Corriere della sera
"Italiani
razza inferiore":
Le
ragioni dell'odio dietro le rappresaglie naziste
di
Cesare Medail
Novembre
1943, Albania settentrionale: una compagnia della divisione tedesca Brandenburg
riceve l’ordine di catturare 59 ufficiali italiani affetti da malaria o
convalescenti al momento del ritiro dell’Italia dall’Asse. I più, ignari di
tutto, avevano accolto i tedeschi «come amici». Nel trasferimento al nord,
ostacolato da violente piogge, gli italiani risultarono di peso. Così, un
tenente di 23 anni, decise di liquidarli dicendo: «In fondo sono soltanto
italiani». L'episodio è citato da Gerhard Schreiber, lo storico tedesco che ha
ricostruito e analizzato in un libro la «vendetta tedesca», vale a dire gli
eccidi perpetrati da SS e Wehrmacht contro militari e civili italiani in
violazione del diritto di guerra fra il settembre 1943 e il maggio 1945: 6.800
militari uccisi per ordini contrari alle leggi internazionali; 44.720 partigiani
uccisi spesso in violazione delle stesse norme; 9.180 civili, uomini, donne e
bambini (580) ammazzati nelle rappresaglie. «In fondo sono soltanto italiani»,
dunque. La frase di quel tenente offre la chiave per capire «perché il grande
massacro diventò possibile». Un caporalmaggiore tedesco, che raccontò
quell'eccidio, spiega che quelle parole esprimevano un «ordinario razzismo»
che non era rivolto «solo contro ebrei e slavi» e non riguardava solo «alcuni
nazisti fanatici» radicato nel popolo tedesco indottrinato dalla propaganda.
Sui massacri nazisti in Italia esiste un abbondante letteratura: da Boves a
Marzabotto, da Cefalonia alle Fosse Ardeatine ogni episodio è stato ricostruito
e discusso. Ma l'opera di Schreiber, oltre ad offrire un'agghiacciante visione
d'insieme, indaga sulle ragioni profonde di tanta ferocia. Secondo lo storico,
il desiderio di vendetta per il rovesciamento delle alleanze avvenuto l'8
settembre non basta a spiegare quell’intensità di rappresaglia. Alla radice
di tutto vi era il «declassamento razziale» degli italiani, maturato in
precedenza, che «abbassò la soglia degli scrupoli morali» fino alla totale
indifferenza di fronte alla vita di un popolo «inferiore». L'italofobia
risaliva alla grande guerra: nel 36 a Berlino si affermava che se Mussolini
aveva conseguito qualche successo politico, «non era stato in grado di
eliminare le caratteristiche negative del suo popolo». Hitler ebbe uno scatto
d'ira quando seppe dell'attacco italiano contro la Grecia e Goebbels parlò di
«ignominia» quando le nostre divisioni subirono la controffensiva. Rommel sancì
che l'italiano non era «popolo guerriero», mentre la propaganda ci definiva «tracotanti,
corrotti e paurosi». Sotto accusa erano soprattutto i nostri meridionali del
Nord Africa, indegni di essere «colonizzatori di razza bianca»(a Berlino si
distingueva fra «razza germanizzata del nord» e razza del Sud «con
infiltrazioni negroidi». Nel luglio 41, l'Ufficio per la politica razziale
sottopose all’ambasciatore Dino Alfieri la proposta di evitare i matrimoni fra
tedeschi e italiani che minacciavano «la purezza del sangue germanico»
(Bormann). L'«onta dei Balcani», inoltre, veniva spiegata con la debolezza,
l'eccessiva «compassione umana» e la «disponibilità al compromesso» degli
italiani: se i generali erano «inetti», i soldati erano «vigliacchi». Ancor
più decisiva, nel «declassamento italiano», fu la questione ebraica. Nel 41
Goebbels scriveva che «gli italiani erano estremamente blandi contro gli ebrei»,
perché li proteggevano a Tunisi, Tripoli, nella Francia occupata e in Croazia».
E Von Ribbentrop giunse a definire «ebreo onorario» il sottosegretario agli
esteri Giuseppe Bastianini perché «ostacolava la soluzione finale». Insomma,
fattori militari, etnici e razziali generarono nei tedeschi totale insensibilità
verso l'italiano, massacrabile senza sensi di colpa. Del resto, Schreiber
riferisce che ben prima del 43 Berlino pensava di annettere «i territori un
tempo possesso austriaco», negando sovranità al resto della penisola.
L'Italia, insomma, era già un «nemico», con Mussolini declassato a «gauleiter»
di un popolo inferiore, destinato alla schiavitù.
Il
Corriere della Sera - 29
aprile 2000