Corriere della sera
«Risarcite
i militari internati nei Lager»
Non
furono riconosciuti come prigionieri di guerra, ora chiedono i danni a Germani e
Italia – Oggi dal presidente Ciampi l’avvocato che ha preparato il ricorso
di
Antonio Carioti
Abbandonati
da Badoglio, ricattati dai fascisti, oppressi dai tedeschi, misconosciuti
dall'Italia postbellica, trascurati dagli storici. Gli internati militari
italiani in Germania - circa 600 mila uomini finiti nei Lager nazisti per
aver rifiutato di aderire alla Repubblica di Salò - non hanno mai ricevuto
alcun indennizzo per quanto subirono dopo l'8 settembre. Ora intendono fare
causa allo Stato per ottenere un risarcimento delle loro sofferenze. Promotore
dell'iniziativa, sostenuta da tre associazioni, è l'avvocato fiorentino
Enrico Ciantelli, battagliero ottantacinquenne che all'epoca era un giovane
ufficiale in Albania. Da sessant'anni si batte per la causa degli ex internati
come lui: di recente, frugando negli archivi, ha scoperto i documenti inediti su
cui basa l'atto di citazione che sta preparando. «La Costituzione -
dichiara Ciantelli al Corriere
- stabilisce all'articolo 28 che lo Stato è responsabile per gli atti
compiuti dai suoi funzionari. E noi militari italiani nei Balcani fummo di
fatto consegnati ai tedeschi dai generali Ezio Rosi e Renzo Dalmazzo, che poi il
14 settembre 1943 s'incontrarono a Monaco con Mussolini: speravano di
portargli in dote le loro truppe come esercito della costituenda Rsi. Ma noi
prigionieri rifiutammo in massa di aderire e il Duce, irritato, fece arrestare
i due generali». Le accuse sono gravi, ma trovano un riscontro nella
storiografia: Elena Aga Rossi, nel libro Una nazione allo sbando (Il
Mulino), scrive che Dalmazzo «si fece
strumento e complice dei tedeschi», ordinando il disarmo di truppe in piena
efficienza. «Eppure dopo la
guerra - prosegue
Ciantelli -
Rosi e Dalmazzo non vennero
puniti e ottennero la pensione». C'è poi un altro caso: l'ispettore di polizia
Giuseppe Gueli, che al Gran Sasso consegnò Mussolini ai tedeschi senza opporre
alcuna resistenza. «Anche lui - ricorda Ciantelli - non venne perseguito e
anzi chiuse felicemente la carriera come questore di prima classe. E dire che
aveva responsabilità enormi: senza il ritorno del Duce sulla scena, la Rsi
non sarebbe nata e tutto sarebbe stato diverso, forse ci avrebbero trattati da
autentici prigionieri di guerra». Invece non fu così. I tedeschi qualificarono
le truppe catturate come «internati militari», perché per loro l'unico
governo
italiano legittimo era quello di Salò. Quindi negarono ai reclusi l'assistenza
del Comitato internazionale della Croce rossa (Cicr). Risulta con chiarezza da
un documento trovato da Ciantelli a Ginevra: è il resoconto di una riunione
del 17 novembre 1943, in cui il generale tedesco Reinecke dichiara ai membri
della Croce rossa che «gli internati italiani sono da escludere definitivamente
dai ranghi dei prigionieri di guerra e dunque dai campi di attività del Cicr.
Essi sono soldati del Duce. Molti desiderano fare di nuovo parte dell'esercito
italiano in fase di ricostituzione. Quanto agli altri, è un'organizzazione
fascista che se ne occuperà». Insomma, secondo il Terzo Reich gli internati
erano destinati a fare da carne da
cannone per Salò. Più tardi, dinanzi al rifiuto della grande maggioranza di
battersi per la Rsi, vennero usati come manodopera schiavizzata e molti morirono
sotto le bombe alleate. Ciantelli lo ha ricordato in una lettera al cancelliere
Angela Merkel, che gli ha risposto il 17 febbraio: «Questi fatti smentiscono
la posizione assunta dal governo tedesco, che ci ha
escluso dagli indennizzi riservati alle vittime del nazismo. Da ultimo il
giurista Christian Tomuschat, incaricato dal ministero delle Finanze di
Berlino, ha sostenuto che non abbiamo diritto a ricevere i risarcimenti perché
eravamo prigionieri di guerra. Ma sbaglia di grosso. Ho trovato anche un
documento della Croce rossa tedesca che lo dimostra». È una nota del 9 marzo
1944, in cui si comunica che il trattamento dei soldati badogliani del Regno del
Sud catturati al fronte, «a differenza di quello che è il trattamento degli
internati italiani nelle mani tedesche, deve essere quello delle convenzioni
internazionali». Pochi giorni dopo, il 17 marzo, un ufficiale tedesco
comunica ai rappresentanti del Cicr che gli italiani dell'esercito badogliano
«sono
trattati veramente come prigionieri di guerra» secondo le norme internazionali
e «non saranno mescolati agli internati militari». C'era insomma un'evidente
disparità di condizioni, della quale oggi bisogna tenere conto. «Il
fatto più grave - aggiunge
Ciantelli - è
che lo stesso criterio discriminatorio
fu adottato all'epoca dal governo italiano. I suoi delegati in Svizzera presso
il Cicr si preoccupavano molto dei prigionieri badogliani e per nulla
degli internati. Solo il 5 giugno 1944, tre giorni prima che il suo governo
cadesse, Badoglio mandò una lettera alla Crocerossa per chiederle di fare
qualcosa». C'è dunque un'ingiustizia da sanare verso migliaia e migliaia di
italiani morti di stenti o tornati dalla Germania con la tubercolosi e altri
malanni. Ciantelli, che oggi incontra a Roma il presidente Ciampi e Gianni
Letta (il 20 vedrà l'ambasciatore tedesco), ritiene che lo Stato debba
rispondere in giudizio per le colpe di Rosi, Dalmazzo e Gueli: Ma la via
maestra sarebbe una legge riparatrice. Finora tutti i progetti in materia si
sono arenati: è il caso di pensarci dopo le elezioni.
Corriere
della sera, 13 marzo 2006