Corriere della sera

20 settembre 2005

Si è spento Simon Wiesenthal - Vienna: è morto il «cacciatore di nazisti»

Lo riferisce il Centro a lui intitolato. Aveva fatto catturare il «teorico» della Soluzione Finale e l'assassino di Anna Frank

VIENNA - Simon Wiesenthal, storico «cacciatore di nazisti», è morto a Vienna all'età di 96 anni. Lo ha riferito il Centro Simon Wiesenthal in un comunicato sul proprio sito Internet. Scompare così un uomo, sopravvissuto alla Shoah, che aveva contribuito alla cattura di circa 1100 criminali di guerra nazisti.

LE REAZIONI - Marvi Hier, decano e fondatore del Centro, ha dichiarato: «Simon Wiesenthal era la coscienza dell'Olocausto. Quando esso finì nel 1945 e l'intero mondo tornò a casa per dimenticare, è rimasto solo lui a ricordare, divenendo il rappresentante vivente delle vittime».Sconforto tra i membri della comunità ebraica di Berlino. «Dopo la guerra è stato Wiesenthal a impegnarsi a perseguire i criminali nazisti, mentre il governo tedesco mostrava per questo poco interesse - ha detto Albert Meyer, presidente della comunità ebraica berlinese - Ora c'è il pericolo che questo tema venga dimenticato». «E' stato "una coscienza mondiale"». Questo il commento di Aver Shalev, direttore dello Yad Vashem, il memoriale della Shoah a Gerusalemme. «E’ stato il simbolo vivente della caccia intrapresa dal mondo contro i criminali di guerra nazisti». «È una grave perdita non solo per il mondo ebraico, ma per tutto il mondo civile. Wiesenthal ha rappresentato la volontà di resistere all'ingiustizia, all'odio e alla sopraffazione, di non dimenticare e di non lasciare impuniti atti criminali». Queste le parole del rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni. Secondo Amos Luzzatto, presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane, Wiesenthal «aveva sofferto nei campi e voleva lanciare ai governi, ma anche agli ebrei, il segnale che non si poteva rinunciare a far trionfare la giustizia».

LA VITA - Simon Wiesenthal era nato l'8 dicembre 1908 a Buczacz, ieri Polonia, oggi Ucraina. Si era laureato in architettura a Lvov. Dopo la firma del Patto Molotov-Ribbentrop, con cui Hitler e Stalin si spartirono la Polonia, sfuggì a una serie di «purghe rosse» dei nuovi padroni sovietici, che però costarono la vita al padre. A partire dal 1941 (occupazione dell'Ucraina da parte dei nazisti) iniziò lo sterminio sistematico degli ebrei locali: perirono quasi tutti i familiari di Wiesenthal e di sua moglie. Lo stesso Wiesenthal fu catturato due volte (una prima volta riuscendo a fuggire dalla prigionia) e rinchiuso in campi di concentramento diversi, a mano a mano che l'Armata Rossa avanzava, obbligando i tedeschi a spostare i prigionieri sempre più a ovest. L'ultima tappa del suo calvario fu Mauthausen (Austria), campo liberato dagli americani il 5 magio 1945. Finito il Grande Conflitto Mondiale, collaborò con la sezione «criminali di guerra» dell'esercito Usa, anche in qualità di «vittima vivente» della Shoah. Nel 1947, quando gli Stati Uniti cominciarono a mettere la questione in secondo piano rispetto alla Guerra Fredda, Wiesenthal decise di «mettersi in proprio», fondando il Centro Documentazione Storica Ebraica a Linz (poi spostato a Vienna). Grazie alla sua caparbietà, riuscì a far catturare dagli 007 Israeliani il cittadino argentino Ricardo Klement, che in realtà era Adolf Eichmann, uno dei teorici della «Soluzione Finale». Eichmann fu giustiziato nel 1961. La sua cattura galvanizzò l'attività di ricerca di Wiesenthal, che per tutti divenne «il cacciatore di nazisti». Nel 1963 localizzò Karl Silberbauer, l'assassino di Anna Frank. In totale, in 60 anni di caccia, assicurò alla giustizia circa 1100 criminali di guerra nazisti.

LA GRANDEZZA MORALE Un aneddoto pubblicato dal New York Times Magazine nel febbraio 1964 risulta emblematico della figura di Wiesenthal: visitando un sopravvissuto del campo di Mauthausen, diventato nel dopoguerra gioielliere, quest'ultimo chiese a Wiesenthal perché non avesse scelto di tornare a fare l'architetto. La risposta fu la seguente: «Tu sei religioso, credi in Dio e nella vita dopo la morte. Anch'io. Quando arriveremo nell'Aldilà e milioni di ebrei morti nei campi di concentramento ci chiederanno "Cos'avete fatto?", riceveranno molte risposte. Tu dirai: "Sono diventato gioielliere". Qualcun altro dirà: "Ho costruito case". Ma io dirò : "Io non vi ho dimenticati"».

I FUNERALI - Le esequie di Wiesenthal si terranno in Israele venerdì. Lo ha annunciato un portavoce della comunità ebraica di Vienna, di cui Wiesenthal era cittadino onorario. Nella capitale austriaca sarà comunque officiata una cerimonia funebre in suo onore nel locale cimitero e le bandiere del municipio saranno a mezz'asta.


21 settembre 2005 

1908 – 2005 Addio a Simon Wiesenthal «il cacciatore di nazisti»

Sopravvissuto a Mauthausen, fece catturare 1100 criminali. Sfidò Kreisky, difese Waldheim contro il Congresso ebraico

di Lorenzo Cremonesi

«Il mio segreto è la memoria. Posso ricordare il nome e il volto di una persona ad anni e anni di distanza», confidava quattro anni fa Simon Wiesenthal al Corriere per spiegare come cominciò la sua carriera di «cacciatore di nazisti». Già allora appariva stanco, provato. Ieri, a 96 anni, Wiesenthal si è spento nella sua abitazione di Vienna. Da tempo era malato e dalla fine degli anni Novanta, dopo la scomparsa della moglie, si era chiuso in se stesso. Nel 2003, dopo un attacco di polmonite aveva dichiarato: «Il mio lavoro è terminato. Gli ultimi criminali nazisti eventualmente sopravvissuti sono ormai troppo anziani per essere portati davanti a un giudice». Ma non poteva fare a meno di ricordare. Ancora durante il nostro incontro, improvvisamente chiamò la segretaria: «Mi è venuto in mente dove si trova la cartella con la documentazione su Hermine Braunsteiner. Era una bella bionda che aveva avuto l'ordine di occuparsi dei bambini. Ne uccise a centinaia, spesso sparando con la pistola contro gli zaini dove le madri ebree nascondevano i loro figli per cercare di nutrirli nel campo di lavoro. E se non morivano subito, fracassava loro il cranio a calci», disse ancora lucidissimo. Un dono naturale che lui aveva scoperto a 37 anni, spinto dalla rabbia disperata del sopravvissuto all'Olocausto nell'estate del 1945. «Gli americani mi avevano appena liberato da Mauthausen, l'ultimo dei 12 campi di sterminio dove i tedeschi mi avevano rinchiuso in 4 anni. E chiedevano a noi ex prigionieri di aiutarli a riconoscere i nostri aguzzini Ben presto mi resi conto che senza quasi volerlo avevo immagazzinato le loro identità, portavo le loro fotografie impresse nel mio cervello. Nonostante la fame, il terrore, il lutto per la morte di praticamente tutti i miei famigliari e conoscenti, potevo ancora ricordare, denunciare, impedire che i colpevoli della più grave tragedia ebraica in 3.000 anni di storia potessero farla franca». Così fece da testimone e accusatore sui banchi di legno improvvisati tra le baracche dei campi. E contribuì a preparare quello che sarebbe stato il processo di Norimberga. Poi, nel 1947, ne fece un vero lavoro. Abbandonò del tutto l'idea di riprendere l'attività di architetto lasciata già alla fine degli anni Trenta, quando le leggi razziali estromettevano gli ebrei da larga parte delle libere professioni. E aprì l'ufficio sulla Solztorgasse nel cuore di Vienna. «Avevo perduto tutto. Casa, genitori, sorelle, amici. Buczacz, la mia città natale in Galizia, contava 150.000 ebrei nel 1940, cinque anni dopo ne erano rimasti 500». Un ufficio tutto particolare il suo: «Centro per la caccia agli ex criminali nazisti». Chiedeva «giustizia, non vendetta», come ricorda il titolo della sua autobiografia pubblicata nel 1989. Ne individuò oltre 6.000, di cui almeno 1.100 catturati. Tra loro Karl Silberbauer, l'ufficiale della Gestapo che aveva fatto arrestare la famiglia di Anna Frank in Olanda. Oppure Franz Stangl, comandante dei programmi di sterminio a Treblinka e Sobibor. Non mancarono le polemiche invece per Adolf Eichmann, uno dei grandi architetti della «Soluzione finale». Da Israele i responsabili del Mosad dissero che il merito era tutto loro, accusando Wiesenthal di «protagonismo». Polemiche e accuse che lo hanno accompagnato a lungo. Ebreo della diaspora, uomo di carattere indipendente, profondamente legato alla politica austriaca, Wiesenthal negli anni Settanta si scontrò frontalmente con l'allora cancelliere (a sua volta di origine ebraica) Bruno Kreisky. WiesenthaI avanzò riserve su alcuni suoi collaboratori, che a suo dire erano stati membri attivi del partito nazista. Kreisky lo accusò di essere parte di «una certa mafia ebraica», sino a ventilare l'ipotesi che lui si fosse salvato a sua volta dalle camere a gas per essere stato un kapò al servizio dei suoi persecutori. Ancora più lacerante fu nella prima metà degli anni Novanta lo scontro frontale con il Congresso mondiale ebraico, soprattutto i suoi esponenti negli Stati Uniti e Israele, sul passato nazista dell'ex segretario generale dell'Onu, Kurt Waldheim. Wiesenthal si rifiutò caparbiamente di accusare Waldheim. E venne tacciato di «tradimento estremo delle vittime di Hitler» in decine tra libri, pubblicazioni e dichiarazioni pubbliche. Una rottura non superata neppure con la sua morte.

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L’avvocato Klarsfeld: «Ci ha insegnato tutto»

di Davide Frattini

Gerusalemme - «Simon Wiesenthal è stato Un precursore. Ha cominciato la sua impresa, quando la giustizia internazionale non poteva muoversi per i blocchi imposti dalla Guerra Fredda, la grande alleata dei criminali nazisti». Come avvocato Arno KIarsfeld ha fatto condannare Paul Touvier e Maurice Papon. Come figlio era in braccio alla madre Beate, quando nel 1968 rifilò un ceffone al cancelliere Kurt Georg Kiesinger, colpevole di essere stato segretario dell'ambasciata tedesca a Parigi sotto l'occupazione. Porta il nome di suo nonno, ucciso ad Auschwitz nel 1943. Suo padre Serge aveva conosciuto Wiesenthal negli anni Sessanta e ieri ha commentato «si è chiusa un’epoca. Fu grazie al suo esempio che riuscimmo a scrivere per la prima volta la storia del governo Vichy in Francia e ad arrivare al processo contro KIaus Barbie».

I suoi genitori hanno dedicato la vita alla caccia ai nazisti, con strategie diverse da quelle di Wiesenthal. Suo padre lo accusò di non sostenerlo nelle battaglie politiche.

«Mio padre e mia madre hanno organizzato proteste illegali, sono stati in prigione perché era fondamentale spingere per cambiamenti nella società tedesca o francese. Il fatto che crimini contro l'umanità come quelli dei nazisti non possano cadere in prescrizione è altrettanto importante che aver raccolto testimonianze sull'ultimo dei soldati implicati come scelse di fare Wiesenthal».

Vi siete trovati su fronti opposti nel caso Kurt Waldheim.

«Nel 1986 abbiamo organizzato la campagna che ha portato numerosi Paesi, compresi gli Stati Uniti, a dichiararlo persona non gradita. lo ho indossato una divisa nazista, quando Giovanni Paolo II lo ha invitato in Vaticano. Wiesenthal lo ha sempre difeso, secondo me per ragioni politiche. Anche nella sua autobiografia ha ripetuto di non aver trovato documenti per provare che il presidente austriaco fosse un criminale».

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L’ufficiale e il dottore - Quei due fascicoli aperti sulla sua scrivania

Il boia dei «bambini di Izieu» forse è morto. Ma il medico di Mauthausen Heim si nasconderebbe in Spagna

di Guido Olimpio

Alois Brunner e Aribert Heim. Il primo un ufficiale delle SS, il secondo un medico. Entrambi austriaci come il loro idolo, Adolf Hitler. Sono considerati responsabili della morte di migliaia di ebrei, tra loro molte donne e bambini, usati come cavie per pseudo esperimenti o gasati. I due sono sfuggiti alle ricerche di Simon Wiesenthal, diventando delle primule nere, invano inseguite da mandati di cattura internazionali e protette da complicità estese. Wiesenthal si è spento senza poterli vedere finalmente in manette, seguendo il destino degli oltre mille criminali di guerra fatti arrestare dall'instancabile cacciatore. Forse per loro non vi sarà mai una soluzione giudiziaria - l'arresto, il processo, la condanna - ma solo la «soluzione biologica». La morte di vecchiaia. Forse questo è già avvenuto per Brunner, ormai ultranovantenne: l'ultima traccia porta in Siria, dove ha vissuto grazie all'aiuto del regime degli Assad. Heim, invece, sarebbe nascosto sulla costa mediterranea della Spagna. I suoi familiari sostengono che sia deceduto ma l'Interpol non esclude si possa nascondere nei pressi di Alicante. Un sospetto rafforzato dall'invio di denaro - tra il 2000 e il 2003 - da parte dei parenti su un conto in Spagna a disposizione di un personaggio non identificato. Non solo: in una banca di Berlino è stato trovato un conto di un milione di euro intestato a Heim, che oggi avrebbe 91 anni. Il nome di Heim è stato inserito tra i super ricercati dell'Operazione Ultima Possibilità, battezzata così per sottolineare che i tempi per scoprirei dinosauri del nazismo sono ormai ridotti. Wiesenthal, poi imitato dall'altro cacciatore di nazi Serge Klarsfeld, ha lavorato per anni sul dossier di Brunner, ricostruendolo fin nei minimi particolari. L'austriaco, entrato nel partito giovanissimo, si mette in mostra ostentando fanatismo e risolutezza. Partecipa alla deportazione di decine di migliaia di ebrei da Salonicco, seguito nel 1943 dal rastrellamento di 25 mila civili in Francia, poi assassinati nei lager. Particolarmente efferata la deportazione dei «bambini di Izieu», caricati sui vagoni-bestiame e poi finiti nei campi della morte. Brunner fa carriera su pile di cadaveri, è spietato nell'eseguire gli ordini. Adolf Eichmann, il cupo ragioniere della soluzione finale, non esita a definirlo «il mio uomo migliore». Alla fine del conflitto, malgrado i crimini commessi, Brunner rimane in libertà perché - si dice - collabora con altri commilitoni con i servizi segreti alleati in funzione anti-sovietica. Nel 1954, però, temendo di essere chiamato a rispondere dei suoi delitti, l'ufficiale scappa dalla Germania con un lasciapassare della Croce Rossa (falsificato). La prima destinazione è l'Egitto, quindi la Siria dove diventa il «signor Georg Fischer». Brunner se ne sta buono per un po', quindi si mette in affari collaborando con il movimento di liberazione algerino. Parigi sospetta che il nazista faccia parte di una rete clandestina che vende armi ai combattenti del Fronte e dunque decide di punirlo. Gli 007 gli spediscono, nel 1961, una lettera bomba all'indirizzo di Rue Georges Haddad a Damasco: il nazista perde un occhio. Vent'anni dopo sarà il Mossad israeliana a cercare di regolare i conti con lo stesso sistema. Un pacco bomba gli porta via le dita di una mano. Ma Brunner ha la pelle dura ed è sfrontato al punto di rilasciare una intervista al settimanale tedesco «Bunte»facendosi fotografare nella città portuale siriana di Latakia. «Non rinnego nulla - afferma sprezzante -. L'unico rimpianto è di non aver ucciso abbastanza ebrei». Brunner si muove abbastanza tranquillo, la sua funzione di consigliere dell'intelligence locare gli offre una buona protezione. Wiesenthal ed altri cercano di ottenere l'arresto e l'estradizione, ma la Siria fa finta di nulla negando la sua presenza. Nel 1996 si sparge la voce della morte di Brunner: probabilmente è un trucco. Perché un giornalista tedesco sostiene di averlo visto: «Vive all'Hotel Meridien di Damasco». Diversi Paesi ne chiedono la cattura, si muovono gli 007, si cerca un accordo dietro le quinte, Klarsfeld tenta una missione disperata in Siria. Nulla di fatto. Brunner torna ad essere un fantasma, come  Aribert Heim.

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Al cinema - «I ragazzi venuti dal Brasile» e «Dossier Odessa»

La sua vita diventò spy story

di Maurizio Porro

Sono stati girati moltissimi film sul martirio del popolo ebraico, sull'Olocausto, dal Grande dittatore di Chaplin a Notte e nebbia di Resnais, da Anna Frank a Schindler's List, ma parte di questi è oggi dedicata alla caccia dei criminali nazisti spesso nascosti in Sud America. Wiesenthal con la sua costante opera di detective delle atrocità della Storia, è diventato così l'ideale protagonista di un filone di spy story ispirato a una realtà così mostruosa da sembrare inventata e inevitabilmente confuso, anche con le migliori intenzioni, nel cinema di spionaggio, fra le tante avventure che stanno in delicato equilibrio tra polemica, politica ed entertainment. I due titoli in qualche modo ispirati da Wiesenthal sono Dossier Odessa di Ronald Neame, del '74, in cui John Voight, ex uomo da marciapiede, è un giornalista tedesco che indaga su un'organizzazione che copre gli ex SS mettendo in moto il controspionaggio israeliano e la colonna sonora dell'allora sconosciuto Lloyd Webber. Ma il fatto stesso che la materia sia stata narrativamente valorizzata in un best seller di Frederick Forsyth, inserisce il furbo film in un filone quasi alla 007. E ancora peggio va con I ragazzi venuti dal Brasile, dove un anziano ebreo cacciatore di nazisti (ottimo Laurence Olivier nei panni di un simil Wiesenthal) scopre che il dr Mengele è vivo e vegeto e combatte per immonde cause (Gregory Peck in uno dei suoi due unici ruoli da cattivo, l'altro era Duello al sole): qui il complotto sa di fantapolitica e le radici stanno nel best seller di Ira Levin. «La verità - dice Marcello Pezzetti, direttore del Centro di documentazione ebraica di Milano - è che Wiesenthal arrivò molto vicino a Mengele, un giorno a Milano addirittura un'ora dopo che aveva lasciato l'albergo, ma non ce la fece a catturarlo e fu il suo cruccio. Due anni fa sul set di My father, un film che racconta la caccia al figlio di Mengele, incontrai Wiesenthal: era un uomo mite e del tutto disilluso, convinto che giustizia vera non era e non sarebbe mai stata fatta. I film ispirati alla sua vita inevitabilmente lo tradiscono, anche senza volere: il cinema è d'azione, lui faceva un lavoro paziente di certosino, un puzzle basato sul cervello». Sulle avventure non comuni della sua vita sono nate due super produzioni tv, Missione Wiesenthal (Rai) e Wiesenthal di Mediaset, prima del popolare Perlasca di Deaglio, mentre sulla cattura del nazista Eichmann, in cui giocò Wiesenthal parte essenziale, furono, girati per la tv La casa di via Garibaldi e L'uomo che catturò Eichmann. Per il cinema Lo specialista di Eyal Sivan è un magnifico documentario basato su materiale video registrato nel processo di Gerusalemme versus Eichmann, la più definitiva sentenza sulla storia tedesca dopo Vincitori e vinti di Kramer.

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Wiesenthal, cacciatore di nazisti e spirito libero

Aveva 96 anni. Scampato alla Shoah, scoprì seimila criminali. Ma difese Kurt Waldheim

di Piero Ostellino

«Quando saremo all'altro mondo e incontreremo i milioni di ebrei sterminati nei campi nazisti ed essi, ci chiederanno che cosa abbiamo fatto noi che siamo sopravvissuti io risponderò: "lo non ho dimenticato"». Questo era Simon Wiesenthal; l'uomo che ha dedicato pressoché tutta la sua vita alla cattura dei nazisti sfuggiti alla giustizia dopo la fine della guerra. Non - come ebbe a dire - per spirito di vendetta, ma di giustizia. La coscienza e la voce non solo dei sei milioni di ebrei dell'Olocausto, ma di tutte le vittime del nazismo. Nato in un distretto dell'Ucraina, era sopravvissuto sia al Gulag sovietico - il patrigno e altri suoi parenti erano stati arrestati dall' Nkvd, la polizia segreta - sia, dopo il 1941 quando l'Ucraina era stata occupata dalle truppe tedesche, al Lager nazista. La storia tipica di un ebreo della sua epoca, vissuto a cavallo dei due totalitarismi. Una storia costellata di arresti, di eroismi e di zone d'ombra. Neppure le sue testimonianze davanti agli alleati e la sua stessa biografia hanno mai fatto piena luce sulla sua (supposta) militanza comunista e sulla sua partecipazione alla guerra partigiana in Ucraina contro le truppe di occupazione. Wiesenthal è stato, nell'immaginazione popolare, l'uomo che per oltre quarant'anni ha dato personalmente la caccia ai nazisti. In realtà, egli, più che un uomo d'azione, era un analista, che trasferiva ai servizi di sicurezza israeliani la documentazione necessaria a scovare e ad arrestare gli assassini della sua gente. Questa, del resto, è stata, fin dalla sua fondazione, nel 1977, l'attività del Centro Wiesenthal di Vienna, un piccolo organismo costituito da non più di quattro persone, compreso il suo fondatore. Ciò che spiega anche le polemiche sul ruolo da lui effettivamente svolto, e sempre smentito dall'ufficIale israeliano che aveva portato in porto l'impresa in Argentina, nel ritrovamento e nel rocambolesco rapimento di Adolf Eichmann, nel 1960, e nella sua traduzione in Israele dove sarà processato e impiccato; sulla leggenda della sua caccia a Joseph Mengele, l'«Angelo della Morte» di Auschwitz, mai andata a buon fine; sulla cattura dell'ufficiale delle SS che aveva arrestato Anna Frank. Ma la figura di analista, più che di «cacciatore», spiega ancora di più perché Wiesenthal non sia mai diventato prigioniero del proprio personaggio. Sia nei successi, sia negli insuccessi. Nel 1986, Kurt Waldheim, ex segretario generale dell'Onu e candidato alla presidenza della Repubblica del proprio Paese (l'Austria), era stato investito dall'accusa di essere stato nazista e di aver commesso crimini di guerra. Ma Wiesenthal lo aveva difeso, sostenendo che un conto erano stati i filonazisti per opportunismo (come era il caso di Waldheim), un altro quelli che si erano macchiati di crimini. E Waldheim era diventato presidente. Una vittoria dell'onestà, o una sconfitta del cacciatore? Solo dieci anni prima, Wiesenthal, ebreo, socialista, non aveva coerentemente esitato ad accusare il cancelliere austriaco Bruno Kreisky, anch'egli ebreo e socialista, di aver accolto nel proprio governo quattro ministri dal passato nazista. Ma non lo aveva fermato. Uscendone sconfitto, come cacciatore e come ebreo e socialista.  

La sua voce

Sopravvissuto

«Sono soltanto un sopravvissuto che per quattro anni e mezzo è stato in diversi campi di concentramento e che ha perso l’intera sua famiglia, tranne la moglie».

I confini

«Io non mi porto soltanto dietro il ricordo di ciò che ho subìto, ma anche di ciò che molti testimoni mi hanno confidato. A volte accade che i confini tra me e loro scompaiano».

Lo sguardo sul passato

«Quando la gente guarderà indietro, voglio che nessuno possa dire che i nazisti furono capaci di uccidere milioni di persone e farla franca».

La memoria

«La cosa più importante che ho fatto è combattere contro l’oblio. È molto importante che tutti sappiano che i nostri nemici non sono stati dimenticati».

Banalizzazione

«La parola Olocausto è banalizzata. Ciò che è accaduto non è paragonabile con altri crimini. Ogni ebreo aveva una condanna a morte senza data».

La caccia infinita

Franz Stangl

Responsabile del programma di «eutanasia» delle persone handicappate

Comandante prima di Treblinka e poi di Sobibor, dopo la guerra viveva tranquillo in Austria. Grazie a Wiesenthal il suo caso fu riaperto. Rintracciato in Brasile nel 1967, fu processato in Germania per la morte di 900 mila persone.

Josef Mengele

Soprannominato l’ «Angelo della Morte»

Mengele, medico nazista, compì atroci esperimenti sui prigionieri dei Lager. Dopo la guerra riuscì a lasciare la Germania e raggiungere il Brasile. Il Centro guidato da Simon Wiesenthal promise una ricompensa di un milione di dollari a chiunque avesse fornito informazioni sul criminale di guerra nazista. Mengele non fu mai catturato.

Adolf Eichmann

Forse il caso più celebre

Fu identificato nel 1953 a Buenos Aires, dove viveva dal 1947 sotto il falso nome di Ricardo Klement. Wiesenthal passò le informazioni al governo israeliano. Catturato nel 1960 grazie a un’ardita operazione del Mossad, fu processato e giustiziato in Israele nel 1962.

Hermine Braunsteiner

Una delle molte criminali di guerra donna

Era responsabile dell’omicidio di centinaia di bambini nel campo di Majdanek. Rilasciata due volte dalla polizia austriaca, nel ’47 e nel ’49, fu scovata da Wiesenthal a New York, dove faceva la casalinga. Nel 1973 fu estradata in Germania dove nel 1980 fu condannata all’ergastolo insieme ad altri 15 ufficiali delle SS.

Karl Silberbauer

È l’ufficiale della Gestapo che fece arrestare la famiglia di Anna Frank

Nel 1954 era stato reintegrato nella polizia viennese. Dopo essere stato rintracciato da Wiesenthal fu processato nel 1963. fu rilasciato perché «aveva obbedito a ordini superiori». Ma la sua confessione provò al mondo che «Il diario di Anna Frank era un’opera che raccontava la verità».

Martin Bormann

Segretario personale di Hitler
Martin Bormann scalò tutte le gerarchie del potere nazista. Dopo la caduta del Reich scomparve nel nulla. Per anni la sua foto segnaletica campeggiò sulla scrivania di Simon Wiesenthal, che però non riuscì mai a individuarlo. Forse, il gerarca riuscì a fuggire in Sudamerica. Il suo corpo fu ritrovato nel 1972, a Berlino.

In fuga

Aribert Heim Austriaco, classe 1914, fu medico a Mauthausen. È accusato di avere ucciso decine di prigionieri con iniezioni letali al cuore.
Bruno Kreisky Negli anni ’70 Wiesenthal polemizzò con Bruno Kreisky, allora cancelliere austriaco. Wiesenthal disse che Kreisky si circondava di ex nazisti. Il cancelliere lo accusò di far parte di «una certa mafia ebraica».
Kurt Waldheim Wiesenthal si scontrò anche con il Congresso mondiale ebraico quando, agli inizi degli anni Novanta, si rifiutò di accusare Kurt Waldheim, l’ex segretario generale dell’Onu, per il suo passato nazista. Wiesenthal fu definito «un traditore».

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