Corriere della sera
Irving
dal carcere: «Hitler?
Era buono in parte»
Lo
storico che nega la Shoah: «Non cambierò idea solo per riuscire simpatico» -
Intervista dell’Observer allo studioso che disse: «Sono morte più
persone sui sedili posteriori dell’auto di Ted Kennedy che ad Auschwitz». Ora
risponde: «Era solo humour inglese»
di
Paola De Carolis
Londra
– È in carcere a Vienna, aspetta
il giorno in cui inizierà il processo scrivendo «le mie memorie, 20 pagine
al giorno». Per fortuna, precisa, qualcuno gli ha spedito l'inchiostro, perché
quando è partito da Londra alla volta dell'Austria pensava che la sua sarebbe
stata una visita lampo, una conferenza a una confraternita di estrema destra e
via e invece no. Un verdetto di colpevolezza potrebbe trasformarsi in 20
anni di detenzione, massima pena prevista dalla Verbotsgesetz, la legge
costituzionale contro attività neonaziste che vieta la giustificazione e la
negazione dell'Olocausto. Una situazione per lui assurda: «Non ha senso -
sottolinea David Irving, raggiunto per l'Observer dallo studioso
tedesco Malte Herwig - rinchiudere una persona in prigione per le sue
opinion. È come avere una legge che proibisce di indossare colletti gialli».
Ma non è per il colore delle sue camicie che lo storico britannico è dietro le
sbarre dall'11 novembre dello scorso anno, così come non è per i 30 libri
revisionisti che ha scritto. Il mandato di cattura, che risale al 1989, era
scattato
in seguito a dichiarazioni sui campi di concentramento rilasciate a Vienna,
del tipo «le camere a gas ad Auschwitz non sono mai esistite». Il
cancelliere di allora, Ranz Vranitzky, lo aveva avvertito: se avesse rimesso
piede sul suolo austriaco sarebbe stato arrestato immediatamente. Così è
stato. Ma allora perché ha accettato l'invito dei giovani della Olympia? Dal
1989, fa notare, si era recato in Austria già due volte, per andare a trovare
l'ex amante di Goebbels, Lida Baarova. Non aveva ragione di temere che il
terzo viaggio sarebbe stato differente. Due mesi in carcere non l'hanno fatto
tornare sulle sue idee. Quando - nel tentativo di capire come quella che
innegabilmente è una mente brillante riesca a sostenere ciò che sostiene
Herwig gli chiede se Hitler sia
per lui in un certo senso una figura paterna, risponde: «Non mi spingerei così
avanti». Cosa pensa allora veramente di Hitler? «Era come l'uovo del curato -
dice, citando un detto
inglese -. Buono, in parte». E aggiunge: «Vede, non sono di destra. Mi piace
leggere il Guardian». Una volta, gli ricorda il suo interlocutore,
consigliò agli ebrei di guardarsi allo specchio e chiedersi perché risultano
antipatici. Ha mai pensato di fare lo stesso? «So cosa dovrei fare per
piacere, ma non lo farò». Nato nell'Essex nel 1938, figlio di un ufficiale
della Royal Air Force, cresciuto quando la Gran Bretagna aveva ancora un
impero, «monarchico per natura», è inglese al 100% e spiega alcune sue
frasi facendo riferimento al leggendario british sense of humour. Non si rende
conto, gli chiede Herwig, di quanto sia offensivo dire che morirono più persone
sui sedili posteriori dell'auto di Ted Kennedy che nelle camere a gas di
Auschwitz? «È il modo inglese, e non è sempre gentile» si giustifica.
Provocare è una sua passione. Ha comprato casa a Westminster, «un enorme
appartamento
di lusso vicino a Downing Street» si vanta. «L'ho
fatto apposta». Odia Tony Blair,
sottolinea Herwig, il New Labour e la società multirazziale della
Gran Bretagna di oggi. E odia perdere. Preferisce non soffermarsi, di
conseguenza, sul fatto che fu costretto a vendere la villa che aveva a Mayfair
dopo la causa intentata a Londra nel 2000 contro la studiosa statunitense
Deborah Lipstadt, la quale nel libro «Denying the Holocaust» lo aveva
definito «uno dei più pericolosi portavoce del negazionismo»; sei settimane
di dibattimenti che erano diventati un processo sull'Olocausto, sul numero di
ebrei sterminati, sui campi di concentramento. Al termine il giudice dell'Alta
Corte aveva rigettato la tesi di Irving, portandolo alla bancarotta. Sua
figlia, racconta, «pensa che sia cool avere un padre in prigione» e in
carcere, tutto sommato, lo trattano bene. Unico inconveniente: ha un solo paio
di scarpe, quelle con cui viaggiava, «molto care, che a furia di camminare in
cortile stanno cadendo a pezzi». Sull'esito del nuovo processo, che inizierà
il 20 febbraio, si sente ottimista. «Avrei meno speranze - dice - se non
sapessi che ogni intellettuale del mondo è dalla mia parte». Anche la
Lipstadt che, suo malgrado, si è espressa a favore della liberazione dello
storico. Non vuole sostenere la censura e non vuole che Irving diventi un
martire della libertà di parola. E se dovesse essere condannato? «Le cose
diventeranno difficili - ammette,
anche se non si sente solo -. Ho ricevuto molte lettere di gente che mi fa
coraggio». Intanto pensa al processo, per il quale indosserà lo stesso gessato
blu da 4.000 euro messo per la causa di Londra, «l'abito con il quale
ha
commentato Herwig - interpreta
la parte dello storico serio».
Corriere
della sera, 23 gennaio 2006