Corriere della sera
Cefalonia,
ordine tedesco al generale italiano
Il
diario del comandante Lanz accredita i sospetti su Gandin
di
Paolo
Paoletti
«Colloquio
telefonico col generale Gandin. Ordine scritto a Gandin». La data: 17
settembre 1943, terzo giorno della battaglia di Cefalonia. L'autore: il
generale Hubert Lanz, comandante del XXII corpo d'armata tedesco, che stava
attaccando la divisione italiana Acqui, agli ordini del generale Antonio
Gandin. Questa la prima clamorosa novità. Di fronte alla quale due domande
vengono spontanee: 1) Il documento è autentico? 2) È possibile da un punto di vista tecnico che ci sia stato questo colloquio
telefonico? Alla prima domanda rispondiamo: la fonte di questa rivelazione è il
diario personale di Lanz, conservato a Monaco di Baviera presso l'Archivio
delle truppe da montagna tedesche, Da un punto di vista storico si può
considerare più attendibile di un documento ufficiale della Wehrmacht. Un
diario di guerra può essere manipolato (i civili massacrati nei rastrellamenti
nazisti figurano tutti come «partigiani»!), mentre su un diario personale,
non si annotano falsità. La mattina del 17 settembre il generale Lanz riporta:
«Schriftlicher Befehl an Gandim». Un fatto che non può essere omesso da una pagina
di ricordi e che può essere smentito solo da un documento altrettanto
autentico. Possiamo rispondere positivamente anche alla seconda domanda: la
telefonata era tecnicamente possibile, anche se Gandin si trovava al comando
tattico di Procopata e Lanz a Lixuri. Il nostro comando divisione ad Argostoli
e.il comando del presidio tedesco a Lixuri erano collegati da un cavo telefonico
sottomarino, quindi, sarebbe bastato un telefonista ad Argostoli per
passare la chiamata da Lixuri a Procopata. Quello che apre scenari inquietanti
è l'«ordine scritto a Gandin». In verità c'è un precedente. Alla data del
13 settembre, sempre nel diario personale di Lanz, si legge: «Ich schieke
Gandin einen schriftlichen Befehl zur sofortigen Waffen stockung» «Mando a
Gandin un ordine scritto per un'immediata deposizione delle armi»). La
testimonianza inedita di un superstite italiano ci permette di avere una
conferma a questa seconda eclatante novità archivistica. Il tenente Giuseppe
Triolo, comandante del gruppo capisaldi Sami Ovest, scriveva in una relazione:
«Verso le ore 16 del 12 settembre mi perveniva dal Comando 1° Battaglione, d'ordine del Comando Divisione, l'ordine di
accompagnare i miei soldati a Sami nel magazzino del Comando Gruppo Capisaldi
Sami Est In tale magazzino dovevo depositare tutte le armi... e poi dovevo
rientrare con i miei uomini nei capisaldi in attesa di ulteriori ordini». Così
scopriamo che il 12 settembre era fallito il tentativo di Gandin di far eseguire
l'ordine tedesco dell'11: «Riunire per battaglione armi e munizioni in locali
sorvegliati». E siccome Triolo e gli altri ufficiali si rifiutarono, il 13
Lanz mandò a Gandin un «ordine scritto». Due giorni dopo iniziava la
battaglia. Queste scoperte archivistiche ci permettono una rilettura generale
di quei giorni. L'ultimatum tedesco di resa consegnato a Gandin l'11 settembre
è stato manipolato, sostituendo una parola. La frase falsata è: «Si attendono
ulteriori ordini su permanenza e trasferimento delle truppe disarmate
italiane». Quella corretta suona: «Si attendono ulteriori ordini su permanenza
e impiego delle truppe disarmate italiane». Nella risposta del nostro
generale si capisce perché taluni traducano «impiego» con «trasferimento»:
Gandin chiedeva ai tedeschi chiarimenti sul «trattamento economico,
retribuzioni e compensi in natura (stipendio o soldo, viveri, oggetti di
vestiario, ecc.»). Chi tratta la resa non chiede se lo stipendio gli verrà
assegnato in lire o in marchi... La richiesta di chiarimenti di Gandin è di
chi cerca di trovare una posizione giuridica a una divisione spaccata tra chi
collaborerà con i nazisti, rimanendo armato e la maggior parte, che dovrà
essere disarmata. Nella risposta tedesca del giorno stesso si chiarisce che: «Le
unità e i reparti, fino a livello di reggimento, mantengono per ora oltre alle
loro armi anche i loro ufficiali e i loro comandanti, se questi vogliono
continuare a combattere sotto il comando tedesco». Nel suo messaggio serale a
Lanz il comandante tedesco di Cefalonia dichiarava: «La maggior parte della
divisione italiana sarà disarmata, il resto della formazione continuerà a
combattere sotto il comando tedesco». La cosiddetta «trattativa» sul
disarmo valeva quindi per quella parte della divisione che voleva rimanere
fedele al governo Badoglio. La trama di Gandin era quella di passare in campo
avversario con la minoranza della fanteria a lui fedele e abbandonare la
maggioranza della divisione disarmata nelle mani dei tedeschi. Il giorno dopo
ci fu il disarmo manu militari delle batterie italiane di Kavriata e S.
Giorgio e ovviamente Gandin non reagì, anzi autorizzò i nostri comandanti a
«cedere
di fronte alle forze preponderanti tedesche», dimenticando anche di ordinare
di rendere inservibili i pezzi. Poche ore dopo, la bandiera italiana veniva
ammainata a meno di 50 metri dalle finestre di Gandin. I carabinieri, che non
avevano voluto condividere la sorveglianza al nostro comando divisione
insieme a un semovente tedesco ed erano stati ritirati dal capitano Gasco,
con i marinai, pensarono di rimettere sul pennone il nostro vessillo. Gandin non
trova un battaglione disposto a passare con i tedeschi; questi, verso le 13.30
del 15 settembre, attaccano Argostoli con l'aviazione. In verità la battaglia
di Cefalonia era stata persa in quel fatale 11 settembre, quando Gandin aveva
cacciato via la missione militare alleata, che aveva offerto il supporto
dell'aviazione britannica. Solo questa ci avrebbe permesso di equilibrare la
battaglia aerea. Nel 1952 il giornalista Gorge Karayorgas pubblicava il racconto
dell'agente segreto inglese Andreas Galiatsatos: «Gandin ha dato tre giorni
di tempo ai tedeschi: o è stupido o è un traditore. Qualcuno deve fucilarlo».
Ecco perché Gandin dirà ai cappellani: «Non possiamo sperare in alcun aiuto
né rifornimento». Vero, non
li aveva chiesti né agli italiani né agli inglesi. E dire che Gandin poche
ore prima aveva ricevuto da Brindisi ordini "inequivocabili di «considerare
i tedeschi nemici». Nel 1995 la commissione ministeriale
per lo studio della Resistenza all'estero concludeva i suoi lavori
chiedendosi: «Che cosa avvenne l'11 settembre di così grave da indurre il
generale Gandin a non ottemperare al reiterato ordine di opporsi con le armi
alle intimidazioni tedesche, come fece il colonnello Lusignani a Corfù?».
Convegno a Genova
Il sacrificio della divisione Acqui
La
tragedia di Cefalonia, la più cruenta seguita all'armistizio (dell’8
settembre 1943, è tuttora oggetto di interpretazioni controverse. Se ne parla
oggi a Genova presso il Comando militare della Liguria (largo Zecca 2, ore
14.30) nel convegno «Cefalonia 1943. Valore e sacrificio della divisione Acqui»
con relazioni di Giorgio Rochat e Gerhard Schreiber. Partecipa anche Amos
Pampaloni, superstite dell’eccidio. I fatti sono noti: dopo alcuni giorni
di trattative,
nell'isola greca dello Jonio le forze tedesche aggredirono e sconfissero la
divisione Acqui, che rifiutava di cedere le armi. Alla resa seguì una
carneficina: oltre al comandante Antonio Gandin, medaglia d'oro alla memoria,
circa quattromila italiani furono fucilati. Alla versione più accreditata della
vicenda si contrappone l'autore dell'articolo pubblicato qui accanto, che ha
scritto diversi libri su episodi discussi della seconda guerra mondiale, come «1944,
San Miniato» (Mursia, 2000) e «Il delitto Gentile» (Le Lettere, 2005). Già
nel volume «I traditi di Cefalonia» (Fratelli Frilli, 2003) Paoletti ha
rivolto al generale Gandin pesanti accuse, che si prepara a rilanciare, in un
saggio di prossima uscita, sulla base di nuove acquisizioni
documentali.
Dal Corriere della sera, 5 novembre 2005