Le leggi razziali privarono la Germania dei migliori
cervelli. Molti dei quali, fuggendo negli Stati Uniti, avrebbero contribuito
alla vittoria alleata
di
Pietro Greco
L’Endlösung, l’estinzione di una memoria
collettiva. Questo era, per Adolf Hitler, il passaggio fondamentale verso la «soluzione
finale»: l’eliminazione fisica di un intero popolo, il popolo ebraico, e l’eradicazione
di un’intera cultura, la cultura degli ebrei. Per liberare le ali alla civiltà
ariana e acquisire all’Europa la primazia mondiale assoluta. Questo progetto
Adolf Hitler propone, nero su bianco, nel Mein Kampf. Con questo
progetto, osceno ma lucido, l’ex caporale austriaco partecipa alle elezioni
politiche tedesche del 31 luglio 1932. E le vince: il partito nazista ottiene
13,7 milioni di voti e la maggioranza relativa (37 per cento) dei consensi. Nei
mesi successivi fallisce ogni tentativo di trovare una maggioranza stabile nel
Reichstag, che escluda i nazisti. Il 30 gennaio 1933 il vecchio presidente,
feldmaresciallo von Hindeburg, convoca il capo del partito nazista e gli
conferisce l’incarico di formare un governo di coalizione. Il 30 gennaio 1933
Hitler ottiene la carica di cancelliere del Reich. Nel giro di sei mesi la
Germania è completamente nazificata. Senza (quasi) opposizione. E nella (quasi)
totale legalità formale. Il popolo tedesco avrà da meditare sulle proprie
responsabilità. Come sostiene, compiaciuto, Hermann Göring: ora la legge è
lui, Adolf Hitler. Lui è la guida. Lui il Führer.Il primo del
successivo mese di aprile, sette giorni dopo aver ricevuto i pieni poteri da un
Parlamento ormai domato, il Führer, ormai già indiscusso, proclama il
boicottaggio nazionale dei negozi ebrei. Il 7 aprile il nuovo governo nazista
decreta Führer: «I pubblici funzionari di origine non ariana devono lasciare
il servizio». Gli ebrei sono così allontanati dai pubblici uffici e
dall’insegnamento. Quindi dalle università. Poi dal giornalismo,
dall’agricoltura, dall’arte. Dopo averlo scritto chiaramente, nero su
bianco, nel Mein Kampf, l’ex caporale austriaco si premura di
dimostrare subito, coi fatti, che la «questione ebraica» è di assoluta
priorità per il movimento nazista.L’infamia di quelle leggi razziali è tale che dovrebbe
suscitare reazioni veementi in tutto il mondo. Almeno in tutto il mondo libero.
Molti, però, preferiscono (continuare a) chiudere gli occhi di fronte
all’evidenza. Molti preferiscono chiudere gli occhi di fronte alla catastrofe
annunciata e incombente. Il risultato, immediato, è l’impunita
discriminazione di un popolo intero. E l’inizio della demolizione di una
grande cultura dalle nobili tradizioni. In pochi giorni 1000 insegnanti ebrei,
il 14 per cento dell’intero corpo docente delle università tedesche, sono
licenziati a causa della loro razza. Nei cinque anni successivi la cifra giunge
a 2800. Come in una migrazione biblica, migliaia di studiosi e di ricercatori
lasciano la Germania diretti verso nazioni più democratiche. Come in una
nemesi, molti di questi esuli daranno un contributo decisivo alla sconfitta dei
loro carnefici. Quel che resta della cultura tedesca assiste silenziosa.
Talvolta partecipe. Pochi docenti universitari «ariani» perdono il lavoro per
aver levato la voce contro quella ignominiosa epurazione e per aver sfidato
apertamente il nazismo. Tra essi Karl Jaspers, Karl Barth, Theodor Lessing. La
maggior parte dei docenti non ebrei resta al suo posto. Anzi, già
nell’autunno del 1933, in 960 proclamano la fedeltà a Hitler e al nazismo.
Tra essi il chirurgo Ferdinad Sauerbruch e il filosofo Martin Heidegger. Come
scriverà Julius Ebbinghaus: «Le università tedesche non vollero, finché
erano in tempo, opporsi pubblicamente, con tutta la loro influenza, alla
distruzione del sapere e dello Stato democratico. Esse non vollero conservare
acceso il faro della libertà e della giustizia durante la notte della tirannide».
Pochi si rendono conto che è possibile eliminare fisicamente un intero popolo.
Ma è difficile, se non impossibile, eliminare la memoria collettiva di quel
popolo. Fatto sta che il progetto nazista di cancellare la cultura ebraica per
liberare le ali alla civiltà europea, si risolve nella demolizione della
cultura tedesca e nello spostamento dell’asse culturale dell’Occidente e
dell’intero pianeta dal Vecchio Continente e, in particolare dalla Germania,
al Nuovo Continente e, in particolare, agli Stati Uniti. E questo spostamento
avviene grazie anche, e forse soprattutto, a quella memoria collettiva che,
repressa in Europa, rinasce, vigorosa, in America. Prendiamo il caso della
scienza tedesca. Fino al 30 gennaio del 1933 la Germania detiene senza dubbio la
leadership scientifica del pianeta. Tedesca è la migliore matematica:
tedesco, per esempio, è David Hilbert, considerato il più grande matematico
vivente, e di cultura tedesca è il logico viennese Kurt Gödel, che in quegli
anni sta rivoluzionando i fondamenti della matematica. Tedesca è la migliore
chimica. Fritz Haber, l’inventore della sintesi dell’ammoniaca e, ahimè,
delle moderne armi chimiche, è tedesco. E tedesco è Otto Hahn, il chimico che
da lì a qualche anno, scoprirà la fissione dell’atomo. Tedesca è la
migliore fisica. Un tedesco, Albert Einstein, ha elaborato, praticamente da
solo, la nuova meccanica relativistica. E gli scienziati tedeschi (Plance, lo
stesso Einstein, Heisenberg, Born, Sommerfeld, l’austriaco Schrödinger e
tanti altri ancora) hanno dato il contributo di gran lunga maggiore alla nascita
della meccanica quantistica. Berlino, Monaco, Lipsia e soprattutto Göttingen,
sono i centri della fisica dei quanti. D’altra parte la stessa scuola di
Copenaghen, che fa capo a Niels Bohr, è composta da molti tedeschi e
appartiene, culturalmente, al mondo scientifico tedesco.Questa scienza tedesca, questa straordinaria scienza
tedesca,crolla, in pochissimo tempo e senza molte attenuanti, dal suo
piedistallo, subito dopo il varo delle leggi razziali.. Non poteva essere
diversamente. Fino all’avvento del nazismo, gli uomini di scienza tedeschi
hanno vinto ben 28 premi Nobel: il 30 per cento di tutti quelli assegnati dalla
reale Accademia di Svezia. Se i Nobel sono un indicatore valido, significa che
la Germania, da sola rappresenta un terzo della cultura scientifica planetaria.
Ebbene, dieci di quei premi Nobel (più di uno su tre) sono andati a tedeschi di
religione ebraica. La leadership scientifica tedesca semplicemente non può
reggersi senza la presenza degli scienziati di origine ebrea.Neppure la leadership nella fisica. Göttingen,
Berlino, Monaco e Lipsia sono tra i centri mondiali più importanti della nuova
fisica. In pochi mesi, in pochi giorni ciascuno di quei centri subisce perdite
irreparabili. La sola Göttingen perde 45 fisici, tra cui i leader: Max Born e
James Franck. Born se ne va in silenzio, James Franck sbattendo la porta. Lui,
che ai termini di quella legge razzista, non avrebbe neppure dovuto andarsene.
Benché «non ariano», come combattente al fronte e insignito della croce di
ferro potrebbe restare al suo posto. Ma Franck non accetta l’umiliazione. E
sceglie di seguire la sorte dei suoi colleghi. Con una sdegnata, coraggiosa e
pubblica lettera di dimissioni. Anche a Göttingen pochi manifestano una qualche
opposizione all’epurazione razziale. Tra i pochi c’è il giornale locale, il
Göttingen Zeitung, che, con molta lucidità, paventa l’irreparabilità
della perdita di Franck, di Born e degli altri fisici ebrei dell’università.
Ma nessuno dei colleghi «ariani» protesta. Anzi, in 43 si dedicano alla facile
e poco nobile arte dello sciacallaggio: «Siamo tutti d’accordo», dicono
attaccando James Franck e la sua lettera, «che la forma della sua dichiarazione
di dimissioni equivale ad un atto di sabotaggio, e speriamo che il governo
applicherà i necessari provvedimenti di epurazione».Un altro ebreo che protesta fieramente è il matematico
Richard Courant. Lo fa stilando un documento, sottoscritto da alcuni suoi amici.
Poi si rivolge a 65 eminenti scienziati, chiedendo di firmarlo. Ma, di quei 65,
16 non rispondono, 21 rifiutano apertamente, gli altri confessano con franchezza
di avere paura. Tra i pochi ad avere il coraggio della firma ci sono Plance e
Heinsenberg, oltre che Sommerfeld e von Laue. Ma queste proteste, ancorché
coraggiose, sono deboli. E comunque molto rare. Hans Geiger licenzia il suo
collaboratore Hans Berthr, con una breve lettera. Senza una parola di solidarietà.
Senza una parola di rincrescimento. È questa la norma nella Germania che si
lascia placidamente nazificare. No, davvero le colpe della fisica tedesca non ebraica non
sono poche. Talvolta, sono esplicite. Spesso assumono la forma del puro delirio.
Rudolph Tomaschek, direttore dell’Istituto di fisica di Dresda, si unisce a
Philipp Lenard e a Johannes Stark, e proclama: «La fisica moderna è uno
strumento del giudaismo mondiale per la distruzione della scienza nordica».
Wilhelm Müller, del Politecnico di Aquisgrana , pubblica un libro dal titolo
inequivocabile, Il giudaismo e la scienza, per dimostrare che Einstein e la sua
relatività sono l’apice di un complotto mondiale ebraico volto a contaminare
la scienza, a distruggere la civiltà, a ridurre«la virilità tedesca al livello di un’inerte schiavitù». A Philipp
Lenard non pare vero di poter salutare l’emigrazione di massa dei fisici ebrei
dalla Germania: «Spontaneamente (sic!), lo spirito straniero sta già lasciando
le università, anzi il Paese». Non è solo Hitler. È la Germania che lo
vuole. Gli ebrei devono andarsene. Tutti. Persino Fritz Haber, l’illustre
chimico, il massimo esponente, con Max Plance, dell’Accademia delle scienze di
Prussica, il pupillo dell’esercito, il generale in camice bianco, sceglie di
lasciare quella patria ingrata che lui ha servito con tanto zelo. Benché
esentato per i suoi meriti bellici, fritz Haber, avvilito e vittima di
quell’idea assoluta di Nazione che ha così potentemente contribuito ad
alimentare, sceglie di andare in Inghilterra. Di chiedere accoglienza alla
vecchia e odiata nemica. Quando Max Born cercherà di farlo incontrare con
Ruthenford, questi rifiuta: non vuole stringere la mano all’inventore della
guerra chimica.In termini culturali il costo dell’epurazione è enorme. In
pochi mesi un patrimonio di sapere senza pari viene disperso, per coagularsi
oltreoceano. La Germania perde la sua leadership tanto nella nuova fisica
teorica quanto nella vecchia chimica applicata. Come noterà nel 1937 il Die
Chemische Industrie, non solo l’economia, ma anche la sicurezza nazionale
sono in pericolo. Parole profetiche. Nemesi sacrosanta. Quando il papa della
fisica, Albert Einstein, lascia Berlino per Princeton, alcuni dicono e scrivono
che è un po’ come se il Vaticano si fosse trasferito da Roma a Washington.
D’altra parte negli Stati Uniti la realizzazione della bomba atomica sarà
portata avanti dagli uomini scampati ai primi scampoli della follia
nazifascista. Einstein a Princeton e la bomba atomica non sono che due simboli,
peraltro diversissimi, del passaggio di un testimone, quello del primato
culturale-scientifico, che finisce saldamente nelle mani america. Nei primi 32
anni del Novecento, tra il 1901 e il 1932, solo 4 scienziati Usa avevano vinto
un Nobel, contro i 30 tedeschi. Nei successivi 32 anni, dal 1933 al 1962, i
primi Nobel vinti da scienziati Usa sono 57, contro gli appena 11 dei tedeschi.Una parte cospicua di quei Nobel americani vengono attribuiti
a scienziati ebrei di origine europea che qui hanno trovato rifugio, accoglienza
e una straordinaria possibilità di lavoro.
Ancora oggi, 70 anni dopo le leggi razziali di Hitler, la
Germania e l’Europa scontano la loro colpa. La leadership culturale e
scientifica del pianeta è ormai, saldamente, in altre mani. Il tentativo,
osceno, di cancellare una memoria collettiva si è così rivelata un’impresa
catastrofica per la cultura del Paese che l’ha perpetrata e per il continente,
l’Europa, che l’ha consentita. Quella memoria non si è lasciata cancellare.
È andata a inseminare un nuovo mondo. Per rifiorire più rigogliosa di prima. A
eterno ammonimento, ci auguriamo.