Corriere della sera

Le bambine che videro l’inferno di Auschwitz

Un libro di Titti Marrone ricostruisce la storia di due piccole ebree che uscirono vive dal lager. E adesso recuperano la loro memoria.

di Aurelio Lepre

«Quando le due bambine scesero dal treno e si trovarono di fronte la madre, fu come se la vedessero per la prima volta. Per qualche attimo la madre e le figlie rimasero a guardarsi in silenzio. E si scoprirono estranee e lontane». Inizia così il lungo e angoscioso viaggio nella memoria compiuto da Titti Marrone per ricostruire l’infanzia di Andra e Tatiana Bucci, due bambine di quattro e sei anni, che il 29 marzo 1944 furono deportate nel campo di Auschwitz, insieme con la madre Mira, la zia Gisella De Simone e un cuginetto, Sergio. L'autrice di questo libro non ha vissuto quegli anni e la sua ricerca è una sorta di pellegrinaggio nel passato, in luoghi abitati da ombre a cui bisogna dare corpo e voce, per non dimenticare. Un pellegrinaggio che ne coinvolge profondamente, e dolorosamente, la sensibilità, senza però influire sulla sua notevole capacità di ricostruzione storica. Ne risulta un convincente intreccio storico-narrativo, sul sottofondo di un giudizio morale che non è mai gridato, ma è continuamente presente, implicito nei fatti. I Bucci e i De Simone erano stati catturati a Fiume nel 1944, perché appartenevano a una famiglia ebrea. Denunciati da un vicino, anche lui ebreo, erano stati rinchiusi nella Risiera di San Sabba e poi portati in Polonia, sebbene Mira e Gisella avessero sposato due cattolici e i figli fossero stati battezzati. Ad Auschwitz i bambini furono separati dalle madri. Sergio vi sarebbe morto, Mira e Gisella sarebbero tornate in Italia, senza riuscire ad avere notizie di Andra e Tatiana. Le due bambine, dopo la conclusione della guerra, finirono a Lingfield, in Inghilterra. Appena uscite dall’inferno di Auschwitz, avrebbero vissuto il periodo più bello della loro vita in quell’oasi di felicità, cioè di normalità. Soltanto nel 1946 la madre le avrebbe ritrovate. Come si vede, si tratta di una vicenda lineare, ma molto difficile da ricostruire. Ne restava, infatti, solo una memoria dispersa e frammentata. I nomi dei bambini erano in alcuni documenti rintracciati dal giornalista tedesco Günther Schwarberg, che aveva ritrovato quello di Sergio in un elenco di bambini selezionati dal famigerato dottor Josef Mengele per i suoi esperimenti, e da Sarah Moskovitz, che aveva studiato la comunità di Lingfield. Tracce molto labili, uguali a quelle lasciate da tante altre vittime della guerra di cui non è rimasto nient’altro. Ma Andra e Tatiana erano sopravvissute e Titti Marrone ha saputo fare emergere dal passato i loro ricordi. Ad Auschwitz la vita delle due bambine era chiusa in un piccolo cerchio di sopravvivenza. A salvarle dalla morte per malattia o per fame furono il caso e la solidarietà degli altri prigionieri. Così com’era stato il caso a fare trovare nel 1944 Gisella De Simone e Sergio a Fiume, dove si erano rifugiati per sfuggire ai bombardamenti su Napoli. La terribile esperienza di Andra e Tatiana ricorda quella  narrata da Benigni in “La vita è bella”. Con la differenza che questa non è una favola, ma una storia vera e che le due bambine affrontarono la vita del lager da sole e in tutta la sua crudezza, senza bugie consolatorie. Ricordando di avere visto in una baracca una montagna di bianchi cadaveri Andra ha detto: «Era impressionante. Ma non credo che avessimo paura. Per noi era la normalità. Quella era la nostra vita». La normalità dell'orrore costituisce l'aspetto più agghiacciante della loro vicenda.

Il libro: Titti Marrone, “Meglio non sapere”, Laterza, pagine 154, € 12

Dal Corriere della sera, 20 agosto 2003

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