Corriere della sera
Polonia vuole cambiare nome ad Auschwitz
Dal 1979 il lager, dove sono morti oltre un milione di ebrei, è patrimonio dell’umanità. Varsavia: sbagliato legare la Shoah al nostro paese
Il governo scrive all’Unesco: «Si chiami ex campo di concentramento della Germania nazista»
di Mara Gergolet
Cambiare il nome. Non più il campo di «concentramento di Auschwitz-Birkenau», ma l’«ex campo di concentramento della Germania nazista Auschwitz-Birkenau». A firmare questa richiesta, in una lettera inviata all’Unesco che dal 1979 ha proclamato «patrimonio dell’umanità » il lager dove s’è compiuto lo sterminio di almeno 1,1 milioni di ebrei, il più grande e sistematico eccidio nella storia dell’umanità, è stato il governo polacco. Stanco, infastidito di veder affibbiato l’aggettivo «polacco» al lager, come di recente ha fatto anche lo Spiegel. E, invece, deciso a attribuire i crimini alla nazione dei perpetratori: i tedeschi. «Negli anni dopo la guerra, l’ex campo di concentramento Auschwitz-Birkenau è stato definitivamente associato con le attività criminali del regime nazionalsocialista in Germania» — dice il portavoce del governo polacco Jan Kasprzyk —.
Purtroppo, per le generazioni più giovani, quest’associazione non è universale». Dobbiamo tutelare la verità storica, la tesi di Varsavia. Né si tratta di un’iniziativa a sorpresa, semmai di una rivendicazione più «muscolare», e protocollata, di una linea che il governo conservator-cattolico persegue da tempo. Ricordate i 60 anni di Auschwitz, l’anno scorso, i potenti del mondo a ricordare lo sterminio, mentre la neve cadeva sulla baracca n. 11 e i reticolati di filo spinato, il presidente russo Putin e il tedesco Horst Köhler fianco a fianco? Ebbene, solo pochi giorni prima di quella mondiale celebrazione della memoria, l’Europarlamento non riusciva a mettersi d’accordo su una dichiarazione di condanna su Auschwitz. I parlamentari conservatori polacchi chiedevano polemicamente: «Chi ha costruito i campi di sterminio, chi sono i responsabili dell’Olocausto?».
E l’eurodeputato Andrzej Sonik spiegava a Le Monde: «Ne abbiamo abbastanza delle deformazioni storiche che considerano i polacchi complici delle persecuzioni hitleriane». C’è molto, in queste parole, delle polemiche che riaffiorano a cicli, tra Berlino e Varsavia. La guerra, l’occupazione nazista della Polonia, i massacri che molti polacchi ancora oggi non hanno perdonato ai tedeschi. C’è anche la storia di Auschwitz, museo eretto nel 1947 per decreto del governo di Varsavia, «un monumento al martirio della Nazione polacca e di tutte le altre nazioni». Il museo delle Shoah, che non cita gli ebrei. Così fu per tutto il periodo comunista, «un monumento internazionale delle vittime del fascismo», finché la caduta del Muro permise di ricordare — nelle diciture ufficiali — il genocidio degli ebrei. Un segno della cattiva coscienza polacca, hanno spesso denunciato le associazioni ebraiche: perché anche i polacchi hanno collaborato allo sterminio, perché ci sono stati pogrom e persecuzioni antisemite prima della guerra.
Nient’affatto, replicano i polacchi, che considerano quel campo anche un monumento nazionale: sono morti qui 120mila polacchi, fu polacco il primo prigioniero di Auschwitz: Stanislaw Riynak, cattolico, tessera 31: gli altri 30 erano kapò. E, in ogni caso — ripete ora Varsavia — l’orrore della Shoah va attribuito, fin nel nome, agli occupanti nazisti. Tra un anno, l’Unesco darà la sua risposta. «Quando cambierà il nome — dice Kasprzyk — non ci saranno dubbi su cos’era il campo di Auschwitz».
Corriere
della sera,
1 aprile 2006