Corriere della sera
A
tu per tu con Hitler sull’orlo dell’abisso
Escono
le memorie di un ufficiale che fu con lui nel bunker – A fianco del Führer
negli ultimi mesi del terzo Reich: «Ordinò resistenza fanatica» - Modelli: Il
film «La caduta»
si è ispirato anche al libro di Freytag
di
Dino Messina
«L’eroe
celebrato dalla propaganda era diventato un rudere», una «statua di cera».
Non era più «il Führer della Grande Germania in lotta per il proprio destino,
ma un uomo di 55 anni con l’aria di un vecchio, curvo, gobbo, la testa
incassata fra le spalle, il volto pallidissimo, gli occhi spenti e la pelle
grigiastra … Mi ha teso una mano molle, mormorando qualche parola di benvenuto».
È il 23 luglio 1944, tre giorni dopo il fallito attentato contro il capo del
nazismo organizzato da Claus von Stauffenberg. Il trentenne Bernd Freytag von
Loringhoven, veterano di guerra, si trova per la prima volta davanti ad Adolf
Hitler come attendente di campo del nuovo capo di stato maggiore Heinz Guderian.
Avrebbe mantenuto l’incarico anche con il suo successore, Hans Krebs. Per
quasi un anno, sino al 29 aprile 1945, quel giovane discendente di una famiglia
nobile partecipò alle Führerlage, le riunioni in cui il dittatore
faceva il punto sulla situazione con i capi militari, qualche ministro e una
ristrettissima cerchia di fedeli. Una testimonianza di prima mano – rimasta
per quasi sessant’anni nei quattro wartime logs, i quaderni distribuiti
dagli alleati, riempiti dall’ufficiale subito dopo la prigionia – che è
stata pubblicata in francese con la collaborazione di François d’Alançcon e
ora esce in italiano da Einaudi. L’editore avverte che questo è uno dei libri
che hanno ispirato il film La caduta di Olivier Hirschbiegel con Bruno
Ganz, ma già lo storico Hugh Trevor-Roper, ex agente dei servizi segreti
britannici, aveva interrogato Freytag e utilizzato parte della sua testimonianza
per il suo fondamentale Gli ultimi giorni di Hitler (Mondadori).
Nonostante sull’ultimo periodo di vita del Führer non manchino testimonianze,
compreso il recente diario della segretaria Traudl Junge, questo racconto ha il
pregio di descriverci in presa diretta le riunioni operative, rivelandoci i tic,
le manie, gli sbalzi di umore, i rari momenti di gentilezza del capo del nazismo
nella fase più critica. Attorno a lui una corte di capi militari assoggettati
dal suo magnetismo o impotenti davanti alla sua follia, e i gerarchi che si
contendevano briciole di potere. Le riunioni cui partecipò Freytag, cugino di
uno dei congiurati del 20 luglio, che si definisce soldato disciplinato ma «ostile
a Hitler» e «allora ignaro del sistematico sterminio degli ebrei», si
svolsero nella Tana del Lupo, a venti chilometri da Rastenburg, in Prussia
orientale, dal 20 novembre ’44; quindi a Berlino, dal febbraio ’45 in poi; e
durante la fallimentare offensiva delle Ardenne, dall’11 dicembre ’44 al 15
gennaio ’45 nel quartier generale di Ziegenberg. In una situazione militare
estremamente critica, Hitler non modificava le sue abitudini: la Führerlage
cominciava a mezzogiorno o nel primo pomeriggio, nonostante le informazioni dei
diversi fronti arrivassero tutte in mattinata. «Meine Herren – annunciava il
generale Burgdorf – der Führer kommt». E aveva inizio la lunga riunione, due
ore di solito, ma anche quattro o cinque, durante la quale tutti erano obbligati
a stare in piedi, tranne Hitler che sedeva su una poltrona davanti alle carte
geografiche. A volte gli anziani Keitel, Guderian e Doenitz era concesso il
diritto a uno sgabello. Maniaco delle carte militari, Hitler non si accontentava
di quelle in formato standard e spesso esigeva in scala più ampia. Il che
significava un lavoro supplementare e bloccare le linee telefoniche dell’alto
comando per «informazioni di scarso interesse». Ex caporale nella prima guerra
mondiale, il capo del nazismo aveva una scarsa preparazione militare e «l’esperienza
delle trincee aveva continuato a pesare in modo decisivo sul suo pensiero».
Cosicché al momento delle decisioni, spesso se ne usciva con l’espressione «resistenza
fanatica». Racconta Freytag: «Mi risuona ancora all’orecchio il suo modo di
pronunciare la parola fannatisch, accentuando la enne». Naturale che un
tale modo di pensare, unito all’allergia per «qualunque idea di ripiegamento»,
lo mettesse in contrasto con i capi militari, che o chinavano la testa, come
fece sempre il comandante supremo della Wehrmacht Keitel, definito nella cerchia
del bunker «Lakeitel», cioè lacchè, o venivano sostituiti, come capitò a
Guderian, cui a fine marzo ’45 vennero ordinate sei settimane di
convalescenza. Ma ai «disfattisti» poteva capitare di essere mandati in un
lager, come avvenne al colonnello Bogislaw Bonin. Minato nel fisico, anche per
via delle cure prestategli dal suo medico Thedor Morell, «che gli prescriveva
iniezioni di glucosio e di altri ricostituenti, prima degli incontri importanti
gli somministrava stimolanti», che inducevano dipendenza, il dittatore viene
descritto da Freytag come un uomo senza amici e completamente isolato, ma sempre
in preda all’ossessione della congiura. Tra i suoi ultimi atti l’ordine di
arresto per Goering, che gli chiedeva di delegargli la direzione del Reich, e la
condanna a morte, tra il 28 e il 29 aprile, di Hermann Fegelein, il «fedelissimo»
che aveva sposato da poco la sorella di Eva Braun, Gretel, ed era stato
catturato mentre tentava di fuggire. In un clima da incubo Hitler annunciò in
lacrime la scelta del suicidio. Ognuno allora si pose il problema «della
propria morte e lo affrontava in tutti i particolari. Si doveva prendere una
pistola o inghiottire una fiala di acido prussico? Tirarsi un colpo alla
mascella o alla tempia?». C’era chi sceglieva di annegare l’angoscia
nell’alcol: «Krebs, Burgorf e Bormann avevano formato un triumvirato di
bevitori». Fra tanta follia, una nota di macabro lirismo: «vidi arrivare Magda
Goebbels elegantissima seguita dai suoi sei figli, che scendevano i gradini in
fila indiana». Anche loro sarebbero stati sacrificati dai genitori. I russi
erano a Berlino. La corsa verso l’abisso era giunta al termine.
Il
libro: Bernd Freytag von Loringhiven, «Nel bunker di Hitler» (Einaudi, pagine
156, € 13)
Dal Corriere della sera, 20 novembre 2005