Subito dopo la guerra, i prefetti dell’Italia non più
fascista si dedicarono alla riscrittura di un passato nazionale vergognoso: le
persecuzioni ci furono, ma poco-pochino
di
Michele Sarfatti
«Date le spoliazioni subite», riferì il prefetto
nell’autunno 1945, «le condizioni economiche della maggior parte della
popolazione ebraica di Ancona e circoscrizione non è [sic] ancora
soddisfacente. Si notano sintomi di ripresa specialmente nell’ambito
commerciale, ma il ceto impiegatizio e i lavoratori in genere risentono
grandemente dei disagi e dei danni materiali subiti a causa della persecuzione
(case saccheggiate o distrutte e impossibilità a ricomprare il necessario per
vivere meno che modestamente o di trovare una stanza dove poter abitare per
riprendere la normale attività). Ē logica conseguenza di questo stato di
cose un abbassamento e una depressione del morale di chi si sia venuto a trovare
in questa situazione». Per il prefetto di Livorno, la situazione morale era «moralmente
buona», mentre quella economica «assai disagiata, per il fatto che la massima
parte delle famiglie hanno perduto la casa, con quanto è necessario alle più
elementari esigenze della vita». Le descrizioni della «situazione economica e
morale attuale» degli ebrei (cioè della loro situazione dopo la Liberazione)
inviate a Roma dagli altri prefetti nell’autunno 1945 erano grosso modo
similari e componevano un quadro sostanzialmente fedele alla realtà; in effetti
uno dei principali compiti dei prefetti era/è quello di leggere la realtà
locale (secondo parametri per metà governativi e per metà
tecnico-fotografici).Anche relativamente al periodo della Shoah i prefetti
descrivono spicchi della realtà effettiva, pur attribuendo gli arresti ai soli
tedeschi o (più raramente) anche alle autorità locali italiane, che però
eseguivano – la precisione in questo caso è ricorrente - «ordini superiori».
A Genova, per esempio, «molto prima che il governo della Repubblica sociale
italiana avesse emanato la nuova legge sulla razza, i tedeschi compivano già
contro gli ebrei quanto formava oggetto della legge di Norimberga: arresti e
deportazioni, espoliazioni dei beni e occupazione delle stesse case degli ebrei.
Le autorità italiane in questa provincia si astennero dal perseguire gli ebrei
e dal compiere opera vessatoria contro di loro, salvo l’esportazione di mobili
prelevati negli appartamenti di ebrei rimasti abbandonati per l’arresto e
deportazione dei proprietari».E prima della Shoah cosa era accaduto agli ebrei? Qui la
lettura delle risposte inviate dai prefetti al questionario diramato dal
ministero dell’Interno il 21 settembre 945 si fa quanto mai interessante.
Scopriamo così che ad Asti «la legge sulla razza è stata applicata in questa
provincia con particolare longanimità e comprensione, tenuto anche conto che i
pochi ebrei qui residenti appartengono massimamente a ricche famiglie che
godono, quali benefattrici, la stima e la considerazione della popolazione.
Pertanto non si è verificato, ad opera della autorità locali, alcun eccesso di
zelo nella esecuzione degli ordini superiori, anzi, ogni accorgimento è stato
adoperato per lenire le sofferenze morali e materiali degli ebrei»; che a
Bologna «le leggirazziali hanno
avuto in questa provincia scarsa applicazione nei casi concreti, in quanto i
cittadini e gli organi amministrativi, che avrebbero dovuto applicarle,
cercarono, in quanto possibile, di mitigarne gli effetti» (fino a quando, «giunto
il tedesco coadiuvato da delatori fascisti, iniziò la vera persecuzione
razziale, mettendosi alla caccia degli ebrei»); che a Firenze «le iniziative
delle autorità locali nell’applicazione dei provvedimenti razziali mantennero
sempre carattere esclusivamente formale» (fino a quando «il controllo delle
applicazioni delle norme stesse venne avocato dalle autorità nazifasciste»);
che a Grosseto «le leggi razziali furono applicate di mala voglia e senza
alcuna acredine, a eccezione di alcuni casi, in Pitigliano, che si devono più a
faziosità alla troppa ligia interpretazione degli ordini che venivano
dall’alto»; che a Pesaro, seppure «negli anni 1939 e 1940 le istruzioni
emanate contro gli ebrei dal governo fascista furono sempre più restrittive,
(…) gli uffici preposti per l’esecuzione di tali provvedimenti riuscirono,
con vari accorgimenti, a mitigarne gli effetti deleteri e spesso a ometterne
l’applicazione nonostante l’occhio vigile della federazione fascista e
dell’ufficio politico della milizia»; che a Teramo «la nostra legge sulla
razza trovò qui scarsa applicazione nei singoli casi concreti, e il popolo
tutto e la quasi totalità degli organi amministrativi che avrebbero dovuto
applicarla gareggiarono per sabotarla completamente o, per lo meno, per
mitigarne al massimo gli effetti».Bari assicura addirittura che «anche gli organi di polizia
erano ostili verso le leggi razziali e tale ostilità si concretava nel
sabotaggio sistematico dei provvedimenti di esecuzione relativi e nel suggerire
agli interessati i cavilli procedurali onde sfuggire al rigore delle leggi».
Rarissime invece sono le segnalazioni di «autorità locali che non si mostrano
moderate» (Ferrara).
Insomma, tralasciando qui il periodo 1943-1945, nel 1938-1943
gli italiani ebrei sarebbero stati o non perseguitati o perseguitati –
pochino-pochino-tanto-per-tener-buono-Mussolini, unico ma mai nominato
persecutore. Ne deriva anche che il dittatore sarebbe stato un dittatore, lo
Stato fascista non sarebbe stato uno Stato di polizia, la vicenda delle leggi
antiebraiche sarebbe stata la riprova del fatto che nella seconda metà degli
anni Trenta il regime (alla faccia di tutto l’odierno dibattito storiografico)
sarebbe stato nel pieno degli «anni del dissenso», a partire proprio dagli
alti funzionari del ministero degli Interni (retto dal «non dittatore»
Mussolini). E così i prefetti dell’Italia non più fascista si trovarono
impegnati nella costruzione di un «passato ufficiale nazionale» diverso dal «passato
materiale».Tuttavia il fascicolo documentario dell’Archivio Centrale
dello Stato (Direzione generale della pubblica sicurezza, A5G-Iig.m.
(1944-1948), b. 3, fasc. «Rimpatrio degli ebrei italiani deportati in Germania»
rivela che non si trattava esattamente di farina del loro sacco. Era stato
infatti lo stesso ministero dell’Interno non più fascista ad avvertire i
prefetti che il rappresentante diplomatico italiano in Belgio, trasmettendo a
Roma il questionario sulle persecuzioni antiebraiche in Italia pervenutogli da
un giornalista, aveva precisato: «Naturalmente, nel parlare con la signorina
Lachin (la giornalista), ho messo in rilievo il fatto che la nostra legge sulla
razza non solo aveva trovato una scarsa applicazione nei singoli casi concreti,
ma il popolo tutto e la quasi totalità degli organi amministrativi che
avrebbero dovuto applicarla avevano invece gareggiato per sabotarla
completamente o, per lo meno, per mitigarne gli effetti. (…) Sarei grato a
codesto ministero di fare nettamente risaltare che le iniziative italiane in
materia di razza non solo non erano spontanee, ma che il loro carattere formale
cessò unicamente quando gli invasori germanici estesero il loro controllo
all’applicazione delle misure antisemite».E il ministero dell’Interno cosìsollecitò i prefetti: «Si prega di voler cortesemente mettere
in grado questo ministero di dare una risposta alla citata R[egia]
Rappresentanza» (il corsivo è mio, n.d.r.).Mentre debbo correggere qui stesso una mia soprastante troppo
drastica affermazione (scrivendo «autorità nazifasciste» il prefetto di
Firenze forse volle discostarsi dalle direttive ministeriali), desidero
avvertire che questa vicenda deve essere meditata con grande attenzione.
Intendiamoci bene: l’Italia (ovvero il nostro Paese) agì in tal modo per
difendere sul piano diplomatico interessi forse legittimi (pezzi di territorio,
penali di guerra, ecc.). Ma il fine comunque non giustifica il mezzo: agendo in
tal modo, i suddetti rappresentanti e dirigenti dell’Italia postfascista hanno
devastato la consapevolezza, la memoria e la storia della persecuzione. Hanno
violentato gli (ex)perseguitati. Hanno negato un passato.
Il
«trapasso nella Rete»
Art
Spiegelman. La memoria
dei figli dei sopravvissuti, a partire da Maus. http://www.georgetown.edu.bassr/218/projects/oliver/MausbyA0.htm
- La banalità del male. Un lunghissimo articolo di Paolo Rossi
sul'Olocausto con una vasta sezione dedicata al senso di colpa dei
tedeschi per il passato nazista. http://www.spazzaparola.net/SPAZZAPAROLA/memorie/banalita5.htm
- Tipografia del terrore. Associazione dei giovani tedeschi impegnata a
mantebere vivo il ricordo dei luoghi del nazismo.
http://www.topographie.de/ -