Corriere della sera

 Storia e documenti – Il nazismo delle origini

«Sud Tirolo agli italiani». Firmato Hitler. 

Così scrive il dittatore in una pagina del suo secondo libro pubblicato ora per la prima volta in un’edizione completa. Il curatore Weinberg: «Questo libro è molto importante per gli studiosi: a differenza di “Mein Kampf, non fu mai ritoccato e riflette il vero pensiero del leader del nazionalsocialismo».

di Cesare Medail

Le pagine che pubblichiamo fanno parte di un libro che Adolf Hitler dettò nel 1928 a Max Amann, direttore della casa editrice del Partito nazista, che all’epoca aveva già in pubblicazione Mein Kampf. Il testo venne alla luce nel 1958, scoperto dal professor Gerhard L. Weinberg negli archivi tedeschi trasferiti in Virginia dalle forze armate americane, che lo avevano rinvenuto nel ‘45 a Monaco di Baviera. A differenza dei falsi diari del Führer, che costarono la reputazione del grande studioso inglese Hugh Trevor Roper, nessun esperto pose in dubbio l'autenticità del testo. Così, fu lo stesso Weinberg a presentare il volume come «il seguito di Mein Kampf» nell'introduzione alla prima edizione uscita nei 1961 a cura dell'Istituto di storia contemporanea di Monaco di Baviera e subito tradotta negli Stati Uniti dalla Grove Press. Se l'interesse per l'edizione tedesca rimase circoscritto agli studiosi, la traduzione americana era largamente incompleta. Soltanto ora, dunque, Weinberg, professore emerito all’Uni­versity of North Carolina, presenta l'edizione integrale ritradotta, adeguatamente annotata e con una nuova introduzione che tiene conto dei progressi compiuti dagli studi sul nazismo nell’ultimo mezzo secolo. Il libro, di cui anticipiamo oggi e domani alcune pagine, uscirà negli Stati Uniti il 10 ottobre presso l'Enigma Books con il titolo Hitler's second book «Il secondo libro di Hitler»). In realtà, secondo il curatore, sarebbe più importante del primo: intervistato da Ennio Caretto per il «Corriere» (24 giugno 2003) Weinberg dichiarava che «mentre Mein Kampf fu revisionato per la pubblicazione, questo libro non fu mai ritoccato, riflette il vero Hitler ed è perciò ancora più importante per lo studio del nazismo». A cinque anni dalla presa del potere (alle elezioni del 1928 i nazisti presero soltanto 840.000 voti su circa 31 milioni), il partito mantenne il libro segreto, indotto forse dalle posizioni di Hitler favorevoli all’Italia sulla questione del Sud Tirolo, che stava suscitando un’ondata di sentimenti anti-italiani nel popolo tedesco. La parte più cospicua dell'opera, infatti (un capitolo di 50 pagine, il quindicesimo, su 230), riguarda proprio l’Italia, nazione che Hitler sembra prefigurare come naturale alleato geopolitico della Germania. Soprattutto dopo l'ascesa al potere di Mussolini. Tuttavia, nelle stesse pagine pubblicate qui accanto e volte a sostenere le ragioni italiane sulla questione sudtirolese, affiorano idee aberranti: in primo luogo l’odio per gli ebrei e per la cultura, come dimostrano gli espliciti riferimenti all'arte degenerata, all'indecenza del cinema che distrugge i principi della vita tedesca, all'abbandono della vita intellettuale nelle mani dell’internazionale ebraica, che Hitler imputa in egual misura ai nazionalisti e ai «marxisti dissacratori». Così, quando esce dalla questione sud­tirolese trattata con ovvia prudenza, il linguaggio del Führer, senza revisioni e ritocchi, rivela le pulsioni oscure che segnarono il Terzo Reich.

 Il brano

Ecco la prima parte del brano dedicato all’Italia scritto da Adolf Hitler. Domani pubblicheremo la seconda puntata.

«I tedeschi sono in minoranza, evitiamo le ingiustizie. I signori del Partito nazionale di Baviera si preoccupano della cultura dei Sud Tirolesi, ma hanno acconsentito che i teatri scendessero a livello di un bordello invece di denunciare il flagello razziale»

Nel 192O, quando presi posizione sulla politica estera del nostro movimento verso l’Italia, incontrai inizialmente una totale mancanza di comprensione nei circoli nazionalistici come pure in quelli cosiddetti patriottici. Per questa gente era incomprensibile che si potesse accettare un’idea politica che in pratica significava la fine delle inimicizie della Grande Guerra. In un primo momento, tuttavia, non dovetti subire attacchi aperti circa la mia politica verso l'Italia. Ma la situazione cambiò di colpo quando, in Italia, Mussolini compì la Marcia su Roma. Quasi per magia l'intera stampa ebraica prese a bombardare di veleni e a diffamare l’Italia. Il branco dei I giornalisti ebrei, oltre ai nazionalisti borghesi e agli idioti patriottici che li seguivano, riuscì in pieno nell’intento di gonfiare la questione Sud Tirolese al punto di farla apparire vitale per la nazione tedesca. Mi vedo quindi costretto a commentare il fenomeno nei dettagli. In Germania, a causa della disonestà della nostra stampa, pochissimi sono a conoscenza del fatto che la zona denominata Sud Tirolo è in realtà popolata per due terzi da italiani e solo per un terzo da tedeschi. Chiunque sostenesse seriamente, quindi, la riconquista del Tirolo del Sud da parte tedesca rovescerebbe la situazione portando 400.000 italiani sotto il governo della Germania invece di 200.000 tedeschi sotto il governo dell’Italia. Ora, i tedeschi del Tirolo del Sud sono prevalentemente concentrati nella parte nord, mentre la popolazione italiana abita la zona meridionale. Perciò, se qualcuno volesse trovare una soluzione veramente equa dal punto di vista nazionalistico, dovrebbe per prima cosa eliminare del tutto il termine Tirolo del Sud dalla discussione. Sul terreno morale, infatti, non possiamo certamente combattere gli italiani per essersi appropriati di un territorio dove in aggiunta a 400.000 italiani ci sono anche 200.000 tedeschi. Da un punto di vista strettamente morale, se mai vi fosse da parte tedesca l’intenzione di riportare questa zona sotto il governo della Germania per ovviare a un’ingiustizia, verrebbe commessa da parte nostra un‘ingiustizia ancora più grande di quella attuata dall’Italia. Per questa ragione, ogni appello alla riconquista del Tirolo del Sud rifletterebbe le stesse manchevolezze morali che vengono ora addebitate all'amministrazione italiana del Tirolo del Sud. Ecco perché questo genere di appelli perde la sua giustificazione morale. In generale, una rivendicazione fondata su sentimenti moralmente accettabili potrebbe limitarsi al massimo ad appelli per il recupero di quella parte che è realmente abitata in misura predominante dai tedeschi. Si tratta di un’area molto circoscritta di... (il testo originale omette la cifra, che sarebbe di 8.691 chilometri quadrati, nota dell'autore); ma in questa stessa zona ci sono circa 190.000 tedeschi, 64.000 italiani e ladini, e altri 24.000 stranieri; la zona completamente di lingua tedesca sarebbe abitata a malapena da 160.000 cittadini. Ora, è molto difficile individuare un confine che tagli fuori i tedeschi dalla madrepatria, come nel Tirolo del Sud. D’altro canto, nella sola Europa vivono separati dal Reich un totale non inferiore a …(il testo originale omette la cifra, che sarebbe di 20.362.800, n.d.a.) milioni di tedeschi. I signori del Partito nazionale di Baviera e anche i marxisti dissacratori della cultura si preoccupano della cultura dei Sud Tirolesi, ma che cosa fanno in difesa della cultura tedesca in patria? Hanno acconsentito che i teatri scendessero a livello di un bordello, invece di denunciare il flagello razziale; permettono che il cinema, facendosi beffe della decenza e dei costumi, distrugga i principi della vita tedesca; osservano impassibili la degenerazione delle nostre arti provocata dal cubismo e dal dadaismo; si fanno essi stessi sostenitori dei creatori di questa vile impostura o follia; permettono che la letteratura tedesca affondi nel fango e nella sporcizia e abbandonano l’intera vita intellettuale del nostro Paese agli ebrei internazionalisti. E poi questa miserabile compagnia ha l’impertinenza di parlare in difesa della cultura tedesca nel Tirolo del Sud. Ma, naturalmente, il loro unico scopo è di spingere due popoli civili verso i più bassi livelli di meschinità e d'ignoranza. In un solo anno nove membri del movimento Nazional Socialista sono stati trucidati brutalmente. Che cosa succederebbe se un solo atto del genere fosse commesso dai fascisti nel Sud Tirolo? Quando un italiano exaldo (presumibilmente Hitler intendeva usare il termine «esaltato», n.d.a.) danneggiò il monumento dell'imperatrice Elizabeth a Merano, essi sollevarono un feroce clamore impossibile da quietare, anche se un tribunale italiano aveva condannato il profanatore a due mesi di prigione. Ma non si interessano del fatto che i monumenti sacri alla grandezza passata delle nostre genti siano continuamente profanati in Germania. In realtà, inizialmente gli italiani avevano accolto i tedeschi del Tirolo del Sud in modo del tutto adeguato e lealmente. Non appena, però, andò al potere il fascismo, in Austria e Germania iniziarono le agitazioni contro l'Italia, motivate solo da ragioni di principio.

(1 - continua)


 L’opera più nota 

In carcere - Dettato a Hess

«Mein Kampf» (La mia battaglia) è lo scritto più importante e conosciuto di Hitler. Fu dettato a Rudolf Hess nel carcere di Landsberg, dove Hitler era stato rinchiuso per circa sei mesi dopo il fallito colpo di Stato a Monaco nel novembre 1923.

Tiratura - Milioni di copie

«Mein Kampf» viene pubblicato tra il 1925 e il 1926 e in esso sono contenuti tutti i programmi, antisemitismo e guerra compresi, che poi Hitler tentò di realizzare dopo aver preso il potere. Ē stato sostenuto che se i politici europei degli anni Trenta lo avessero letto e preso sul serio, sarebbero intervenuti molto prima per fermare l'ascesa del dittatore. In seguito «Mein Kampf» ebbe enorme diffusione: nel 1940 ne furono vendute sei milioni di copie, il secondo libro come vendite dopo la Bibbia.


 Storia e documenti – Il nazismo delle origini

“Il seguito di «Mein Kampf» - L’altro manifesto nazista - Due tra i maggiori storici del pensiero hitleriano e del nazionalsocialismo a confronto sui documenti che stanno per essere pubblicati in America da Weiberg

KERSHAW «La politica estera del Reich comincia da quelle pagine»

di Gabriele Pantucci 

Lo storico inglese Ian Kershaw è considerato uno dei maggiori studiosi viventi di Hitler e della sua opera. La sua monumentale biografia del dittatore tedesco (apparsa in Italia da Bompiani in due volumi, nel '99 e 2001) fornisce un punto di partenza per una seria discussione sul soggetto. E nel primo dei due volumi non mancano i riferimenti a questo «secondo libro» che fa discutere. Kershaw non ha mai avuto dubbi sulla autenticità dei documenti. Quanto alla loro importanza, ritiene opportuno formulare alcune distinzioni.

Qual è il suo giudizio personale? Si può parlare di un testo fondamentale per la comprensione dei successivi sviluppi nel campo nazionalsocialista?

«Non tanto per gli specialisti, perché essenzialmente si tratta di amplificazioni di concetti che Adolf Hitler aveva esposto nei suoi discorsi pronunciati tra il 1926 ed il 1928. Una parte di queste idee aveva addirittura trovato il modo di farle pubblicare in un opuscolo. Ma è anche vero che non sono molti quelli che li hanno letti. Le sue idee di politica estera, comunque, vengono esposte più chiaramente in questo “secondo libro”, benché non vengano in realtà modificate in alcun modo».

Ma se l’interesse politico era comunque notevole, per quale motivo questo “secondo libro” che Hitler dettò al direttore della casa editrice del partito nel 1928, non venne mai pubblicato?

«La vera ragione, almeno quella commerciale, è che “Mein Kampf” si vendeva poco, e l’editore era tutt’altro che entusiasta all’idea di metterle accanto a un altro libro, che non aveva certo la prospettiva di attrarre un pubblico più ampio».

E politicamente?

«Con ogni probabilità, fu considerato inappropriato, fatto che non si poteva ignorare, dal momento che il partito era reduce da una sconfitta elettorale. A quel punto, oltretutto, Hitler aveva incassato l’anticipo editoriale e quindi non si preoccupava molto della pubblicazione... ».

E che dire dell'incondizionata ammirazione che il Führer esprime in queste pagine per il «brillante statista Benito Mussolini»? Si tratta di un'infatuazione temporanea o di qualcosa che nell'animo di Hitler durò a lungo?

«Sorprendentemente, la sua ammirazione per Mussolini continuò sino agli ultimi anni: basti pensare allo loro incontro, dopo che Mussolini era stato liberato dal Gran Sasso. La sua frase al proposito rimane rivelatrice. Sebbene riconoscesse che il duce allora era soltanto un’ombra di colui che era stato in passato, dichiarò che restava un gigante fra tanti pigmei».


COLLOTTI - «Nel 1928 aveva già immaginato l’alleanza strategica con Mussolini»

di Dario Fertilio

Sono passati più di quarant'anni. Eppure, nello scorrere un’altra volta quelle frasi marchiate da Adolf Hitler, quei giudizi perentori e taglienti sull’Italia e gli ebrei, il Sud Tirolo e la cultura «degenerata», l'Inghilterra e il «marxismo dissacratore», lo storico Enzo Collotti non può nascondere un moto di emozione. I pensieri contenuti nel «secondo libro di Hitler», benché oggi rivisti e completati, sono essenzialmente quelli di allora, che in Italia lui commentò per primo, nel 1962.

Che impressione ne riportò?

«Più che sorpresa, la mia fu soddisfazione. Era un altro, importante tassello che si aggiungeva al mosaico, un passo in avanti per la comprensione del personaggio e una fondamentale integrazione del Mein Kampf»

Ma il pubblico non ne fu molto coinvolto...

«lo pubblicai le mie osservazioni su una rivista per esperti, “Studi storici”, che allora apparteneva all'Istituto Gramsci».

Che cosa la colpì, in particolare, nei ragionamenti di Hitler?

«Il fatto che contenessero alcune interpretazioni su quel che si sarebbe sarebbe realizzato davvero negli anni successivi. Anzitutto la previsione strategica di un’alleanza con l’Italia. E poi la convinzione ideologica che il regime di Mussolini sarebbe dovuto arrivare allo scontro con gli ebrei».

In questi scritti si denuncia piuttosto l'aggressività degli ambienti ebraici nei confronti di Mussolini dopo la marcia su Roma...

«Ē il seme del ragionamento politico che Hitler avrebbe reso esplicito più tardi. In ogni caso, l'interesse legato a questo testo fu molto grande. In seguito, è ovvio, abbiamo imparato molto, almeno a partire dalla pubblicazione dei discorsi del Führer. Il che non toglie nulla all'interesse per il nuovo libro di Weinberg, certamente accurato: abbiamo a che fare con uno studioso estremamente serio».

Non la colpisce l'apparente modera­zione di Hitler nei confronti dell’Italia, il suo scostarsi (a proposito della questione sud-tirolese) dalle tesi revansciste dei nazionalisti tedeschi?

«No, perché il Führer utilizza un linguaggio bell'e pronto, tipico di una destra conservatrice, non solo estrema. La sua abilità consiste piuttosto nel saperlo strumentalizzare, e semplificare, per un uso politico immediato. In altre parole, Hitler ha inventato poche cose, ma quelle poche ha saputo trasferirle nel contesto politico, renderle popolari».

Lei tocca il tema, sempre attuale e scottante, dei demagoghi di ieri e oggi. L'Adolf Hitler che lei descrive può essere definito, a questo proposito, «moderno» ?

«Senz'altro. Non dimentichiamo la frase di Salvemini su Mussolini: un genio della propaganda».

Vale anche per Hitler?

«Ancora di più per lui».

Così si spiega la moderazione, almeno apparente, di molti dei suoi ragionamenti? Compresi quelli riservati all’Italia e aI Sud Tirolo?

«Certo non era un volgare ciarlatano. Piuttosto uno spiritaccio capace di strumentalizzare tutte insieme cose fra loro molto differenti».

Lo storico Brunello Mantelli, suo allievo, sostiene che Hitler si dimostra erede di una scuola tedesca di pensiero molto amichevole verso l’Italia. Un’altra invece, di matrice austriaca, è sempre stata più ostile a Roma. Ma come si spiega, dal momento che Hitler era proprio di origine austriaca?

«L'osservazione di Mantelli è giusta. Solo che Hitler era soprattutto un politico consumato e spregiudicato. Il suo modello restò il fascismo, e continuò a nutrire ammirazione per Mussolini; però, esaltando il ruolo imperiale dell’Italia nel Mediterraneo, era soprattutto convinto di fare l'interesse della Germania. Allo stesso modo, i suoi riconoscimenti per l’Inghilterra avevano lo scopo di staccarla dalla Francia, che odiava».

L'ammirazione per l'imperialismo inglese non lo trattenne poi dal fare la guerra...

«Ma gli impedì di accorgersi dell’ascesa dell’America. Uno dei suoi errori fatali».


 Sepolto in archivio  

Il consiglio - «Non pubblicare»

Il secondo libro di Adolf Hitler venne scritto nel 1928 ma non venne pubblicato su consiglio di Max Amann, direttore della casa editrice  del partito nazista: Amann convinse Hitler che il libro avrebbe danneggiato le vendite di «Mein Kampf»

Nel 1945 - La scoperta

Il libro rimase nascosto in un rifugio a prova di i bomba fin dal 1935. Fu ritrovato nel 1945 dagli americani e pubblicato in Germania in sole 5.000 copie nel 1961 (nella foto la copertina, titolo: Il secondo libro di Hitler). Il volume è stato autenticato come opera di Hitler da Joseph Berg (ex impiegato della casa editrice nazista Eher Verlag) e dall'americano Telford Taylor, pubblico ministero al processo di Norimberga.

Dal Corriere della sera, 14 agosto 2003


 Storia e documenti – Il nazismo delle origini  

“Il seguito di «Mein Kampf» - L’altro manifesto nazista

«L’Italia deve conquistare il Mediterraneo». Nel seguito di «Mein Kampf» Hitler prevedeva un’espansione imperiale parallela per Roma e per Berlino. Il futuro dittatore nel suo secondo libro del 1928 individua nella Francia il nemico che «utilizzerà la sua riserva di negri; il che solleverà un pericolo di proporzioni inimmaginabili per l’Europa».

Un’alleanza naturale e strategica fra la Germania di Hitler e l’Italia di Mussolini: la seconda puntata dell’altro «Mein Kampf» (originariamente scritto nel 1928) che pubblichiamo sottolinea e approfondisce le ragioni della successiva politica hitleriana. L’opportunità di lasciare il Sud Tirolo agli italiani, ribadita nella parte del documento pubblicata ieri, è giustificata con la necessità storica di garantire buoni rapporti tra i due Stati totalitari destinati a un espansionismo parallelo; rivolto al Mediterraneo per quanto riguarda Roma, all’Europa orientale nell’ottica di Berlino. Oltre ad alcune affermazioni di spiccato tenore razzistico, a proposito dei «negri» che minaccerebbero il «valore della razza bianca» provocando un «inquinamento del sangue», colpisce la spregiudicatezza dell’analisi storica che individua nel contrasto secolare fra l’Italia ed Austria-Ungheria, e nella rivalità con la Francia, un elemento su cui la dittatura tedesca avrebbe potuto contare nel delineare la sua politica estera. Sull’importanza dell’altro «Mein Kampf» che verrà pubblicato in ottobre per l’editrice americana Enigma Books curato da Gerhard Weinberg, abbiamo messo a confronto due fra i più significativi storici tedeschi del nazionalsocialismo. Hans Mommsen, studioso di fama internazionale, ha insegnato fra l’altro alle università di Bochum, Princeton e Gerusalemme; Lutz Klinkhammer, autore fra l’altro de «L’occupazione tedesca in Italia 1943-1945», è uno studioso dei rapporti fra l’Italia e la Germania nel Ventesimo secolo.

«Se l'Inghilterra non ha bisogno di mantenere in eterno, come questione di principio, l'ostilità bellica contro la Germania, l’Italia è il secondo Stato europeo a non avere alcuna necessità di essere avversario della nazione tedesca. Non c'è altro Stato, infatti, con cui la Germania abbia più interessi in comune che con l'Italia, e viceversa. Durante il medesimo periodo in cui la Germania tentava di raggiungere una nuova unificazione nazionale, lo stesso processo avveniva anche nella Penisola. Gli italiani, tuttavia, mancavano di un potere centrale che si espandesse gradualmente e infine assumesse un ruolo egemone, come quello svolto dalla Prussia nell’analogo processo tedesco. Ma come l'unificazione tedesca ebbe nella Francia e nell’Austria i due nemici fondamentali, anche il movimento d'unificazione italiano ebbe a soffrire a causa di queste due potenze. In primo luogo, era lo stato asburgico ad avere un interesse vitale nel mantenere la frammentazione italiana. Dato che uno Stato delle dimensioni dell’Austria - Ungheria non era concepibile senza diretto accesso al mare e le sole zone utili allo scopo erano, almeno nelle città, abitate da italiani, l’Austria doveva opporsi attivamente all’emergere di uno Stato italiano unificato, nel timore di una possibile perdita di quella zona. Così, mentre l'unificazione italiana prendeva gradualmente forma, il Cavour, grande e brillante statista, si avvalse di ogni opportunità utile allo scopo. Tuttavia, anche dopo il completamento dell'unificazione dell’Italia settentrionale, soltanto nell’Austria - Ungheria risiedevano più di ottocentomila italiani. L'obiettivo nazionale di incorporare popolazioni di nazionalità italiana dovette essere ritardato, mentre cominciavano ad apparire per la prima volta i segni di un raffreddamento tra Italia e Francia. Allo scopo particolare di guadagnar tempo per il suo consolidamento interno, l'Italia decise di entrare nella Triplice Alleanza. Alla fine, però, la Grande Guerra portò l'Italia nel campo dell’Intesa. Ciò portò un ulteriore, decisivo passo nel processo di unificazione e determinò il crollo dell’odiato impero asburgico. Al suo posto, però, emerse, un’entità slava meridionale che già rappresenta - da un punto di vista nazionalista - un pericolo non inferiore per l'Italia. Come le genti germaniche, quelle italiane vivono su un territorio che è troppo piccolo e a tratti non molto fertile. Questa sovrappopolazione costrinse l'Italia per molti decenni - addirittura secoli ­a esportare uomini, cosa che non risolse il problema demografico ma addirittura l’aggravò. Proprio come capitò alla Germania con le sue esportazioni commerciali, che la resero dipendente dalle possibilità e dalla volontà di altri Paesi di acquistare le sue merci. Lo stesso accadde all’Italia, per le sue esportazioni umane. In entrambi i casi un rallentamento nei mercati riceventi - dovuto a qualsivoglia motivo - avrebbe portato a catastrofici risultati interni. Non appena, in Italia, il formalismo di una politica nazionale borghese sarà superato e rimpiazzato da un senso etnico di responsabilità, questo stato dovrà abbandonare la vecchia politica per orientarsi verso una strategia di nuovi spazi su larga scala. L'area naturale dell’espansione italiana è e resta la terra ai bordi del mar Mediterraneo. Quanto più l’Italia di oggi si allontanerà dalle strategie politiche miranti all'unificazione nazionale e assumerà una politica imperialistica, tanto più seguirà il percorso dell’antica Roma, non per arroganza del potere ma a causa di profonde necessità interne. Se oggi la Germania cerca terre nell'Europa orientale, non si tratta di un’esagerata volontà di dominio, ma è soltanto l'effetto dell’esiguità del territorio nazionale rispetto alla popolazione. Allo stesso modo, se l’Italia cerca di espandere la sua influenza al bacino del Mediterraneo e infine cerca di creare delle colonie, ciò avviene in funzione delle sue necessità, frutto di una situazione difficile. Se la politica tedesca del periodo prebellico non fosse stata totalmente cieca, avrebbe favorito e promosso tale espansione in ogni modo possibile, non solo perché avrebbe significato il rafforzamento di un nostro alleato, ma perché sarebbe stata l'unica possibilità di allontanare gli interessi dell'Italia dall’Adriatico, riducendo così la frizione con l’Austria - Ungheria. Contemporaneamente, una tale politica avrebbe consolidato l'antagonismo più naturale che possa esistere, cioè quello tra l'Italia e la Francia: ed avrebbe così raggiunto lo scopo di rafforzare la Triplice Alleanza. La Francia non tollererà mai che l’Italia divenga una potenza egemone nel Mediterraneo. Con l’impoverirsi del vigore delle genti di Francia, questo Stato utilizzerà la sua riserva di negri; il che solleverà un pericolo di proporzioni inimmaginabili per l’Europa. L’idea che i negri francesi - usati come cani da guardia contro i tedeschi lungo il Reno - potrebbero avvelenare il sangue bianco è così mostruosa che sarebbe stata del tutto inconcepibile soltanto qualche decennio fa. Certamente sarà la Francia a soffrire maggiormente per questo inquinamento del sangue: ma soltanto se le altre nazioni europee rimarranno consapevoli del valore della razza bianca. In ogni caso, lo stesso Bismarck più di una volta stimò gli interessi italici e germanici come perfettamente paralleli; e fu lui a indicare che l'Italia del futuro doveva cercare il suo sviluppo sul perimetro del Mediterraneo».

(2 - fine)


 Gli storici - «Era  in cerca di consensi: voleva avere mano libera».

Abbiamo chiesto a due storici del nazismo, Hans Mommsen e Lutz Klinkhammer, un giudizio sul «Secondo libro di Hitler.

Klinkammer - In Germania Federale, sin dagli anni Cinquanta, si è discusso appassionatamente sul ruolo e la responsabilità di Hitler nella radicalizzazione del regime nazista. Il manoscritto che esce ora in una nuova traduzione inglese è una fonte di primaria importanza: quando fu pubblicato, nel 1961, in lingua tedesca, si temeva ancora di poter alimentare l'ideologia nazista con simili fonti.

Mommsen - La ricerca storica fu a lungo centrata sulla persona di Hitler, perché si cercava la «verità», il suo «piano segreto», il documento che spiegasse tutto. Vittime di questa idea, criticata già negli anni ‘60 e ‘70 da un nuovo filone di ricerche, furono anche noti storici che sostenevano l’autenticità dei cosiddetti «diari di Hitler», dimostratisi poi così clamorosamente falsi.

Klinkhammer - Come valuta il «secondo libro» di Hitler?

Mommsen - Il manoscritto serviva a Hitler per cercare consensi alla sua proposta tattica di un’alleanza con l’Italia fascista. L'originalità del testo sta nella rinuncia - politicamente motivata - al Sud Tirolo. Su questa posizione, Hitler, nella destra nazionalista, fu piuttosto isolato. Persino Rudolf Hess fu contrario a questa rinuncia. Hitler fino all'inizio degli anni Trenta non fu un Führer incontestato; per non rischiare accuse di settarismo egli probabilmente voleva giustificare il suo programma politico: cioè l'impossibilità di una pacifica convivenza con la Francia, l’alleanza con l’Italia e un accordo con l'Inghilterra per avere mani libere per la creazione dello «spazio vitale» della Germania all’Est. Nel manoscritto si trova un’accentuazione marcata del socialdarwinismo di Hitler e del suo pensiero geopolitico, non ci sono però nuove idee chiave.

Klinkhammer – L’alleanza con l’Italia delineata più marcatamente nel manoscritto fu una costante del pensiero e dell’azione politica hitleriana. Fu Adolf Hitler stesso a volere con forza questa alleanza, che nel ‘24 teorizzò nel “Mein Kampf”. Ma solo nella seconda metà degli anni ‘30 i legami e la consonanza d’intenti tra Italia e Germania si fecero intensi non soltanto nell'ambito di una politica di espansione imperialistica, ma anche attraverso un crescente avvicinamento ideologico e politico. Il culmine dell’intesa politica venne raggiunto con la firma del «Patto d'acciaio», definito dal ministro degli Esteri Galeazzo Ciano «pura dinamite». Il programma di Hitler espresso nel «secondo libro» sembrava essersi realizzato: due espansioni parallele, l'aggressione italiana nello scacchiere del Mediterraneo, e quella tedesca nell’Europa orientale.

Mommsen - Ma la guerra parallela fallì clamorosamente, come si vide in Grecia. Del resto, quasi nessun gerarca nazista già dagli anni Venti era convinto dell'alleanza con l'Italia. Quel programma però non fu sostanzialmente cambiato, anche se la politica concreta si sviluppò poi diversamente. Nel caso dell’Anschluss dell’Austria, la spinta decisiva venne da Goring, anche se Hitler desiderava che Mussolini abbandonasse l’Austria quasi come un prezzo per l’alleanza italo-tedesca e per la «cessione» del Sud Tirolo.

Klinkhammer - Persino nelle ultime settimane della guerra, Hitler continuò a giustificare l'alleanza con l’Italia. Ringraziando ancora una volta Mussolini per l'atteggiamento adottato al tempo dell'Anschluss, nel febbraio 1945, Hitler ribadì il suo «affetto personale per il duce» e i suoi «istintivi sentimenti di amicizia per il popolo italiano». Ma si autocriticava per «non avere ascoltato la voce della ragione che gli imponeva di essere spietato pur nella sua amicizia per l'Italia». Ma il prezzo pagato dagli italiani per la brutale «amicizia» tra i due dittatori fu altissimo.

(a cura di Dario Fertilio)

Dal Corriere della sera, 15 agosto 2003

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