Diario
Onore al rabbino Deutsch
Morto trentaduenne nel manicomio di Nocera Inferiore il rav Otto di Susak era giudicato «pericoloso». Forse per aver cercato di salvare gli ebrei dalla furia dei croati
di Michele Sarfatti
Otto
Deutsch era rabbino della Comunità ebraica di Susak (cittadina jugoslava
limitrofa a Fiume) nell’aprile 1941, ossia al momento dell’invasione e della
successiva annessione italiana. Nato nel 1911 in Croazia, coniugato e padre di
un figlio nato nel 1934, Deutsch morì il 25 novembre 1943 nella cittadina
campana di Nocera Inferiore, ove era stato trasferito dalla località calabrese
di Ferramonti di Tarsia. Che itinerario strano! Già; dapprima, nel settembre
1941, Deutsch era stato assoggettato all’internamento nel campo di Ferramonti
per motivi persecutori; successivamente, all’inizio di agosto 1943, era stato
trasferito al manicomio di Nocera per motivi sanitari. Quest’ultimo
trasferimento, avvenuto subito dopo lo sbarco nella vicina Sicilia degli Alleati
liberatori e durante i primi quarantacinque giorni dell’incerto governo
Badoglio, risulta motivato dal fatto che il rabbino aveva avuto due non meglio
precisate «crisi maniacali» ed era stato giudicato «pericoloso per sé e per
gli altri». Un trasferimento, persecutorio o comunque punitivo? Nessun elemento
lo attesta o lo suggerisce. Senza entrare nel merito della diagnosi (che
potrebbe essere stata erronea, allarmistica, o tardiva) e dei metodi di cura di
tali crisi, e senza negare a priori qualsiasi collegamento tra il ricovero in
manicomio e la sua morte, resta il fatto che non si può assolutamente affermare
che l’uno fosse «finalizzato» all’altra. Quindi, il rabbino Otto Deutsch
non fu una vittima della Shoah? Be’, potrebbe anche esserlo stato. Come «potrebbe»?
Dipende da ciò che riusciremo ad accertare intorno agli eventuali legami tra le
sue crisi e il primo trasferimento, quello a Ferramonti. Perché vi fu
trasferito? Il suo internamento fu proposto il 13 agosto 1941 dal commissario
capo di Pubblica sicurezza di Susak al questore di Fiume con la motivazione: «L’ebreo
in oggetto è un noto anglofilo, di accesi sentimenti antitaliani e antifascisti».
Quattro giorni dopo il prefetto di Fiume trasmise la proposta agli uffici romani
del ministero dell’Interno. Il 28 agosto il prefetto informò ulteriormente
quest’ultimo di avere (il 23) arrestato il rabbino: «Egli da qualche tempo
aveva richiamato l’attenzione dei nostri servizi per l’attività svolta nei
confronti di ebrei provenienti dalla Croazia agevolandoli con qualsiasi mezzo
per eludere la vigilanza e i provvedimenti dell’autorità». Il richiamo a «da
qualche tempo» segnala la connessione tra le due affermazioni: rav Deutsch era
anglofilo, antiitaliano e antifascista perché «agevolava» gli ebrei suoi
concittadini a «eludere» vigilanza e provvedimenti del ministero
dell’Interno. Ma cosa diavolo faceva il rabbino? Mercato nero? Speculazione
sulla lira? Falso in bilancio? Un primo elemento di chiarezza è contenuto in
un’istanza indirizzata l’1 settembre 1941 dal rabbino prigioniero al
Ministero dell’Interno: «Come delegato della Delegazione assistenza emigranti
(Delasem), Genova piazza Vittoria 14, a Susak via Vittorio Veneto 3, avevo presa
la cura dei profughi di razza e religione ebrea a Susak provenienti da Croazia.
Questa mia funzione fu assolutamente di carattere caritativo. Bisogna accentuare
e sottolineare che io sono rabbino». Cura e carità qui significano assistenza,
assistenza nei confronti di ebrei croati profughi a Susak che avrebbero dovuto
invece essere vigilati e assoggettati a provvedimenti. Cosa stava accadendo?
Stava accadendo che, annientata la Jugoslavia, gli ebrei trovatisi sotto gli
ustascia antisemiti e assassini avevano iniziato a fuggire in tutte le
direzioni, comprese Fiume e Susak. Qui essi o venivano fermati dalla polizia
italiana e respinti (sic) in Croazia, o riuscivano a inoltrarsi clandestinamente
in Italia, o rimanevano nascosti nella zona. Questi ultimi si mettevano spesso
in contatto con le comunità ebraiche di Susak e di Fiume, che prestavano loro
sostegno e aiuto. Ebbene, come ha ricostruito Klaus Voigt, in agosto la Questura
«riuscì a intercettare e a interrogare una delle persone incaricate di portare
i soldi per i sussidi. La polizia arrestò quindi il rabbino di Sussak. Di
conseguenza l’attività assistenziale dovette essere interrotta». Insomma, Otto Deutsch non era classificato antiitaliano in quanto jugoslavo e/o
filoinglese; era classificato antitaliano perché aiutava i suoi fratelli a
sfuggire agli ustascia, alleati dei fascisti, e perché contribuiva ad
accrescere il numero degli ebrei presenti in Italia. E la «vigilanza» e i «provvedimenti»
che egli aiutava a «eludere» erano nient’altro che gli arresti e i
conseguenti respingimenti voluti e attuati dalla Prefettura e dalla polizia di
Stato dell’Italia di allora. Per questo venne arrestato. Per questo venne
internato a Ferramonti. Ho capito; ma mi pare che tutto questo riguardi la morte nella Shoah degli ebrei
respinti dall’Italia in Croazia, non quella di Otto Deutsch. Già; ma tutto ciò
(l’interruzione della propria opera di assistenza, il respingimento degli
assistiti in Croazia, l’allontanamento improvviso dalla propria famiglia e
dalla propria missione, l’incarcerazione, l’internamento ecc.) potrebbe
anche essere stato la causa o la concausa delle «crisi» mortali del rabbino
trentaduenne. Non lo si può affermare, ma non lo si può negare. Lo si deve
invece verificare; si deve riuscire a risolvere quel «potrebbe». E, già che ci siamo, si deve finalmente accertare quali furono i dirigenti
della Prefettura e della Questura di Fiume (e del commissariato di Susak) che
ebbero la responsabilità o la corresponsabilità dei respingimenti in Croazia
di circa metà di quei 1.300-1.400 ebrei che erano fuggiti in Italia per
salvarsi dalla Shoah lì già iniziata. Chi stabilì i «provvedimenti»? Chi «vigilò»?
Quale ruolo svolsero il prefetto, il questore, i responsabili dei vari uffici?
Solo recuperando la verità potremo onorare il rabbino Otto Deutsch,
soccorritore stroncato, meritevole di memoria.
Fonti:
fascicoli di Otto Deutsch conservati presso l’Archivio statale di Fiume e
l’Archivio centrale dello Stato di Roma; Francesco Folino, «Ebrei
destinazione Calabria (1940-1943)», Palermo 1988; Klaus Voigt, «Il rifugio
precario», vol. II, Firenze 1996.
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da «Diario», 25 gennaio 2002, per gentile concessione |