Corriere della sera
Storici ebrei: sapone con i deportati, leggenda nera
L’orrore dei lager alimentò anche dei miti. A Gerusalemme si apre la polemica
di Frediano
Sessi
Cade
una leggenda nera, quella degli ebrei ridotti a sapone. È una rivelazione
recente che pone fine a una serie di credenze sulle atrocità dei lager nazisti,
servite in parte anche a negare gli orrori commessi. Disinformazione di guerra,
dunque. Anche se nella realtà del nazismo resta una macabra contabilità.
Collezioni di scheletri e crani, corpi affidati agli istituti di anatomia delle
facoltà di medicina tedesche per essere spolpati e studiati a fondo, e non
solo per «conoscere», come richiedeva Himmler, il «sottotipo razziale ebreo e
bolscevico», ma per redigere atlanti e manuali di medicina; capelli umani
trasformati in feltro industriale «previo avvolgimento in bobine» (i
capelli delle donne permettevano anche la fabbricazione di pantofole).
Queste e altre simili atrocità realmente compiute sui corpi vivi e morti
degli ebrei e dei deportati nei lager nazisti, sono stati all'origine della
leggenda nera adesso messa in discussione. Con il grasso degli ebrei,
assassinati nelle camere a gas, i nazisti avrebbero «fatto sapone» o
addirittura carne in scatola, da servire agli stessi ebrei impiegati nele
industrie di guerra. Una leggenda di cui non si conosce bene l'origine, ma che
circolò tra le fila della resistenza polacca e che sarebbe stata alimentata
dagli ufficiali e dai commissari politici dell'Armata rossa, per dipingere con
toni ancor più macabri e drammatici gli orrori del nazismo. Una leggenda
fatta propria anche da taluni dei sopravvissuti (ne abbiamo sentito eco
anche in Italia) che, per attirare l'attenzione dei molti indifferenti alla
loro tragica storia, dichiaravano di avere assistito alla saponificazione
di molti ebrei. Una storia tutta da sfatare, come ricorda l'Avvenire di
ieri, e che qualcuno ha attribuito alla penna di Wiesenthal, il cacciatore di
nazisti, che arrivò a ipotizzare la saponificazione di quasi un milione
di corpi di ebrei assassinati da parte di un'industria tedesca nei pressi del
lager di Belzec. Una storia che anche il direttore del Museo dell'Olocausto
israeliano e lo storico Yeudha Bauer dell'università di Tel Aviv definiscono
priva di fondamento. Tuttavia, le notizie delle atrocità compiute dai
nazionalsocialisti erano così diffuse e, in parte, così incredibili, che non
fu difficile confondere realtà e fantasia. Anzi, a volte si negava la
verità dei fatti quando veniva raccontata da testimoni d'eccezione (come accadde
a Jean Karski, una staffetta della resistenza polacca, che nel 1942 rischiò
la vita per entrare di nascosto in un lager di sterminio nei pressi proprio
di Belzec), e si credeva più facilmente alle falsità, capaci di colpire
la fantasia popolare e che facevano parte di un noto e già sperimentato
armamentario propagandistico di guerra psicologica contro il nemico. Per altro
verso, gli ufficiali dell'Armata rossa, esagerando le atrocità dei nemici
nazisti, riuscivano assai bene a nascondere i crimini commessi dal loro
esercito liberatore sulle popolazioni e spesso anche sui loro stessi
soldati, quando erano accusati di "tradimento". A tale proposito,
alcune pagine del libro autobiografico di Margarete Buber-Neumann (Prigioniera
di Stalin e Hitler), sono esemplari. Sopravvissuta al lager di Ravensbrück,
fugge terrorizzata dalla fulminea avanzata dell'Armata
rossa. Così, una leggenda nera
che si trasforma in racconto (anche il regista Benigni che per il suo
film La vita è bella, dichiara di essersi avvalso della consulenza di
storici e sopravvissuti italiani, mette in bocca a Giosuè la frase «con
noi ci fanno i bottoni e il sapone»), negli anni verrà usata da molti
negazionisti per affermare che lo sterminio e le camere a gas non sono mai
esistiti. Chi dice il falso una volta, chi esagera sulle cifre delle vittime
(nel dopoguerra una commissione sovietica affermò che ad Auschwitz erano
morti quattro milioni di persone e che con la cenere dei corpi si era fabbricato
del fertilizzante), allora non è credibile nemmeno quando riporta la
verità fattuale. Da tempo, gli storici si sono fatti più prudenti, hanno
cercato di sfatare miti e leggende, di correggere eccessi nella descrizione
di orrori e nel numero delle vittime, per offrire una verità sempre più vicina
all'uomo, che accusi i carnefici,
ammonisca gli spettatori indifferenti
e renda giustizia alle vittime.
Dal Corriere della sera, 25 marzo 2005