Corriere della sera

Heidegger, colpevole anche senza Hitler

Polemica - Le rivelazioni sui rapporti del filosofo tedesco con il Führer

Paradossi - Oltre agli ebrei detestava anche gli ingegneri

di Carlo Augusto Viano

Emmanuel Faye, come riportava Frediano Sessi sul Corriere di ieri, ha ripreso la discussione sui rapporti di Martin Heidegger con il nazionalsocialismo. Ed è andato oltre le accuse mosse a  suo tempo da Hugo Ott e Victor Farias, sostenendo che Heidegger era un antisemita ostinato e un nazista prima dell'avvento al potere di Hitler, che fu un nazista convinto negli anni del regime e che rimase nazista anche dopo la seconda guerra mondiale, senza pentirsi dei comportamenti tenuti. Tutto vero. Va detto che Heidegger non celò mai le proprie idee e ammise sempre di essere antisemita, anche perché insofferente di una Germania liberale, che avrebbe permesso agli ebrei di essere cittadini come gli altri. Certamente tenne per poco il rettorato universitario cui era arrivato nel 1933, ma non perché considerasse illiberale il regime nazionalsocialista: al contrario, gli sembrava che non prendesse sul serio le sue fantasie sulla scienza tedesca e desse troppo spazio al sapere tecnico. Se fosse stato per lui, avrebbe perseguitato, oltre agli ebrei, anche gli ingegneri. Ma c'è un rapporto tra queste vicende di un uomo meschino, che non si vorrebbe avere per amico, e la sua filosofia? Le sue opere non sono senza radici ed esprimono la delusione di filosofi che videro il loro sapere messo fuori gioco da fisici, chimici, matematici, che proprio nelle università tedesche stavano scoprendo il modo in cui è fatto il mondo; e allora si aggrapparono alle «grandi questioni» tirate fuori dai libri di scuola frequentati nei seminari filosofici. Martin Heidegger si appese all'essere e costruì una filosofia basata sul disprezzo degli uomini comuni, alle prese con le vicende della vita quotidiana. E praticò le solite furberie, seguendo qualche campo di lavoro, come faceva il più prudente Hans-Georg Gadamer, che non si iscriveva al partito nazista, ma partecipava anche lui a campi di addestramento. Uno come Heidegger non contava molto in un regime basato sulla convivenza di molti potentati, che lasciavano agli apparati del partito la propaganda e l'esercizio della violenza, e poteva continuare a sognare una scienza tedesca, distrutta dall'emigrazione intellettuale, incapace perfino di organizzare un riarmo veramente moderno. È una vendetta della realtà che Heidegger parlasse nel 1940 della motorizzazione della Wehrmacht come di un atto metafisico. Non molto tempo dopo un filosofo italiano come Galvano Della Volpe, con un qualche peso nel nostro Paese, avrebbe scritto sull'estetica del carro armato. Cattivi maestri, che non rinunciarono a parlare di cose più grandi di loro, ma cattivi maestri anche se fossero vissuti in tempi più tranquilli e la sorte avesse risparmiato loro la tentazione di servire, non sempre ascoltati, i tiranni.

Dal Corriere della sera4 giugno 2005

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