenti, bestioline prese allaccio dalle belle parole di un professore locale. Ma non è tutto. L'ultima voga antisemita (per ora più di parole che di fatti) è tutta di sinistra: i siti più no global, le ong più radicali associate alle delegazioni dei Paesi islamici all'Onu. Obiettivo: Israele, la sua condotta politica e militare e la sua stessa legittimazione a esistere. Met­tendo insieme i vari promotori delle varie varianti, si trovano i personaggi più strani: il filosofo francese Roger Garaudy, l'ambasciatore Sergio Romano, lo storico inglese David Irving, la Lega Nord di Bossi, il disegnatore Giorgio Forattini, il presidente della Malaysia, Mahatir Mohammed, che accusa gli ebrei di governare il mondo «per procura», stimati professori universitari francesi che chiedono di interrompere i loro rapporti culturali con le università israeliane, in protesta contro il governo Sharon, centri sociali di estrema sinistra. Questa nostra Europa oggi unita può produrre un leader politico che faccia dell'antisemitismo una parte del suo programma? È difficile crederlo, anche se i leader poli­tici, purtroppo, leggono i sondaggi. (A questo proposito, nonostante gli esperti dicano che essi sono soggetti a qualche regola scientifica, continua a rimanere difficile da digerire che le domande sull'antisemitismo nei sondaggi nell'anno 2004 ricalchino gli stessi temi posti dai Protocolli un secolo fa. Se fossi l'autore dei Protocolli, chiederei a Eurobarometro o a Eurispes di partecipare ai diritti d'autore). Esiste qualche potenziale leader politico in Europa, oggi, che sia disposto a mettere nel suo programma elettorale qualche misura, qualche provvedimento, qualche consiglio che vada incontro agli umori del popolo sondaggiato? Apparentemente no, per ora. Ma quale leader politico in Europa può agire liberamente, se i sondaggi gli dicono che il tot per cento del suo elettorato gradirebbe qualche misura antisemita? L'Europa troverà qualcuno più serio dell'austriaco Jorg Haider? Tristi pensieri vengono, presentando Memoria del 2004

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da «Diario del mese», 23 gennaio 2004, per gentile concessione

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