Corriere della sera

 Il caso Irving 

Arrestato lo storico che nega la Shoah.

Il mandato di cattura è dell'89 - L'inglese David Irving fermato in Austria - La sua tesi: solo 100 mila ebrei uccisi da Hitler

dal nostro corrispondente Alessio Altichieri

LONDRA - David Irving, lo storico inglese antisemita, è stato arrestato in Austria in base a un mandato di cattura emesso nel 1989 per avere negato in pubblici discorsi l'Olocausto, ciò che in Austria (e in Germania) costituisce reato. È stato fermato una settimana fa, l'11 novembre, mentre viaggiava in auto in Stiria. La notizia, confermata dal ministero degli Interni, era stata data dai sostenitori dello storico negazionista: raccontano che Irving era stato invitato a Vienna da «coraggiosi studenti di un'antica associazione studentesca» e veniva dalla Germania, dove aveva reso visita a Rolf Hochhuth, il controverso drammaturgo, autore di un atto d'accusa contro Papa Pio XII «Il Vicario») e solidale con molte tesi di Irving. La polizia, aggiungono, avrebbe avuto notizia dell'arrivo dello storico grazie a intercettazioni. Incarcerato a Graz, Irving rischia fino a 20 anni di prigione, ma Otto Schneider, dell'ufficio del pubblico ministero, non s'è detto convinto che, a tanti anni dai fatti, ci sia base legale per procedere in giudizio. Una decisione è attesa entro la settimana prossima. Ciò che pare scontato è che Irving, del quale s'erano perse notizie da quando nel 2000 aveva perso un celebre processo contro la storica americana Deborah Lipstadt, tornerà così a riaccendere le polemiche. Abile a far parlare di sé, non si può escludere che abbia piacere nel contestare una legge come quella che vieta la negazione dell'Olocausto, che appare a molti, benché sacrosanta nei propositi, illiberale negli esiti. D'altronde, Irving sapeva benissimo di correre un rischio, perché l'Austria (come la Germania, il Canada e l'Australia) gli aveva vietato l'ingresso nel Paese.

AGITATORE - In verità, l'etichetta di storico, se per ciò s'intende ricercatore di verità, non s'addice più a chi è piuttosto un propagandista, perché, secondo la sentenza del 2000, rivela «la volontà di manipolare scientemente le prove per adattarle ai propri pregiudizi». Eppure Irving, fra i negazionisti, è l'unico a essersi fatto, prima, una fama come storico della Seconda guerra mondiale. Inglese, privo di preparazione accademica, ma dotato d'un buon tedesco appreso quando faceva l'operaio nella Ruhr, pubblicò a soli 25 anni, nel 1963, «La distruzione di Dresda», un best-seller, in cui le conseguenze del terribile bombardamento sulla città furono esagerate, quasi a stabilire una parità tra nazisti e alleati. Ma fu «La guerra di Hitler», un tomo di mille pagine del 1977, in cui narrò la storia «attraverso gli occhi del Führer», a dargli, oltre ai diritti d'autore, la fama di negazionista: Hitler era descritto come un grande comandante militare, ma «un leader politico molle e titubante», che lasciava fare agli altri. Conseguenza: il dittatore seppe poco dell'Olocausto (o addirittura nulla fino al 1943), la cui responsabilità ricade invece su «gangster nazisti» come Heinrich Himmler. Da lì a negare lo sterminio (centomila morti, diceva, non sei milioni) il passo fu breve: dal 1982, accolto come profeta dai fanatici della Deutsche Volksunion e poi corteggiato dai razzisti di tutto il mondo, Irving cominciò a girare il mondo. E di pari passo molti Paesi, preoccupati, gli chiudevano le porte.

CONDANNATO - Per tutti gli anni '90, screditato in patria (accusò Churchill per la morte del generale Sikorski, il premier polacco in esilio, e gl'inglesi non l'avevano perdonato), Irving aveva tuttavia raccolto successi nel mondo, clandestino e soffocante, degli antisemiti. Finché fece un grave errore: querelò per diffamazione la storica Deborah Lipstadt, che l'aveva definito un negazionista che «dice menzogne, cita a sproposito, falsifica» e la casa editrice Penguin che l'aveva pubblicata. Dicono che l'abbia fatto per soldi, sperando in un risarcimento, ma invece il clamoroso processo, dopo settimane di meticolose analisi dei testi di Irving, si rivelò un boomerang: il giudice Charles Gray, a cui in un lapsus Irving s'era rivolto col saluto «Mein, Führer», sentenziò che gli errori dello storico non potevano essere «innocenti», bensì frutto di disonestà intellettuale. Sbugiardato, condannato a pagare le spese di giudizio, Ir­ving ha tuttavia continuato a raccogliere allori e compensi nel circuito degli estremisti. Anche, come si vede, in Austria e in Germania: fino a quando è stato fermato in Stiria.


IL DIBATTITO

Traverso: contro di lui idee e non manette - Luzzatto: «Giusto punire chi intende promuovere la diffusione di istinti razzisti»

di Antonio Carioti

L'arresto di David Irving in Austria, come in passato il processo al filosofo Roger Garaudy in Francia, propone un interrogativo spinoso: se sia giusto e opportuno perseguire penalmente coloro che elogiano il regime nazista e ne ridimensionano o, addirittura, negano i crimini. «Non mi pronuncio sul caso specifico - risponde Amos Luzzatto, presidente dell’Unione delle comunità ebraiche – perché non so di quali fatti sia imputato Irving. In generale ritengo però che si sbagliato porre il problema in astratto, come se fossimo dinanzi a una semplice manifestazione di opinioni. Chi esalta il nazismo e nega la Shoah non si limita a esprimere il suo pensiero, ma intende promuovere la diffusione di pregiudizi razzisti, vuole preparare il terreno per il risorgere di una dottrina che ha causato in Europa lutti e distruzioni senza pari. Credo che rispetto a un simile pericolo sia opportuno tutelarsi anche attraverso la legislazione penale». Non la pensa così lo storico Enzo Traverso, autore di diversi libri sull'Olocausto e da ultimo curatore della ponderosa Storia della Shoah, edita dalla Utet. «Sono contrario per principio alle leggi contro gli scritti negazionisti. Gli antisemiti vanno condannati per gli atti violenti o vandalici che commettono, ma perseguirli per le loro idee significa fornire loro pretesti per atteggiarsi a martiri, a vittime di una persecuzione rivolta contro il diritto di parola. Arrestando lrving si dà rilievo alle sue tesi, che invece non meritano alcuno spazio nel dibattito pubblico. Le falsità dei negazionisti avrebbero uno scarso impatto se i media non le amplificassero. In America, dove non esiste alcuna norma penale in materia, il più attivo di questi personaggi, Arthur Butz, è un perfetto sconosciuto, ignorato da tutti, mentre il negazionista francese Robert Faurisson ha acquisito una rilevante notorietà, con effetti nefasti. Non penso si possa delegare ai tribunali la lotta contro il razzismo, che va  combattuto  con altri mezzi in seno all'opinione pubblica. Affidarsi ai pubblici ministeri, come in Francia e in Germania, è una scelta che produce risultati perversi». Proprio alle peculiarità nazionali degli Stati che puniscono penalmente il negazionismo si richiama un altro studioso, Enzo Collotti, specialista del nazismo e della storia tedesca: «Non dimentichiamo che l'Austria è il Paese di Jörg Haider, segnato da una forte presenza della destra antisemita. Qui si trovava il lager nazista di Mauthausen e spesso  si è cercato di  far credere che in quel campo non vi fosse la camera a gas. In teoria il negazionismo dovrebbe essere contrastato con la polemica storiografica o politica, ma in Austria c'è una situazione particolare ed è comprensibile che lo si consideri un reato: non un delitto d'opinione, ma una grave forma d'istigazione all'odio razziale». Il caso Irving lascia invece perplesso lo storico Giovanni Sabbatucci: «Secondo me bisogna distinguere: se qualcuno scrive il falso e offende la memoria delle vittime della Shoah, è giusto che chi si ritiene leso possa chiamarlo a risponderne, anche in sede penale. Ma mi pare eccessivo che lo Stato persegua d'ufficio i negazionisti solo per via di ciò che scrivono, anche se certo si tratta di tesi aberranti, perché così si apre pur sempre la strada a forme di reato d'opinione».


Il film del ‘45

Si chiama «Memory of the camps» il documento filmato più completo sull’orrore dei lager nazisti. Fu girato dagli alleati nel 1945 alla liberazione di Dachau, Buchenwald, Belsen. Al progetto lavorarono grandi registi, tra i quali Alfred Hitchcock. Le riprese furono fatte per lo più con il grandangolo e telecamera fissa, per evitare il dubbio di manipolazioni.


Il precedente di Garaudy

La conversione

Roger Garaudy, nato il 17 luglio 1913 a Marsiglia, è uno scrittore e un filosofo, convertito all’Islam dopo un percorso variegato che l’aveva condotto dal comunismo al cattolicesimo.

Il revisionismo

Garaudy è stato condannato il 17 luglio 1998 per il suo libro I miti fondatori della politica israeliana nel quale tentava di dimostrare che Israele  si è inventata lo sterminio degli ebrei nei campi nazisti per giustificare il suo espansionismo. La condanna è stata confermata in appello.

Dal Corriere della sera, 18 novembre 2005


Irving resta in carcere

Il processo a Vienna dovrebbe cominciare a gennaio - Per i giudici austriaci «può reiterare il reato» Lo storico che nega la Shoah rischia vent'anni - L'avvocato: «Ma il mio cliente ha modificato le sue opinioni controverse sulle camere a gas»

dal nostro inviato Paolo Valentino

Vienna -  David Irving resta in carcere. Lo storico inglese che nega l'Olocausto, agli arresti in Austria da quindici giorni, rimane in custodia preventiva fino a nuova decisione. Il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Vienna, Peter Seda, ha respinto l'istanza di scarcerazione presentata dal legale di Irving, motivando la sua decisione con il pericolo di fuga e di recidività del reato, il rischio cioè che Irving, una volta libero, continui a propagare le sue vergognose fandonie. A nulla sono servite dunque l'offerta di una cauzione in garanzia fino a 20 mila dollari, fatta dall'avvocato Elmar Kresbach, né le nuove argomentazioni portate dal difensore, secondo il quale Irving avrebbe nel frattempo preso le distanze dalle sue antiche tesi: grazie a documenti ritrovati negli ex archivi sovietici, lo storico sarebbe infatti ora disposto ad ammettere l'esistenza delle camere a gas nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau. «È una decisione sbagliata. Siamo di fronte al caso di un cittadino dell'Unione europea, quindi facilmente rintracciabile, che sedici anni fa ha espresso delle opinioni controverse, nel frattempo modificate. Non capisco proprio perché lo tengano ancora in prigione», ha spiegato al Corriere l'avvocato Kresbach, subito dopo l'udienza, durata appena venti minuti. Secondo illegale, si è trattato in realtà di una «decisione motivata  politicamente, un segnale mandato all'opinione pubblica», per dimostrare che l'Austria ha le carte in regola anche per quanto riguarda i conti col passato. Con ragionamento un po' contorto e mezze frasi, Kresbach suggerisce in pratica che la durezza nei confronti di Irving sarebbe motivata dall'ansia di riscattarsi delle autorità austriache, dopo gli anni del Ciclone Haider, il leader nazionalista e xenofobo, il cui ingresso al governo spinse nel 2000 i Paesi dell’Ue a varare sanzioni contro Vienna. La difesa di Irving ha ora undici giorni per fare ricorso «Ci penseremo e decideremo insieme al mio cliente», ha detto l'avvocato, dando però l’impressione di voler rinunciare ad opporsi, per evitare ogni ulteriore ritardo nella convocazione del processo. Se così fosse, David Irving potrebbe andare già ai primi di gennaio davanti alla Corte d'Assise, dove rischia in teoria fino a 20 anni di carcere. Nel frattempo, proseguirà il suo soggiorno nelle galere asburgiche. L'accusa contro Irving, che oggi ha 67 anni, muove da una serie di discorsi, tenuti in Austria nel 1989, nei quali lo storico fra le altre cose mise in dubbio l'esistenza delle camere a gas, facendo scattare nei suoi confronti un mandato di cattura, peraltro mai eseguito. Come in Germania, in Israele, in Francia e in altri Paesi europei, anche la legge austriaca considera infatti reato la negazione dell'Olocausto. Irving sostiene di aver già visitato l'Austria nel 1993, quando le guardie di frontiera lo fecero passare senza problemi, dopo aver controllato il suo passaporto. Meno fortuna ha avuto lo scorso 11 novembre, nella regione meridionale della Stiria, dove si stava recando per una serie di conferenze, su invito dei giovani della Burschenschaft Olympia, una confraternita goliardico-politica di estrema destra. Dopo aver tentato senza successo di sorprenderlo nella sede dell'organizzazione, a Vienna, la polizia lo ha arrestato sull'autostrada che porta a Graz. Considerato agli inizi della carriera come una delle più brillanti promesse della storiografia britannica, lo studioso inglese ha costruito il suo teorema negazionista sin dalla fine. degli Anni Sessanta. La notorietà gli venne con «Hitler's War», libro scritto nell'arco di 13 anni, dove sostenne per la prima volta che il Führer almeno fino al 1943 non sapeva nulla dell'Olocausto e che non diede mai l'ordine formale di sterminare gli ebrei. Scoperto il filone, si spinse oltre, fino appunto a contestare le camere a gas. Eppure, in quegli anni, storici affermati e politicamen­te corretti non risparmiarono lodi nei suoi confronti, a comin­ciare da Hugh Trevor-Roper, celebre per aver ricostruito le ultime ore di Hitler. L'arresto di Irving spacca comunque l'opinione pubblica e i commentatori austriaci. L'autorevole Standard ha criticato il provvedimento, ricordando che, «per quanto disgustosa, quella di Irving è solo un'opinione che non  può essere considerata responsabile di fomentare rigurgiti neonazisti». Il problema dell’Austria, ha ribattuto la Salzburger Nachrichten , non è Irving ma la destra, il suo angolo «bruno»; «Il problema è che da noi, persone le quali trovano normale invitare per tenere una conferenza uno storico nazista ricercato, occupino posizioni di primo piano nella Repubblica e che il loro partito stia al governo». E in realtà la Burschenschaft Olympia è affollata di esponenti del partito di Haider.


il giudizio

«Ma così gli si permette di farsi passare per perseguitato politico» - Giovanni Miccoli critica la decisione del tribunale di Vienna

di Antonio Carioti

«Ho il sospetto che David Irving sia andato in Austria, consapevole del mandato di cattura pendente nei suoi riguardi da molti anni, con l'intenzione di farsi pubblicità. E il tribunale di Vienna, tenendolo in carcere, rischia di fare il suo gioco». A parlare è lo storico triestino Giovanni Miccoli, autore di un libro fondamentale sull'atteggiamento della Chiesa di fronte all’Olocausto, I dilemmi e i silenzi di Pio XII (uscito da Rizzoli nel 2000), e di un saggio sullo stesso scottante argomento incluso nella recentissima Storia della Shoah edita dalla Utet. «Mi è sembrato subito molto strano - prosegue lo studioso - che Irving si fosse recato in un Paese dove rischiava di finire in carcere. Dopo aver perso clamorosamente la causa per diffamazione che lui stesso aveva intentato a Londra contro Deborah Lipstadt, era un personaggio definitivamente screditato, in difficoltà economiche per la necessità di pagare le spese processuali. Nessuno gli prestava più attenzione: Ora invece, dopo l'arresto, è ridiventato il protagonista di un caso internazionale, è tornato sulle prime pagine dei giornali, ha recuperato la visibilità perduta». In generale, Miccoli si dichiara assai perplesso sulle leggi che puniscono il negazionismo: «A mio avviso non è un problema di libertà d'opinione. Non siamo di fronte a una particolare interpretazione, ma a una clamorosa falsificazione dei fatti storici. Tuttavia non credo che queste menzogne, quando non si traducono in un esplicito incitamento all'odio razziale e alla violenza, debbano essere perseguite sul terreno del diritto penale. I negazionisti vanno combattuti e sbugiardati sul piano storiografico, togliendo ogni credito alle fandonie che scrivono, ma senza dar loro la possibilità di gridare alla persecuzione». Manette e processi sono invece, secondo Miccoli, strumenti inefficaci: «In teoria le leggi contro il negazionismo si propongono un obiettivo pedagogico: dovrebbero servire da deterrente contro i rigurgiti antisemiti. Ma  non mi pare che funzionino. Mettere questi individui dietro le sbarre non ne limita affatto l’influenza: al contrario, alimentando il vittimismo dei vari Irving, si accrescono le simpatie nei loro confronti da parte dei giovani sprovveduti o dei settori di opinione pubblica che nutrono già sentimenti antisemiti più o meno profondi e si vedono confortati nei loro pregiudizi circa la pretesa potenza degli ebrei».

Dal Corriere della sera, 26 novembre 2005


Irving? Un bugiardo, ma è ingiusto arrestarlo

Parla Deborah Lipstadt, la studiosa che vinse la causa contro l’ultrarevisionista - «Così se ne fa un martire. Negare la Shoah non è un reato»

dal nostro corrispondente Alessio Altichieri

LONDRA - «David Irving è un negatore dell'Olocausto, un falsificatore della storia. Un razzista, un antisemita, un bugiardo. Ma non mi fa alcun piacere che sia in prigione. Lo disprezzo, è un uomo orrendo, eppure sono indifferente alla sua sorte: né piacere né dispiacere». Così dice Deborah Lipstadt, la storica americana che cinque anni fa, a Londra, vinse la causa che David Irving le aveva mosso. Allora, la sentenza del giudice Charles Gray cadde sulla reputazione di Irving come una pietra tombale: «È  incontrovertibile che sia un negatore dell'Olocausto», Ma ora dalla cella di Vienna, dove aspetta di sapere se sarà processato, Irving dice d'aver cambiato idea, «dopo avere consultato archivi sovietici». Ravvedimento tardivo, che non cambia il quadro, ma può rendere ancora più discutibile un processo per un'opinione rinnegata. Dagli Usa, dove insegna storia ebraica moderna e dell'Olocausto all'Emory University di Atlanta, la professoressa Lipstadt risponde ai dubbi sollevati dal caso.

È rimasta sorpresa dall’arresto di Irving?

«Non mi stupisce nulla, in lui. Un giorno dice una cosa, un giorno un'al­tra. Nel 1983, quando la rivista Stern annunciò d'aver trovato i diari di Hitler, piombò in conferenza stampa, pagato dalla concorrente Bild, a dire che erano falsi. Poi, quando vide che servivano alle sue tesi, sostenne che erano autentici. É con ciò si guadagnò ancora qualche titolo sui giornali. Prima nega le camere a gas, oggi le ammette. L'uomo è così: un bugiardo, come disse il giudice Gray, che scrive intenzionalmente una parodia della storia».

Ma è giusto processarlo per le bugie? È davvero un reato negare che la Shoah sia avvenuta?

«Personalmente, non credo nella legge che fa della negazione dell'Olocausto un reato. Per due ragioni: perché credo nella libertà di parola e perché penso che processi così trasformino i negatori in martiri. Riscuotono solidarietà. S'immolano sull'altare della libertà di parola: anche chi non crede a ciò che dicono pensa che debbano poterlo dire. In più, fa della negazione dell'Olocausto una sorta di "verità proibita": i giovani potrebbero chiedersi perché, se non c'è una legge che vieta di negare la guerra del Vietnam, tanto per fare un esempio, debba essercene una per lo sterminio degli ebrei».

Però la legge, sia in Germania che in Austria, ha anche il compito di ricordare l'enormità di quanto accadde.

«Sì. Spiegate infatti le mie riserve, capisco anche perché nei due Paesi ci sia una legge del genere. In Austria è del '47, mi pare, e non riguarda solo l'Olocausto, ma vieta di minimizzare Hitler e il Terzo Reich. Così come in Germania è vietato esporre la svastica o vendere Mein Kampf Non sono posti normali, con una situazione normale».

E l'Olocausto resterà sempre un fatto abnorme della storia?

«Spero che non sia mai trattato come un fatto normale. Bisogna che resti abnorme per evitare nuovi genocidi. L'Olocausto è diverso da altri stermini: non dobbiamo accettare che diventi normale, regolare, con caratteri definiti, se vogliamo evitare che si ripetano altri genocidi, per esempio in Darfur».

Sta forse nei numeri, i sei milioni, la differenza?

«No, lo sterminio per mano dei nazisti è l'unico caso in cui c'è un intero governo, tutto il Paese, dalla polizia alla banca, al postino, dedito ad assassinare un popolo, non solo entro i confini, ma anche fuori. Pensi: nel luglio 1944, già in difesa dopo lo sbarco alleato in Normandia, i tedeschi si spingono fino a Rodi, solo per prendere gli ebrei che vivevano lì da duemila anni. L'unico evento che s'avvicina all'Olocausto è il genocidio turco degli armeni, ma non è la stessa cosa. Se eri un armeno a Berlino, o perfino a Gerusalemme, eri salvo. Gli armeni perseguitati erano quelli che vivevano nel territorio turco».

La Turchia, appunto. Lì, al contrario, è vietato parlare del genocidio armeno. Il grande scrittore Orhan Pamuk rischia il processo, per averlo fatto.

«Se mi è permesso uscire dal mio campo, dico che la Turchia non dovrebbe essere accettata nell'Unione Europea finché non riconosce il genocidio. Quanto a Pamuk, il suo caso è scandaloso: se s'arriverà al processo, entrerò in un comitato a sua difesa, se mi vorrà. Non si può vietare di negare l'Olocausto e allo stesso tempo tacete del genocidio degli armeni».

La professoressa Lipstadt verrà presto in Italia: in aprile terrà un corso all'Università Gregoriana di Roma sulle memorie dell'Olocausto, «compreso il vostro Primo Levi».


I suoi libri nel carcere in cui era rinchiuso

L’Austria lo ha arrestato l'11 novembre per apologia del nazismo. Ora si scopre che, nella biblioteca del carcere di Graz dove era stato temporaneamente trasferito, c'erano alcune copie dei suoi controversi libri. Lo ha rivelato lo stesso Irving dal carcere di Vienna al settimanale austriaco «News» «Alcune guardie mi hanno addirittura chiesto di farei l'autografo». Il direttore del carcere ha assicurato che i libri saranno rimossi.

Nazismo, testi di Irving anche nel suo carcere

VIENNA - Dettaglio imbarazzante per la giustizia austriaca nella vicenda dello storico David Irving, arrestato l'11novembre per apologia del nazismo: nel carcere di Graz, in Stiria, dove era stato brevemente trasferito, saranno rimossi dalla biblioteca esemplari dei suoi libri, tra cui la controversa biografia di Hitler. Era stato lo stesso Irving,intervistato in carcere a Vienna dal settimanale News, a informare che c'erano sue opere nel penitenziario di Graz.

Dal Corriere della sera, 2 dicembre 2005

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