Corriere della sera
«Storie
di prigionieri ed
ebrei italiani - Aprite
a tutti l'archivio sul nazismo»
L'appello
di Veltroni. In Germania
conservati 30 milioni di documenti
– Lettera al ministro Martino perché il governo intervenga
dal
nostro corrispondente Paolo
Valentino
BERLINO - È forse l’ultimo, grande scrigno della memoria sulla Seconda guerra mondiale. Contiene, secondo la stima più aggiornata, almeno 30 milioni di atti. Sono le carte provenienti dagli Alti comandi degli Alleati di base in Germania: schede anagrafiche, libretti di lavoro, filmati, liste di prigionieri, rapporti della e sulla Gestapo, documenti ritrovati nei ghetti ebraici delle città dell'Europa dell'Est e nei lager nazisti. È l'Archivio dell'International Tracing Service di Bad Arolsen, in Germania, dal 1954 sotto la direzione del Comitato internazionale della Croce Rossa. Un patrimonio unico e sterminato, una miniera di informazioni purtroppo ancora inaccessibile a storici e studiosi. Da anni voci autorevoli della comunità internazionale, dal Congresso mondiale ebraico alle associazioni dei sopravvissuti, dal governo israeliano a quelli di molti altri Paesi, premono perché cadano le restrizioni all'accesso, libero solo per il 2 per cento di tutto il fondo. È il sindaco di Roma, Walter Veltroni, a sollevare ora anche in Italia la questione dell'apertura dell'archivio di Bad Arolsen. In una lettera al ministro della Difesa, Antonio Martino, Veltroni chiede al governo italiano di «unirsi alle voci che da più parti domandano l'apertura della documentazione». Il nostro Paese è infatti presente nella commissione internazionale, che coordina le attività dell'International Tracing Service insieme a Stati Uniti, Germania, Francia, Israele, Olanda, Polonia, Gran Bretagna, Grecia, Lussemburgo e Belgio. Attuale direttore generale dell'Its è Charles Biedermann, cittadino svizzero come vuole la legge costitutiva dell'archivio. «Si tratta - scrive Veltroni - di un archivio composito e per molti versi unico. Parte del materiale contenuto riguarda nostri connazionali coinvolti nel sistema della deportazione tra la fine del 1943 e i primi mesi del 1945». La sua apertura «favorirebbe una nuova stagione di studi e ricerche». All' Archivio può accedere soltanto chi possa provare di dover rintracciare parenti vissuti e scomparsi in Germania tra il 1933 e il 1949; chi è nato nel territorio del Terzo Reich e poi della Germania liberata, tra il 1927 e il 1949; ex deportati che, avendo chiesto l'indennizzo previsto dal fondo istituito alla fine degli Anni '90 dal governo tedesco insieme alle industrie che collaborarono con il regime hitleriano, devono provare di aver svolto lavoro coatto nella Germania nazista o nei territori occupati dalla Wehrmacht. Veltroni ricorda nella lettera il progetto della città di Roma per un museo sulla Shoah, che dovrebbe sorgere nel perimetro di Villa Torlonia. Come spiegano i collaboratori del sindaco, «l'accesso all'archivio sarebbe anche importante per rintracciare identità e storie dei deportati ebrei italiani, da utilizzare poi nel museo».
Dal
Corriere della sera, 4 dicembre 2005