Corriere della sera
Gli
eroi postumi della resistenza
di
Indro Montanelli
Abbiamo
dovuto aspettare un Carlo Azeglio Ciampi perché un capo di Stato italiano si
ricordasse di Cefalonia e andasse a rendere il dovuto omaggio sull' ossario
delle cinquemila e più vittime di quel massacro. Nei quasi sessant'anni
trascorsi da quel settembre '43 (c'è ancora qualcuno a cui questa data ricordi
qualcosa?), in Italia se n' era ogni tanto - ma ogni tanto tanto - parlato come
di cosa imbarazzante, perché politically uncorrect. Una visita furtiva che vi
fece Pertini fu quasi sottaciuta dalla stampa come una specie di gaffe. Infatti
i primi a dedicare a quest'episodio seri studi e ricerche sono stati, non appena
hanno potuto farlo, gli storici tedeschi, cioè quelli della parte colpevole, e
non certo per tentarne la difesa. Non sto parlando del solo Nolte, dal quale ce
l'aspettavamo, ma anche di Mommsen, di Winkler, di Petersen, di Schreiber, fiori
all' occhiello della storiografia tedesca, discordi su alcuni piccoli
particolari, ma unanimi nell'interrogativo ai confratelli italiani: «Come mai,
voi che sulla Resistenza avete riempito interi scaffali di biblioteca, citandone
anche e spesso alterandone gli episodi meno sostanziosi; come mai di Cefalonia
non parlate mai? A Cefalonia s'immolò un'intera divisione, oltre cinquemila
uomini. E non lo fecero in esecuzione di un ordine, cioè per mera disciplina.
Il Comando mise, per referendum, la truppa alla scelta fra una resa senza onore
e una resistenza senza speranza. Furono i soldati a scegliere la resistenza
senza speranza. E voi, apologeti della Resistenza, ne dimenticate questo
episodio, forse il più fulgido?». Non so se qualcuno degli storici sopra
citati abbia posto ai colleghi italiani questa domanda negli stessi termini.
Forse no. Ma uno di loro, Schieder, non ha nascosto la sua sorpresa per il fatto
che i colleghi italiani non abbiano preso sul serio le loro scoperte e
rivelazioni sulla sorte toccata, dopo l'8 settembre, ai nostri soldati non solo
di Cefalonia, ma anche di tutti gli altri teatri di guerra. Come mai, si chiede
Schieder, questo silenzio? Questo «come mai» glielo spiego io, senza bisogno
di consultare documenti. Mi basta la memoria. I soldati che combattevano nella
divisa, con le stellette, e sotto la bandiera del Regio Esercito, per fedeltà a
un giuramento e alla Patria, non avevano i requisiti del Partigiano che si
batteva contro questi valori, e magari per altri non meno nobili, ma «di parte»,
come del resto diceva la sua qualifica, non di Patria. Ecco perché i caduti di
Cefalonia non potevano entrare nel sacrario della Resistenza. Ne avrebbero
inquinato il Dna e il blasone. Ci voleva un Ciampi, cioè un presidente della
Repubblica che non può essere neanche lontanamente sospettato di
antiresistenzialismo. Viene, sia pure - grazie a Dio - di lontano, dal Partito
d'azione, il Sant'Uffizio del resistenzialismo partigiano. È di dichiarata e
dimostrata fede repubblicana. Ma è anche il capo di uno Stato che se non
richiama in vita e rimette in circolo certi valori, a cominciare da quelli di
Patria e di Nazione, non potrà che andare alla deriva. Lui lo sa, lo sente e
vuol farlo sentire. Ecco perché da oggi è a Cefalonia. Non soltanto e non
tanto per inchinarsi sui resti di quei poveri morti; ma per traslarli nelle
pagine di una Resistenza che la nostra storiografia non era mai riuscita a far
coincidere coi nostri ricordi ed esperienze. Ci volevano gli storici tedeschi
per farcelo capire..
Il
Corriere della Sera -
28 febbraio 2001