Corriere della sera

«Basta con i falsi su via Rasella»

POLEMICHE L'ex gappista Bentivegna risponde a Gasparri.

di Rosario Bentivegna

Ho letto sul Corriere del 22 aprile l'intervista di Maurizio Gasparri ad Aldo Cazzullo sulla fiction televisiva dedicata al sacrificio di don Pappagallo, La buona battaglia. E sono rimasto colpito dalle sue affermazioni sull'attacco partigiano di via Rasella, in conseguenza del quale ci fu la ritorsione nazista delle Fosse Ardeatine. Secondo l'esponente di An, sui 12 uomini dei Gap (io ero tra questi) che annientarono l'11° Compagnia del 3° Battaglione dello SS Polizei Regiment Bozen «grava un marchio di infamia» perché «non si consegnarono». Gasparri, protetto dall'immunità parlamentare, pensa di poter elargire insulti ai partigiani. Anche se sollecitato dall'intervistatore a considerare «che non ci fu alcun invito da parte dei nazisti a presentarsi», prosegue imperterrito: «Gli attentatori di via Rasella non ebbero lo stesso coraggio di Salvo D'Acquisto». Ma i fatti sono quello che conta, nella storia, non le illazioni, o i paragoni improponibili tra eventi totalmente diversi. Gasparri ignora che i falsi su via Rasella sono stati smentiti da tutta la storiografia più qualificata, oltre che da tutte le corti di giustizia che hanno affrontato la vicenda, da Norimberga alle corti militari alleate e italiane, dalla Suprema Corte civile a sezioni riunite alla Cassazione penale. Tutti hanno stabilito che la ritorsione delle Ardeatine fu condotta rapidamente e in segreto. La strage ebbe inizio alle 14 del 24 marzo, esattamente dopo 22 ore, dall'attacco partigiano del 23. Nessuno ne seppe nulla, tranne gli esecutori e i comandi che l'avevano disposta. Solo il 25 marzo, a mezzogiorno (i giornali, per motivi di coprifuoco, uscivano a quell'ora), un comunicato Stefani annunciò l'immane delitto che aveva colpito Roma, concludendo con la terribile frase: «Quest'ordine è già stato eseguito». A giustificazione del suo comportamento, Gasparri si è definito un «defeliciano», pur confessando di non aver letto l'opera più significativa di Renzo De Felice, la biografia di Mussolini. Lo invito a farlo e, per quanto riguarda via Rasella, a soffermarsi sul volume Guerra civile del 1997, che a pagina 151 rimanda alle «memorie dei principali protagonisti dell'attentato», in particolare a quelle del sottoscritto (Achtung Banditen. Roma 1944); di Franco Calamandrei (La vita indivisibile) e di Giorgio Amendola (Lettere a Milano). Anche nel libro scritto con Pasquale Chessa, Rosso e Nero, De Felice ricorda che Roma fu l'unica città che resistette militarmente, ai nazisti, e che questa fu forse una delle ragioni per cui i romani non risposero alle leve obbligatorie, militari e del lavoro, imposte dai nazifascisti, cui invece rispose una frazione, sia pur modesta, di cittadini di altre parti d'Italia. Vorrei infine ricordare a Gasparri che tra i martiri delle Ardeatine ci furono miei compagni di lotta e amici carissimi, tra i quali Gioacchino Gesmundo, dirigente dei Gap centrali e amico fraterno di don Pappagallo, uno dei principali protagonisti della fiction che tanto ha commosso il deputato di An; i gappisti Umberto Scattoni e Alberto Marchesi, che avevano collaborato con noi fino a pochi giorni prima, per esempio nell'attacco del 10 marzo in via Tomacelli; Valerio Fiorentini, comandante dei Gap di Torpignattara, e tanti altri.

Corriere della sera,  30 aprile 2006

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