Corriere della sera

«Primato» e lo spettro dell’antisemitismo

Ancora troppe reticenze sugli intellettuali che collaborarono alla rivista di Bottai – I giovani tra fascismo e antifascismo. Giorgio Israel sul «Foglio» spiega perché è difficile raccontarne la storia.

Il dibattito – Il saggio di Mirella Serri sul circolo di Bottai continua a suscitare polemiche. Una vicenda su cui cominciò a far luce Renzo De Felice e che la storiografia di matrice comunista ha ignorato troppo a lungo

di Pierluigi Battista

Nel 1998, racconta Giorgio Israel in un lungo articolo apparso sul Foglio, quando «pubblicai assieme a Pietro Nastasi il volume Scienza e razza nell'Italia fascista, alcuni canuti allievi degli accademici razzisti del tempo non mancarono di manifestare la loro ira per il reato di lesa maestà nei confronti dei loro maestri». Erano passati 53 anni dalla Liberazione e scrivendo delle compromissioni degli intellettuali con il razzismo di regime, ancora ci si adirava per la «lesa maestà», si deploravano gli inammissibili attacchi a chi, diventato nel frattempo padre della patria antifascista, aveva strappato dalla propria autobiografia parole ed opere di intonazione antisemita pronunciate decenni prima. Di anni ne sono passati altri sette. Ma il furore suscitato dalla pubblicazione dei Redenti di Mirella Serri, il saggio documentato e puntuale in cui vengono rievocati con scrupolo filologico i connotati fascistissimi delle riviste (in primis Primato di Giuseppe Bottai) dove mossero i primi passi tanti giovani che nel dopoguerra diventeranno i fiori all'occhiello della cultura antifascista, dimostra che quel grumo non si è ancora dissolto: cercare di spiegare come mai le migliori intelligenze giovanili abbiano entusiasticamente collaborato a imprese in cui non si risparmiavano attacchi feroci agli ebrei e all'ebraismo espone chi si accosta a quella materia incandescente alle più severe scomuniche. Come mai? L'interrogativo viene posto da Israel prendendo spunto da un elegante articolo di Duccio Trombadori pubblicato sempre sul Foglio. Israel ricostruisce alcuni passaggi storici di quella che chiama «l'assoluta incomprensione del mondo comunista per la questione ebraica». Nei primi anni Sessanta, fu per Israel motivo di «autentico shock» trovare come preside della Facoltà di Scienze Sabato Visco, uno «dal curriculum razzista a tutto tondo, culminato nella funzione di Capo dell'Ufficio Razza del Minculpop». Fu chiesto a Lucio Lombardo Radice «come un simile personaggio potesse essere preside di una facoltà così prestigiosa e progressista» e la stupefacente risposta fu: «Sì, va bene, ma è tanto bravo a trovare denaro». Sempre in quegli anni, racconta Israel, ebbe molta risonanza il documentario storico All'armi siam fascisti, di Del Fra, Mangini e Micciché su testo di Franco Fortini: «In quel film le immagini di Auschwitz erano commentate con una sola frase: "Chi vuol comandare ha bisogno di servi. I servi avranno un contrassegno: la stella di David. L'odio di classe si traveste da odio di razza"». Come a dire che lo sterminio razziale poteva essere condannabile solo nella misura in cui fosse «riconducibile a una manifestazione di odio di classe». Da questa cecità derivarono due conseguenze. La prima, solo apparentemente paradossale, fu che a «scoperchiare la maleodorante pattumiera» dell' «adesione di massa del mondo culturale italiano alle politiche razziali del fascismo», non fu la storiografia di matrice comunista ma «il vituperato storico "revisionista" Renzo De Felice» che pure nella sua pionieristica Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, osserva Israel, si guardò bene «dal fare troppi nomi». Qualcuno ne fece, in verità. Quello di Leopoldo Piccardi, per esempio, circostanza che da sola contribuì a una dolorosa scissione nel Mondo di Mario Pannunzio. Altri, come racconta Paolo Simoncelli nella sua biografia defeliciana, vennero pietosamente omessi (a cominciare da quelli di Luigi Firpo e Gabriele De Rosa). Ma con o senza omissioni, De Felice cominciò a far luce sulla «canea» antisemita che devastò la reputazione del mondo culturale e accademico italiano. Mentre nella sinistra culturale si dovette assistere alla «straordinaria e vergognosa operazione di lavacro e di occultamento» connessa all' «amnistia togliattiana, rapida e generosa» che, in cambio della fedeltà ai nuovi detentori del salvacondotto antifascista, contribuì alla purificazione degli intellettuali che avevano concesso i loro servigi non solo al fascismo ma più specificamente al razzismo antisemita del regime passato. Ecco la seconda conseguenza, e anche il motivo di una non ancora smaltita propensione a ignorare la faccia meno nobile di chi volle andare «a braccetto con il razzista Bottai», inventandosi poi la leggenda autogratificante del «vivaio antifascista» di riviste come Primato, secondo Israel «la premessa ideologica dell'amnistia togliattiana». Il saggio di Mirella Serri ha già inconfutabilmente dimostrato non, come si dice, che tutti i giovani intellettuali collaboratori di Primato abbiano direttamente scritto cose di contenuto razzista e antisemita, ma che accanto, o alle pagine immediatamente precedenti, o in quelle successive (basta scegliere) a quelle redatte da quei giovani facessero bella mostra di sé articoli e appelli che inneggiavano all'antisemitismo di regime e persino al razzismo dell'alleato tedesco nazionalsocialista. Ma l'imperativo del lavacro impose sia ai battezzatori dell'antifascismo che ai battezzati neo-antifascisti di rimuovere, cancellare le tracce di quella sgradevole convivenza. Non si raccontò la verità: semplicemente la verità fu negata, occultata, trasfigurata nel mito autoinnocentizzante del «vivaio antifascista», dei fascisti «fuori» e degli antifascisti «dentro», del «lungo viaggio» dal fascismo all'antifascismo senza mai spiegare cosa era accaduto, cosa si era scritto, fino a quando. Benedetto Croce diceva sarcasticamente che le iscrizioni all'antifascismo per essere credibili non avrebbero potuto essere accettate se scritte dopo il 10 giugno del ‘40. Era molto ottimista: alcune iscrizioni arrivarono addirittura il 24 luglio del '43. Ecco la ragione di una polemica che lo stesso Israel si domanda come possa incendiare ancora gli animi nel 2005. Sembrano gli strascichi di una storia vecchia e sepolta, i fantasmi di un'epoca oramai tramontata. Eppure basta un libro che. semplicemente cita ciò che era scritto su Primato per risvegliare furori sopiti. A chi obietta che sulle colonne di Primato ebbe spazio e visibilità la «crema della cultura italiana», Israel risponde: «siccome la crema della cultura italiana si è macchiata di razzismo antisemita, questo non è mai esistito?». Si è preferito rispondere, dice ancora Israel, con «la cortina di silenzio», con la favola dell'innocenza. E con «l'intimidazione» nei confronti della storiografia coraggiosa. Una polemica che sembra vecchia. Ma quanto costa pagare l'unico prezzo in grado finalmente di sanarla, di archiviarla: raccontare la verità? Senza iniqui processi postumi e pacatamente, ma raccontarla, una buona volta, la verità.


Il Critico

Giorgio Israel insegna presso il dipartimento Matematica dell’Università di Roma «La Sapienza» e dirige il Centro di ricerca delle scienze dello stesso ateneo. È autore di articoli e saggi di storia della scienza e si è occupato anche di razzismo e antisemitismo. Tra i suoi libri, «La questione ebraica, oggi» (Il Mulino) e «Scienza nell’Italia fascista» con Pietro Nastasi (Il Mulino).

L’Autrice

Ricercatrice e saggista, Mirella Serri insegna Letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università di Roma «La Sapienza» e collabora con diverse testate giornalistiche. Il suo saggio «I redenti. Gli intellettuali che vissero due volte: 1938-1948», dedicato agli intellettuali che passarono da una posizione fascista alla militanza antifascista, è pubblicato da Corbaccio (pagine 376, € 19,60)

Dal Corriere della sera, 7 dicembre 2005

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