Diario

Paese di santi, eroi e carnefici

Il senso del giorno della memoria: imprimere nella coscienza italiana l’immagine della responsabilità

di Furio Colombo

 

Stati e Paesi, e persino piccole comunità, hanno sempre avuto un “giorno della memoria”, spunto e occasione per festeggiare momenti che rappresentano un gruppo o lo uniscono, per creare occasioni di stare insieme tra persone che hanno qualcosa in comune. Nella maggior parte dei casi la definizione del giorno non è così esplicita. Ē una indicazione in codice istantaneamente compresa da tutti (un santo, una data, una ricorrenza nota) che spesso dà luogo a una «festa» o al ripetersi di un evento divenuto, con gli anni «tradizione». Solo il calendario americano esibisce un memorial day che dice, fin dal nome, il significato della ricorrenza: ricordare. Gli americani, quel giorno, sono invitati a ricordare se stessi anche se l’evolversi di questa festa nei decenni ha diretto il ricordo quasi solo verso l’attività delle forze armate.Il «giorno della memoria» che il Parlamento italiano ha approvato all’unanimità (legge Colombo-De Luca, Camera dei Deputati, 28 marzo 2000; Senato, 5 luglio 2000) propone ai cittadini – e soprattutto ai più giovani, alle scuole – una ragione radicalmente diversa per ricordare. Non un trionfo ma una tragedia, non l’affermazione di una comunità, ma una tremenda sconfitta, non un giorno luminoso, ma un buco nero della storia. C’è dunque anche una clamorosa diversità nel «giorno della memoria» proposto da questa legge rispetto a ogni altra tradizionale ricorrenza. Il «giorno della memoria» invita ognuno di noi a guardare in faccia il peggiore evento del secolo appena trascorso, un male che attraversato e segnato l’Europa: la Shoah, discriminazione, persecuzione, deportazione, spoliazione e distruzione dei cittadini ebrei di ogni Paese dominato dal nazismo e dai governi di ispirazione razzista e fascista. Per riflettere su un simile delitto e sulla inconcepibile assurdità, nel mezzo di Paesi colti, evoluti e industriali, occorre ricordare le leggi razziali, l’antisemitismo e le sue fonti anche colte e religiose, l’ambientazione culturale che ha reso possibile, accolto e tollerato, la meticolosa organizzazione della Shoah. Ē un viaggio nel cuore di una cultura che ha permesso, quando non progettato, un simile delitto che adesso ha due sole vie d’uscita. Una è la dimenticanza. Anche quando non è frutto del colpevole progetto di negare, la dimenticanza serve ad assolvere senza giudicare, ad archiviare senza capire, lasciando intatto un male che può sempre riprodursi. Ma l’altra via d’uscita – la sola moralmente accettabile – è ricordare. Per la prima volta siamo richiamati a ricordare una tragedia che non è di un solo Paese. Infatti quasi tutti i Paesi d’Europa hanno una data – già approvata dai rispettivi Parlamenti – per il «giorno della memoria». Ma è bene ripetere qualcosa che spesso si perde persino nella buona intenzione di non dimenticare. La Shoah è anche un delitto italiano. La parte italiana di quel delitto – nel progetto, nelle leggi, nei propositi organizzativi del regime mandante di quel delitto – è una parte molto grande. Ē il contributo politico, istituzionale, burocratico, ma soprattutto morale di un grande Paese allo sterminio di popolo. A cominciare dai cittadini italiani ebrei, messi a disposizione della macchina tedesca dello sterminio dopo essere stati privati di ogni diritto. Ci dice lo storico Michele Sarfatti che, dal punto di vista della precisione meticolosa e ossessiva e della capacità di bloccare ogni strada di salvezza ai cittadini ebrei, le leggi razziali italiane hanno un impianto più drastico persino a confronto con le leggi tedesche. Memoria, qui vuol dire sapere e ricordare quanto silenzio, quanto opportunismo, quante misere convenienze personali (strappare una cattedra, occupare un appartamento) hanno reso possibile la parte del delitto. Vuol dire anche però, ricordare e celebrare coloro che hanno rifiutato di partecipare al delitto, che si sono opposti, che hanno dato e rischiato la vita, anche tra le fila di coloro che per finzione o militanza, avrebbero dovuto essere persecutori. Almeno due nome dovrebbero essere conosciuti da tutti i giovani italiani: quello di Giorgio Per lasca, che in Ungheria si è adoperato da solo a salvare migliaia di cittadini ebrei di quel Paese. E quello del giovane questore di Fiume, Giovanni Palatucci, morto a 36 anni nel campo di Dachau dopo aver lavorato a lungo per nascondere ebrei, proteggerli, disinformare, organizzare fughe, salvare. Il senso, la necessità di un «giorno della memoria» è, dunque, di imprimere nella coscienza collettiva italiana l’immagine della responsabilità, il senso di ciò che è accaduto, a partire dal modo in cui la tragica e disonorevole sequenza è stata proposta, decisa, approvata, firmata nel tentativo di realizzarla con la complicità e il silenzio. Il «giorno della memoria» è dedicato alle vittime della Shoah e delle deportazioni dei militari e dei politici che non si sono piegati. Sapere, riflettere, pensare, ricordare è dovere di tutti. Ē tributo ai giusti che si sono opposti e hanno impedito in tal modo che leggi e comportamenti folli – oltre che vergognosi – contagiassero tutto il Paese, la sua immagine, la sua storia.  

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da  «Diario», supplemento al n. 4 del 27 gennaio 2001, per gentile concessione

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