Corriere
della sera
Hitler? Un salutista noioso malato di megalomania.
Le memorie della segretaria che
rimase con il Führer sino alla
fine. “Credeva di essere un genio, annoiava tutti con i suoi sproloqui”. Nel
diario di Traudl Junge le manie e i segreti del dittatore nazista.
di
Ettore Botti
Chi ricorda le memorie di Quinto Navarra, commesso di
Mussolini, e la malizia di certi suoi racconti sulle sedute amorose del Duce
nella sala del Mappamondo rischia di restare deluso dal diario di Traudl Junge,
segretaria di Hitler, che arriva in questi giorni in libreria dopo essere
rimasto inedito per oltre mezzo secolo. C'è da tener conto delle differenti
indoli nazionali, della distante personalità dei due dittatori ma, soprattutto,
della diversa mediazione intercorsa tra gli autori e la divulgazione dei loro memoriali.
A raccogliere le confidenze di Navarra, si può immaginare
con quale arguzia e con quanto spirito di dissacrazione, furono niente meno che
Leo Longanesi e Indro Montanelli. I ricordi della signora Traudl sono invece
strettamente suoi, messi per iscritto da lei stessa, tra il ‘47 e il ‘48,
quando incominciava a uscire dalla tempesta in cui l'aveva fatta precipitare
l’aver prestato servizio, con incondizionata fedeltà, al Führer.
In questo caso l'intermediario, la giornalista Melissa Müller, non ha rielaborato nulla, limitandosi a convincere Traudl Junge a
rendere pubbliche quelle pagine che aveva tenuto ostinatamente per sé. E il «sì»
è stato strappato nei giorni estremi, tanto che il libro appare a pochi mesi di
distanza dalla morte della donna. Il pregio del diario, scevro da divagazioni e
indiscrezioni, sta dunque nella genuinità: due anni e mezzo di storia visti
attraverso lo sguardo di una ragazza che venne a trovarsi d'improvviso al fianco
dell'uomo più potente d'Europa. La Junge aveva avuto il posto di dattilografa,
una delle tre chiamate a seguire Hitler giorno e notte in ogni spostamento, per
una serie di fortunose circostanze. (il desiderio. di trasferirsi a Berlino, la
raccomandazione chiesta alla cognata d’un fratello di Martin Bormann) e non
per particolari meriti nazionalsocialisti. Ciononostante ai suoi occhi, come a
quelli della maggioranza dei compatrioti, il Führer
appariva un idolo indiscutibile, padre premurosissimo e infallibile condottiero.
Certo, tra il ‘42 e il ‘45, sentì più volte parlare di ebrei perseguitati
e di campi di concentramento, di torbide rivalità ai vertici del regime e di
rovesci militari. Ma come avrebbe potuto cambiare giudizio sul suo datore di
lavoro se lui le mostrava soltanto aspetti rassicuranti? Vegetariano, provava
orrore per i sistemi di macellazione e godeva nel mangiare zuppa di fiocchi
d'avena o crema di semi di lino. Animalista, amava alla follia il suo cane
Blondi e, pur con la fittissima agenda d'impegni, lo portava a correre e giocare
all'aperto. Salutista, detestava il fumo e cercava di persuadere amici e
conoscenti ad abbandonare, per il loro bene, le sigarette. Nei rapporti
interpersonali Hitler appariva gentilissimo, corretto con i sottoposti, quasi
dimesso nel dare ordini. Alle prime dettature cercò di tranquillizzare
l'esitante Traudl, affermando che eventuali errori sarebbero dipesi sicuramente
dalla sua imperfetta dizione. E altre volte, quando lei entrava nello studio
senza riscaldamento (egli prediligeva le temperature intorno ai 10 gradi), si
preoccupò che non sentisse freddo e avesse da coprirsi. Spesso la chiamava «bambina», però senza propositi
di corteggiamento, e mai, s'intende, osò importunarla. La dattilografa finì
per conoscere davvero bene il principale a causa della simbiosi di lavoro
(insieme per mesi nella Tana del lupo, quartier generale in Prussia orientale,
per mesi nel rifugio di Berchtesgaden e, alla fine, nel tragico bunker di
Berlino) e anche perché durante i lunghi soggiorni il personale femminile era
invitato a pranzi e cene in maniera da controbilanciare la preponderante
popolazione dei militari. E TraudI Junge, benché non solita a esercitare lo
spirito critico, poté, in alcune occasioni, vedere Hitler quale realmente era:
un uomo noioso, pedante, fanatico, prepotente, megalomane. Non di rado nel corso
dei dopo cena, che si trascinavano anche fino alle 5 del mattino, il Führer
alle prese con i suoi sproloqui si ritrovava solo in quanto i più preferivano
andarsene in altre stanze a ridere e fumare. Alla segretaria, in ansia per le
sorti della guerra, che gli chiedeva previsioni, Hitler rispondeva
invariabilmente: «Non so quando finirà. In ogni caso quando avremo vinto». E
sempre a lei, ormai entrata un po’ in confidenza, che gli domandava perché
non si sposasse, replicò convinto: «Non voglio figli perché ai discendenti
dei geni tocca una vita difficile». Pretendeva, naturalmente, di avere sempre
ragione. Una sera, dopo aver scommesso con Eva Braun sul motivo d'una canzone ed
essere stato smentito dall’ascolto del disco, sbottò: «Hai vinto tu, ma il
compositore ha sbagliato. Se avesse avuto una sensibilità musicale pari alla
mia, avrebbe composto la melodia come dico io». Così, abbagliata dalle sue
apparenti virtù e cieca di fronte ai suoi clamorosi difetti, Traudl Junge restò
fino all'ultimo accanto al capo del nazismo. Fu presente all’incontro con
Mussolini prima della caduta e al fallito attentato del 20 luglio. Assistette
all’incessante pellegrinaggio dei gerarchi, Speer, Himmler, Ribbentrop, il
servile Bormann, lo spocchioso Goering, l'esaltato Goebbels. A mano a mano che
le vicende del conflitto volgevano al peggio, vide il suo supremo signore
diventare vecchio, assente, avvilito, tremante, salvo qualche intermezzo di
residuo furore. S’avvicinava la fine. «Ē tutto perduto», confidò
Hitler un pomeriggio alla segretaria, prima di comunicare ai fedeli !'intenzione
di sposare Eva Braun e di uccidersi sparandosi. E toccò a Traudl, a sua volta
gratificata con una capsula di cianuro per la bisogna, scrivere le ultime pagine
ufficiali del Reich, battendo a macchina, d'urgenza, in piena notte, il
testamento politico e privato del Führer
che s'apprestava finalmente a uscire di scena.
Dal Corriere della sera, 18 maggio 2003