Corriere della sera
Mussolini
divide i Ds «Non toccate
la storia»
Sulla
morte del Duce critiche a D’Alema, consensi per Fassino «Però Massimo ha
dimostrato la crescita della nostra cultura»
di Lorenzo Salvia
ROMA
- A togliere il coperchio dalla pentola è stato Massimo D’Alema: per
Mussolini «sarebbe stato più giusto un processo» anche perché «avrebbe
consentito di ricostruire un pezzo di storia italiana». Come Norimberga per i
nazisti. A far salire il bollore è stato invece Piero Fassino: «Non ha senso
riaprire questa pagina che si presta solo ad un revisionismo strumentale». E
un piccolo viaggio tra i parlamentari dei Ds - dopo l'articolo di Panorama sulle
anticipazioni del libro di Bruno Vespa - fa capire che la pancia del partito sta
più con Fassino che con D'Alema. Il più duro è Famiano Crucianelli: «D'Alema
apre una finestrella ad un revisionismo per cui tutte le vacche sono grigie.
Berlusconi e la Mussolini già cavalcano l'onda». Nemmeno Franco Grillini ci va
leggero: «È sbagliato usare la
storia per mandare messaggi politici». Come Gloria Buffo: «L'uso politico
della storia va per la maggiore, eviterei questo terreno». Quando la
riflessione si fa più piana sono in molti a condividere lo stesso punto:
parlare di Piazzale Loreto è giusto, forse doveroso, ma spetta agli studiosi.
La pensano così Cesare Salvi, Valerio Calzolaio, Marcella Lucidi, Giuseppe
Ayala, Lanfranco Turci. E anche chi, come Lorenzo Forciri, ammette che «il
revisionismo non è un male assoluto perché la ricerca non finisce mai. Ma
proprio per questo tocca agli studiosi e non ai politici che a volte adattano le
cose alla situazione del momento». Da figlio di storico (Giorgio),Valdo
Spilli entra nel merito: «Il processo a Mussolini non l'avrebbero fatto gli
italiani ma gli alleati e, si sarebbe trasformato in un processo all'Italia». A quei giorni torna anche Umberto Ranieri: «Un
processo non fu mai considerato dai capi della Resistenza secondo cui
l'eliminazione fisica del dittatore doveva significare che con lui moriva il
sistema che ci aveva portato alla rovina». Ma c'è anche chi la pensa come D'Alema,
chi crede che una Norimberga italiana sarebbe stata più utile al Paese di quei
corpi appesi in Piazzale Loreto. Senza ignorare il clima di allora, consapevoli
che parlarne in poltrona è ben diverso che farlo dopo due anni passati in
montagna. Dice Piero Ruzzante: «Sul quel periodo non tutto è stato chiarito
tanto che ancora oggi c'è una commissione che indaga sui fascicoli delle
stragi nazifasciste rimasti nascosti per anni. Un processo, allora, avrebbe
fatto luce su molte cose». Condividono Marco Minniti («Non è vero che la
storia non si fa con i se, quello di D’Alema è uno sforzo condivisibile») e
Stefano Passigli: «Un processo sarebbe servito per chiarire quesiti ancora
senza
una risposta definitiva: le modalità dell'ingresso in guerra, i rapporti di
Mussolini con Churchill. Sarebbe stato anche più giusto». E su questo si
concentra Giuseppe Caldarola: «Quello di D'Alema non è revisionismo, ma la
dimostrazione di come si è civilizzata la cultura politica nel rapporto con
il nemico: al punto da dire che la figura più odiosa per la sinistra, Mussolini
appunto, non andava ucciso ma processato e condannato. Lo stesso discorso che
oggi facciamo per Saddam». Posizioni diverse, quindi, come capita in tutti i gruppi di persone,
partiti politici compresi. Ma c’è chi prova una sintesi. «In linea di
diritto - spiega l'ex generale Franco Angioni - sono d'accordo con D'Alema: una resa
dei conti giuridica sarebbe stata più opportuna. Ma così è andata e
discuterne oggi può travolgere anche le buone intenzioni di chi ha sollevato
il caso».
«Operazione
politica piena
di opportunismo»
Le
accuse di Bocca al presidente ds. «La morte del dittatore era inevitabile»
di
Dino
Messina
MILANO
- «Bell'accoppiata di opportunisti, Bruno Vespa e Massimo D'Alema, hanno messo
in piedi non una revisione storica, ma un'operazione chiaramente politica». A
Giorgio Bocca, giornalista, protagonista della Resistenza, autore di libri ormai
classici come la Storia dell'Italia partigiana e La repubblica di Mussolini, la
dichiarazione di D'Alema contenuta nel nuovo libro di Vespa appena uscito da
Mondadori, Vincitori e vinti, non va proprio giù. Alla convinzione del
presidente diessino che un processo al capo del fascismo sarebbe stato
preferibile all'esecuzione preferisce senz'altro l'opinione del segretario Piero
Fassino, contrario a «riaprire una pagina che si presta soltanto a un
revisionismo storico strumentale». Bocca ricorda che Fassino è figlio di un
partigiano, «queste cose contano». Sulla scrivania della sua casa milanese,
vicino a Sant' Ambrogio, Bocca ha le prime bozze del nuovo libro-inchiesta su
Napoli, che uscirà a gennaio da Feltrinelli, e un foglio sul quale ha annotato
le osservazioni all'ampio servizio che il numero in edicola di «Panorama»
dedica al libro di Vespa. «D'Alema - dice il giornalista senza paura di crearsi
nuovi nemici - appartiene alla stessa specie di Giampaolo Pansa: questi fa
del revisionismo per vendere più libri, l'altro per prendere più voti o
comunque per far carriera. È un personaggio che si presta a tutti i giochi,
anche a fare un governo con Berlusconi». Inutile far presente che anche
studiosi di sinistra come Lucio Villari avanzano dubbi sulla decisione presa dal
Clnai e sulle modalità dell'esecuzione avvenuta a Giuliano di Mezzegra il 28
aprile 1945. «Dal punto di vista storico è una stupidità totale, significa
ignorare che cosa sono le rivoluzioni, le rese dei conti. Sarebbe come dire che
fu uno sbaglio ghigliottinare. Robespierre o impiccare i gerarchi nazisti.
Oltretutto l'esecuzione di Mussolini era legalmente giustificata dalla
dichiarazione del 25 aprile 1945 in cui il Clnai avvertiva che chi non si
arrendeva sarebbe stato passato per le armi». Insistiamo: davvero una
Norimberga italiana non avrebbe potuto giovare a fare i conti con un passato
ancora oggi ingombrante? «Norimberga - risponde deciso Bocca - è la
dimostrazione che non si può fare il processo alla storia. A Norimberga i
vincitori processarono i vinti. Sul banco dell'accusa c'erano anche i sovietici
che scaricarono sui nazisti massacri commessi da loro come le stragi di Katyn».
Ma il vero punto è un altro e Bocca non ha timore di dirlo: «La morte del
dittatore era inevitabile e fu accolta con manifestazioni di gioia non soltanto
da noi antifascisti. Lasciare a Mussolini la parola in un processo avrebbe
significato consentirgli di chiamarci tutti in causa, anche noi partigiani, che
eravamo stati fascisti come tutti. Ma non si può mettere sullo stesso piano il
regime del ventennio, che ebbe il consenso della maggioranza, e la minoranza
criminale della Repubblica sociale. Certo, nella mia Storia della repubblica di
Mussolini ho sottolineato che dall'altra parte combattevano anche ragazzi in
buona fede. Ma il giudizio si ferma alla valutazione morale delle motivazioni».
Tornando a una possibile Norimberga italiana, Bocca sottolinea che era questo
«il desiderio degli americani e soprattutto degli inglesi. Un processo a
Mussolini avrebbe significato mettere sotto accusa l'intera nazione. Ed era
quello che noi partigiani, interpreti di un radicale rinnovamento nazionale,
volevamo evitare. Anche per questo fu giusto uccidere Mussolini».
La
nipote Alessandra «Che coraggio,
non
si nasconde come Fini»
di
Maria
Latella
ROMA - La Nipote ne è convinta e se fosse ancora deputata, a Montecitorio e non a Bruxelles, a questo punto, probabilmente, lo manderebbe pure al Quirinale: «D'Alema ha centrato una questione storica. Le sue sono affermazioni importanti ed è da superficiali reagire come hanno fatto Fassino e Cossutta. Per non parlare di Fini, che tutte le volte si nasconde dietro la solita frase: "Lasciamo la storia agli storici". Come se lui non l'avesse usata, la storia». Il giorno in cui Panorama va in edicola con la copertina dedicata a Massimo D’Alema e alle sue riflessioni, consegnate all'ultimo libro di Bruno Vespa («L'uccisione di Mussolini fu inaccettabile. Un processo sarebbe stato più giusto»), Alessandra tributa al presidente dei Ds tutto il tributabile in queste circostanze. «Fermo restando che si tratta di affermazioni tardive, sono anche, certamente, coraggiose. Tenuto conto del fatto che siamo alla vigilia di una dura campagna elettorale».
Molti si chiedono, appunto, perché D'Alema
abbia detto, ora, che suo nonno andava giudicato in un processo.
«Non siamo di fronte al solito revisionismo e Fassino
sbaglia a sostenerlo. Delle cose che D'Alema ha detto, una frase mi è piaciuta
più di tutte: "L'uccisione di Mussolini fa parte di quegli episodi che
possono accadere nella ferocia della guerra civile, ma che non si possono
considerare accettabili". È l'inaccettabilità, la chiave. Per questo ha
provocato reazioni polemiche e anche superficiali. Eppure, abbiamo avuto
occasione di verificare che le democrazie compiute non nascono dal sangue.
Una democrazia non può temere i processi».
Prima
e dopo la
rivoluzione francese, veramente, in molti hanno sostenuto che solo una
rottura traumatica può segnare un nuovo inizio. Le dittature finivano nel
sangue…
«Stenterei a chiamare dittatura il fascismo: almeno fino
al 1938 ha avuto il consenso del popolo italiano. E comunque, la giustizia
sommaria, l'esposizione in piazzale Loreto del corpo di mio nonno, hanno
gravato su questa Repubblica e gravano ancora. Si sente dire, da qualche tempo,
che l'Occidente esporta la democrazia. Anche noi italiani, la stiamo
esportando. Ma come possiamo farlo se in noi c'è un vizio d'origine? Piazzale
Loreto è il nostro male assoluto e non lo dico per fatti di famiglia».
Perché
D’Alema è arrivato a questo convincimento? Lei gli ha parlato, in questi
giorni?
«Non gli ho parlato, no. Al telefono lui è sempre così...».
Asciutto?
«Insomma... Lo vedrò a Strasburgo, al Parlamento europeo. Lì
ci parleremo. Comunque, lui non fa mai affermazioni a caso e credo abbia una
sua strategia, ma non certo quella sospettata dai Cossutta, o dai Fassino.
Loro pensano alle elezioni, mentre invece D'Alema non ci pensa per niente.
Non ha certo parlato per rubare qualche voto ad Alleanza Nazionale».
Commentando
le affermazioni di D'Alema, Berlusconi ha detto: «Tra vent'anni riabiliteranno
anche me».
«Ha fatto del colore».
L'evocazione di piazzale Loreto è familiare al Cavaliere.
Confalonieri, al Corriere della Sera, dichiarò: «Se Silvio perde le
elezioni, finiremo tutti a piazzale Loreto».
«Piazzale Loreto non può essere banalizzato. È stato
l'ultimo atto di una guerra civile, la sovversione pura di ogni regola. Sarà
impossibile dimenticare, o perdonare, se non si ammette che Mussolini andava
processato. Non giustiziato. Ed è significativo che certe affermazioni, oggi,
vengano da sinistra. Penso a Violante, allo stesso Giampaolo Pansa. A destra,
a volte, sono più realisti del re».
Romano
Prodi «Non dimentico quel prete ucciso dai partigiani»
V.
Pic.
Roma
- «Era la primavera del 1945 e avevo meno di sei anni, ero appena uscito dalla
messa al Ventoso di Scandiano, dove eravamo sfollati durante la guerra, quando
vidi alcune persone sequestrare il prete e costringerlo a viva forza dentro
un’automobile. Ancora oggi rivedo la mano di mia sorella Fosca che mi copriva
con amore gli occhi perché non vedessi. Seppi poi che fu ucciso». È Romano
Prodi che parla. Racconta a Bruno Vespa, per il suo libro Vincitori e vinti, la
storia di un sacerdote ucciso dai partigiani. E affronta la domanda insidiosa:
andrebbero decorati i preti uccisi nella resistenza, come lo sono stati quelli
uccisi dai nazifascisti? «Come si può essere contrari a riflettere su questo
capitolo della nostra storia? L’importante è non farlo in maniera
strumentale. È il grande problema della storia scritta nella carne viva»
risponde il Professore. Teme strumentalizzazioni anche il leader ds Piero
Fassino: «Non ho alcun pregiudizio a rendere giustizia ma bisognerebbe
conoscere le circostanze in cui sono avvenuti quei delitti, e io non le conosco»,
dice a Vespa, mettendo in guardia da «una revisione della storia del nostro
Paese». «Dietro questa proposta, come quella di parificare la scelta dei
giovani che fecero la Resistenza con lo slancio dei giovani di Salò –
evidenzia – c’è l’idea che, in fondo, le ragioni degli uni e degli altri
erano ugualmente nobili». «Io – conclude – penso che c’era chi stava
dalla parte giusta e chi dalla parte sbagliata».
Dal Corriere della sera, 5 novembre 2005