Corriere della sera

Milioni di fotografie inedite della Raf disponibili sul Web

Auschwitz 1944, uno scatto sull'orrore

Le immagini documentano, tra l'altro, le atrocità naziste cinque mesi prima dell'arrivo degli alleati

Alessio Altichieri

Foto aerea di Auschwitz (Ap) 

LONDRA - Questa è Auschwitz, vista dall’alto, sono le 11 del mattino del 23 agosto 1944. Dal cielo, il campo di sterminio che è diventato sinonimo dell’Olocausto pare un baraccamento militare, o un enorme campeggio estivo. Invece è la più mostruosa macchina di assassinio costruita dall’uomo, in piena attività: si vede una colonna di fumo che s’alza da una fossa comune e, con ingrandimenti resi possibili dall’altissima definizione, si vedono pure i prigionieri in coda per l’appello finale, prima della morte. Auschwitz, nell’estate del ’44, lavorava come una catena di montaggio dello sterminio: la sconfitta della Germania era sentita vicina e i nazisti s’impegnavano freneticamente per eliminare gli ebrei ungheresi, almeno 437 mila persone, quando un aereo da ricognizione della Raf, l'aviazione britannica, sorvolò quel lembo di terra, oggi Oswiecim in Polonia, e scattò questa foto. Purtroppo, l’immagine rimase sepolta per sessant’anni, fino a ieri. Oggi è un documento che ci restituisce, visto mentre accade, il genocidio.

 

Le immagini di guerra  


Perché questa straordinaria fotografia, ora rilasciata dai National Archives di Londra, non fu mai pubblicata? Le ragioni sono molte, e alcune amare da confessare. Nell’estate del ’44 lo sterminio degli ebrei, se non la sua portata, era già noto agli alleati, perché denunciato a Washington e Londra dalle stesse organizzazioni ebraiche. Ma il pubblico britannico e americano sapeva poco, perché poco gli era stato detto e, in guerra, la priorità non era salvare i prigionieri nei campi, bensì battere Hitler prima che sviluppasse armi devastanti. Perciò la Raf setacciava il territorio nazista alla ricerca di strutture militari e industriali: gli aerei scattavano foto alla velocità d’un mitragliatore, e forse neppure chi colse quest’immagine notò qualcosa di particolare. La tecnologia aveva prodotto macchine fotografiche così veloci che nessuno poi, in Gran Bretagna, poteva passare in rassegna l’enorme materiale raccolto.

Così lo scatto, sepolto tra altri cinque milioni, fu ignorato fino a quando, l’anno scorso, i National Archives diedero l’intero lotto alla Keele University, perché l’adattasse, in forma digitale, per essere processato su computer. E n’è uscito questo documento unico - «estremamente emozionante», secondo l’uomo che l’ha scoperto, Allan Williams – che testimonia l’orrore della storia.

E la storia è questa. Nella sua ultima estate di attività, Auschwitz (o meglio Auschwitz II: il campo di sterminio di Birkenau, cui queste foto si riferiscono) era come sopraffatta dalla fretta di sterminare il maggior numero di persone, in un’aberrante corsa contro il tempo. Le camere a gas uccidevano a una tale velocità che i forni crematori non facevano in tempo a eliminare i cadaveri, sicché i nazisti organizzarono fosse a cielo aperto dove i corpi delle vittime venivano gettati e bruciati. E il fumo che si vede nella foto sale proprio da una di queste fosse, accanto a un forno crematorio. Dettaglio agghiacciante: le code erano tali che i destinati alla morte erano costretti ad aspettare il loro turno per ore in un bosco poco lontano, dove finivano per essere ricoperti dalle ceneri, portate dal vento, di coloro che li avevano preceduti: l’inferno costruito in Terra.

Dopo questa foto, le camere a gas di Auschwitz avrebbero continuato il massacro per altri cinque mesi. Il campo fu liberato il 27 gennaio 1945, nel cui anniversario si celebra il giorno della Memoria, e l’entità dello sterminio cominciò a essere divulgata. Eppure solo a guerra finita, nella seconda metà del 1945, si videro i primi cinegiornali che mostravano i sopravvissuti dei campi, così come li avevano trovati le truppe sovietiche nella loro avanzata verso Berlino, che testimoniavano direttamente il genocidio. E il mondo faticò a prendere coscienza di quanto era accaduto, se perfino un protagonista come Primo Levi, secondo quanto usava dire, tardò a scrivere la sua testimonianza, Se questo è un uomo, perché temeva di non essere creduto nel raccontare una realtà troppo abominevole per essere accettata.

Era la stessa condizione psicologica dei piloti della Raf: l’anonimo fotografo «non sapeva che cosa stava accadendo - dice Williams -, gli operatori avevano l’ordine di fare ricerche con lo scopo di trovare informazioni militari. Non avevano il tempo di pensare a che altro poteva accadere». Noi che sappiamo che cosa cercare, invece, possiamo trovare in questa miniera d’immagini, di cui Auschwitz ’44 è la scoperta più importante, le prove di un passato che ancora dà lavoro agli storici. Nei milioni di scatti della Raf ci sono le immagini di Colonia prima e dopo il bombardamento, dello sbarco in Normandia e di altri capitoli fondamentali della lotta al nazismo. Tanto che già Spielberg, il regista, ha scandagliato questo archivio, per cercare dettagli che ha usato in Band of Brothers , una serie televisiva. Da domani, l’immagine di Auschwitz, assieme a molte altre, sarà consultabile sul sito www.evidenceincamera.co.uk al prezzo di dieci sterline. L’inferno, sessant’anni dopo, arriverà sul nostro computer.

Dal Corriere della sera, 19 gennaio 2004


Difficoltà militari e scelte politiche dietro una tragedia della storia

1944, le foto dell'orrore che non passa

E torna il dilemma: che si poteva fare? Da Auschwitz a Bergen-Belsen nuove immagini dagli archivi di Londra

Dario Fertilio

LONDRA - Dunque gli Alleati sapevano? L’inferno di Auschwitz era provato da queste foto di Birkenau e Bergen-Belsen? Gli storici concordano sul fatto che Stati Uniti e Inghilterra non potessero ignorare l’essenziale di quanto stava accadendo. Certo, pesarono le strategie militari e le difficoltà obiettive della guerra. Tra cui l’impossibilità di liberare i lager con operazioni terrestri. Gli Alleati avrebbero dovuto sfondare tutte le linee tedesche. E probabilmente furono decisive le insuperabili difficoltà militari legate a una soluzione soltanto aerea. Nel 1944, infatti, quando queste foto furono scattate, le armate naziste avevano ancora un notevole potenziale bellico.

L'OLOCAUSTO - Eppure, secondo molti storici, si sarebbe pur dovuto fare qualcosa. Perché non colpire quegli stessi edifici di cui si potevano riprendere così minuti particolari? Per rendersi conto della portata delle accuse e delle polemiche, basta visitare il Museo americano dell’Olocausto, a Washington. Si attraversano corridoi tappezzati di immagini raccapriccianti, scheletri vaganti nei campi, donne in attesa della fine che abbracciano i figli, comitive di spettri in marcia verso il nulla; e alla fine, come per un colpo di scena a effetto accuratamente preparato, ci si ritrova di fronte a una gigantesca installazione su cui è scritta una frase pesantissima: «Il governo americano avrebbe potuto mettere fine a tutto questo, ma scelse di non farlo». Il primo grande atto d’accusa al comportamento degli Alleati risale in realtà all’inizio degli anni Ottanta, e porta la firma dello storico inglese Walter Laqueur: Il terribile segreto chiama sul banco degli imputati non solo americani e britannici, ma anche il Vaticano e la Croce Rossa, senza risparmiare la comunità ebraica internazionale. Tutti avrebbero lasciato prevalere, secondo Laqueur, la necessità strategica di vincere. Uno storico ebreo, Tom Segev, nel suo Settimo milione ha così cambiato l’imputazione: l’Agenzia ebraica non mosse un dito perché temeva che i profughi, fuggendo da Hitler, avrebbero provocato una catastrofe politica nel non ancora nato Stato israeliano, abitato allora da appena mezzo milione di persone. Anche il regista francese Claude Lanzmann, nel film Un vivo che passa, calcò la mano sulle responsabilità della Croce Rossa e raccontò come il suo responsabile Maurice Rossel, in visita ad Auschwitz, incredibilmente non si accorse di quanto stava accadendo.

STALIN ERA ANTISEMITA - Ma allora non si agì per cecità volontaria? Non era stato lo stesso comandante dell’Armata rossa liberatrice di Auschwitz, Petrenko, a confessare che il suo esercito puntava solo a Berlino, e non diffuse le notizie sull’Olocausto «perché Stalin era antisemita»? In realtà, le ragioni strategiche e militari che indussero gli Alleati a non bombardare i campi sono state elencate dallo storico americano Peter Novick, con il suo Olocausto nella vita americana. Le attrezzature danneggiate avrebbero potuto essere facilmente riparate, i bombardamenti avrebbe massacrato soprattutto i prigionieri: questa fu probabilmente la ragione per cui le organizzazioni ebraiche americane non sollecitarono interventi militari contro i campi. Senza contare che verso la fine della guerra avrebbero potuto rimanere uccisi proprio i fortunati sopravvissuti, giunti a un passo dalla salvezza. Oggi, lo storico Enzo Collotti sostiene le tesi colpevoliste di Laqueur: «Per gli Alleati i lager erano solo dettagli, non colsero l’aspetto umano e politico della Shoah e non si resero neppure conto che sarebbe stato una potente arma di propaganda». Di parere diverso un altro storico, Frediano Sessi, che riconosce: «Bombardare i campi era impossibile, però si sarebbe dovuto forse colpire le aree circostanti, far sentire la forza militare degli Alleati sui soldati tedeschi per intimidirli e dissuaderli da gesti estremi per paura della punizione». E invece rapporti disperati come quello dell’ebreo polacco Rudolf Vrba, evaso da Birkenau nel ’44, finirono sulle scrivanie di Roosevelt e Churchill, ma rimasero urla nel silenzio.

Dal Corriere della sera, 20 gennaio 2004

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