Corriere della sera

Addio a Urbano Lazzaro

Il partigiano che arrestò Mussolini

di Emanuele Buzzi

Urbano Lazzaro, protagonista di una delle vicende più discusse della storia italiana dell'ultimo secolo, la cattura del Duce a Dongo, è morto a Vercelli. Aveva 81 anni. Quel 27 aprile del 1945 era stato lui il partigiano «Bill» della 52ma brigata Garibaldi, ad arrestare Mussolini: lo aveva riconosciuto a un posto di blocco, vestito con un cappotto tedesco, a bordo di un camion della Flack, l'antiaerea nazista, mentre tentava la fuga verso la Svizzera. Oltre al Duce - che venne poi condotto al municipio di Dongo - ­fermò anche Marcello e Claretta Petacci. Le ultime ore di vita di Mussolini rimangono avvolte dal mistero, ma Lazzaro, le sue verità sulla vicenda le aveva raccontate da tempo in libri e interviste: già nel 1962 aveva pubblicato da Arnoldo Mondadori «Dongo: la fine di Mussolini», scritto con Pier Luigi Bellini delle Stelle - detto «Pedro», il comandante della brigata in cui militava - e poi nel 1993 in «Dongo, mezzo secolo di menzogne» (Mondadori). Lazzaro raccontò che a uccidere Mussolini e la Petacci non fu il colonnello «Valerio», ma Luigi Longo, che in seguito sarebbe diventato segretario del Partito Comunista. A detta del partigiano «Bill», il Duce e la Petacci sarebbero stati fucilati due volte. L'esecuzione non avvenne a Bonzanigo alle 16.10 del 28 aprile, ma alle 12.30: i cadaveri furono trasportati poi sul luogo del ritrovamento e crivellati una seconda volta. Tra le sue rivelazioni, c'è anche la conferma dell'esistenza - tra i documenti sequestrati sul lago di Corno a Mussolini - del famoso carteggio tra il leader fascista e Winston Churchill. Sui motivi che lo avevano spinto a unirsi ai partigiani, Lazzaro aveva dichiarato di aver agito per fini patriottici: «Volevo unirmi a chi già combatteva i nazifascisti nel nostro Paese; eravamo in un campo di quattrocento militari italiani internati, sono però stato l'unico a fare questa scelta. Ho chiesto ai miei amici di venire con me, ma nessuno si è unito, al massimo mi dissero di portare i saluti alle loro famiglie, ma loro preferirono restare lì: rinunciando a prendere le armi per il proprio ideale». Dopo la Liberazione, però, Lazzaro raccontò di aver subito diversi attentati – tutti con mandante e valenza politica - perché era a conoscenza di «molti dettagli pericolosi». Finita la guerra, Lazzaro aveva lavorato come funzionario alla Sip, la società idroelettrica piemontese, visitando diversi Paesi. Sposato con Angela Robbiano, aveva scelto di vivere dividendosi tra il Vercellese e Rio de Janeiro, dove abitano ancora due delle sue tre figlie. I funerali saranno celebrati oggi, alle 15, nella chiesa di San Germano Vercellese. La salma sarà sepolta nel cimitero di Crova.

Corriere della sera, 5 gennaio 2006

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