Corriere della sera
Hitler e l’atomica, un disegno riapre il giallo
Uno
storico: trovato il diagramma di una bomba sporca. «Ci fu un doppio test»
di
Paolo Valentino
BERLINO
- «La
«bomba» o l'ennesima patacca sul nazismo? Veramente Hitler ebbe un ordigno
nucleare, sia pur rudimentale, riuscendo perfino a sperimentarlo? O sono solo
le speculazioni, infondate, di uno storico in cerca di notorietà e di un
editore in cerca di mercato? Si riapre in Germania una polemica, è il caso di
dirlo, al calor bianco. Dilaga sui media tedeschi e internazionali. Lacera la
comunità intellettuale e accademica, quella degli storici non meno di quella
dei fisici. E torna a sanguinare un'antica ferita, quella del ruolo giocato
dalla scienza nella Germania nazista. Innescata in marzo da un libro, Hitlers
Bombe, uscito per i tipi della DVA, la querelle è tornata d'attualità in
questi giorni dopo che l'autore, Reiner Karlsch, ha reso noto un diagramma,
ritrovato dopo la pubblicazione del saggio, che suonerebbe ulteriore
conferma per la sua tesi, fin qui molto contestata. Basandosi su
testimonianze, nuovi documenti dagli ex archivi sovietici e perfino analisi di
laboratorio, Karlsch, apprezzato studioso dell'argomento, aveva sostenuto nel
libro che i nazisti furono vicini al possesso dell'arma atomica, che un reattore
venne costruito non lontano da Berlino e che almeno due ordigni tattici
ibridi, due «bombe sporche» si direbbe oggi, molto più piccole di quelle che
gli americani avrebbero sganciato su Hiroshima e Nagasaki, vennero fatte
esplodere con successo, nell'ottobre 1944, sull'isola di Ruegen e, nel marzo
1945, in Turingia. Nonostante i
buoni risultati, secondo l'autore, le armi non furono mai impiegate in
battaglia, perché la scarsezza di materiale fissile ne impedì la produzione di
massa e anche per altri problemi tecnici, mai risolti, nel lancio e nella
detonazione. «I nazisti - aveva spiegato Karlsch, presentando il libro -
non lavoravano a una bomba
classica, ma speravano di combinare un mini-ordigno con un razzo. Non ne abbiamo
mai sentito parlare, perché venne coinvolto solo un piccolo gruppo di
scienziati, legati alle SS e i documenti furono coperti dal segreto, dopo
essere stati trovati dagli Alleati». E, in verità, tutti gli studi sul
programma nucleare hitleriano si sono sempre concentrati sul gruppo diretto
dal fisico Werner Heisenberg, basato a Lipsia e Berlino, che non seppe e forse
non volle costruire la bomba atomica per il Führer. Lanciato con grande
fanfara dall'editore, Hitlers Bombe si è però subito scontrato con un muro di
scetticismo e contestazioni. Al punto
che lo stesso Karlsch ha fatto parziale marcia indietro, ammettendo di non
aver prodotto prove inconfutabili, ma di «aver raccolto un'impressionante serie
di indizi». E, smentendo parzialmente i sensazionali annunci della DVA, aveva
fato notare che «lo stesso titolo del libro non parla di bomba atomica, ma
soltanto di bomba: l'ho fatto deliberatamente, poiché il tipo di ordigno che
venne sperimentato rimane aperto alla discussione». In effetti, il processo
indiziario di Karlsch è piuttosto atipico per uno storico. A sostegno della
tesi della bomba nazista sono, per esempio, il rapporto di una spia russa nel
quale «fonti affidabili» riferiscono di «due forti esplosioni» nella notte
del 3 marzo. O la testimonianza di una donna tedesca, interrogata negli
Anni '60 dalle autorità della Ddr,
che racconta di aver visto «una colonna
di luce intensa alzarsi di notte verso il cielo e poi aprirsi a forma di
albero».
Nel libro, c'è anche un testimone italiano, il giornalista fascista Luigi
Romersa, uomo di fiducia di Mussolini e autore di reportages di guerra sul
Corriere della Sera. Il suo racconto non è nuovo e, soprattutto, non è mai
stato considerato attendibile.
Nell'ottobre '44, Romersa era
stato incaricato dal Duce di recarsi in Germania per consegnare due lettere,
una a Hitler, l'altra a Goebbels: Mussolini voleva avere rassicurazioni
sulle nuove armi, che si raccontava fossero in possesso della Germania. Dopo gli
incontri con il Führer e il ministro della Propaganda, il giornalista racconta
di essere stato trasportato, con un aereo, su un'isola del Mare del Nord, di
cui non conosceva il nome. Lì, in un bunker sotterraneo, assistette
all'esplosione, con tanto
di bagliore accecante. Uomini in tuta protettiva, quattro o cinque ore dopo, lo
avrebbero guidato attraverso il terreno dello scoppio, parlandogli di una
«bomba
che distrugge tutto»: «Rimasi molto impressionato dal fatto che il paesaggio
fosse completamente cambiato, le casupole che avevo visto prima erano sparite,
gli alberi come smembrati». Romersa tornò in Italia entusiasta e riferì al
Duce. Il 1° novembre 1944, pubblicò un articolo sul Corriere della Sera, dove
raccontava delle V1, delle V2, i missili di von Braun che già cadevano su
Londra e «delle nuovissime armi», costruite secondo principi «contro i quali
non esiste alcuna difesa conosciuta... saranno le armi del colpo finale». Nel
libro, Karlsch ha usato anche i risultati di analisi di laboratorio, fatte a
spese proprie, su campioni del terreno vicino a Ohrdurf, la città della
Turingia non lontana dall'esplosione, che confermano la presenza di tracce di
plutonio, uranio, cesio-137 e cobalto-60. A lasciare perplessi storici e
scienziati
è stato l'impianto generale dell'opera, l'uso di fonti quasi sempre
di seconda mano e, non ultimo, un approccio piuttosto arruffone alla fisica.
«I testimoni o non sono affidabili, ovvero riferiscono di fatti ai quali hanno
assistito. Quanto ai documenti, ognuno può essere interpretato 'in modo diverso»
ha scritto Der Spiegel. «Non ci fu alcuna bomba atomica nazista, Karlsch e il
suo editore vogliono solo far sensazione» ha detto Dieter Hoffmann,
professore di storia della scienza al Max Planck Institute di Berlino. La
scoperta del diagramma, contenuto in un rapporto senza data e piuttosto
schematico, potrebbe però convincerli che l'intuizione di Karlsch sia fondata.
Tanto più che lo stesso Hoffmann gli riconosce un merito importante. Quello
di aver dimostrato che la scienza tedesca non fosse così innocente, di
fronte al nazismo, come invece venne fatto credere dopo il 1945. Grazie al
rifiuto di Heisenberg, nel Dopoguerra gli studiosi tedeschi riguadagnarono,
infatti, status internazionale e piena accettazione nella comunità
scientifica. In realtà, Karlsch prova che altri fisici, protetti da Himmler e
fin qui considerati di secondo piano, erano andati molto più avanti nella
fissione. «Così - dice Hoffmann - la smettiamo con la leggenda dei pacifici
scienziati tedeschi».
Dal Corriere della sera, 4 giugno 2005