Corriere
della sera
“Chiesa
e Olocausto, una nuova questione morale”
Dopo
“I volonterosi carnefici di Hitler” un’altra denuncia delle responsabilità
dei cattolici. Intervista – Alla vigilia del suo nuovo libro, Daniel Goldhagen
racconta i motivi della sua “campagna” contro i silenzi sulla Shoah
Alessandra
Farkas
NEW
YORK - Perché la Chiesa cattolica ha scomunicato tutti i leader comunisti del
mondo, ma ha tenuto un servizio funebre speciale per Adolf Hitler? Perché molti
prelati hanno coraggiosamente attaccato l'eccidio dei malati di mente perpetrato
dai nazisti, senza dire mai una parola sullo sterminio degli ebrei? E perché la
messa del Venerdì santo contiene ancora oggi una lunga lista di passi che può
anche essere letta come un’accusa a
tutto il popolo ebraico per l'omicidio di Gesù? Il tentativo di dare una
risposta a queste ed altre domande altrettanto antiche e scabrose è alla base
di Una questione morale (Mondadori),
il nuovo libro di Daniel Goldhagen, docente a Harvard ed autore dell'acclamato
ed altrettanto
controverso I volonterosi carnefici di Hitler, del '97.
Professor
Goldhagen, perché questo libro proprio adesso?
«Tutto
è iniziato col mio lungo articolo di
copertina “Che cosa avrebbe fatto Gesù?”,
apparso su The New Republic nel gennaio 2002. Il direttore Martin Peretz,
mio caro amico, mi aveva chiesto di recensire un paio di libri appena usciti sul
rapporto tra Pio XII e l'Olocausto. Leggendoli cominciai a riflettere sui temi
di natura morale fino ad oggi ignorati dagli storici dell’Olocausto: il
giudizio e la riparazione. L'articolo scatenò un vespaio».
Pensa
che il libro verrà capito ed apprezzato in Italia?
«Sicuramente è la più vigorosa ed efficace sfida
mai lanciata alla Chiesa per spingerla ad agire moralmente e quindi dovrebbe
destare grande interesse. All’interno dei circoli cristiani più progressisti
il libro è ritenuto valido, nonostante i veementi attacchi del Vaticano, il
grande protagonista della mia analisi. In I volonterosi carnefici di Hitler cercavo
di rispondere alle due domande centrali dell'Olocausto: “chi ha fatto cosa e
perché?”. Il nuovo libro affronta invece le domande: in che modo giudichiamo
la colpa? Chi è il responsabile? In quale misura? E analizza il principale
quesito post-genocidio: come riparare il danno causato? Tutte questioni morali che non sono mai state sistematicamente applicate ai complici dei
più grandi crimini della storia».
Crede
che il Vaticano possa riconoscere la veridicità delle sue tesi?
«Se
domanda a un portavoce del Vaticano di illustrare astrattamente i principi della
Chiesa, questi converrebbe con me. Nel Catechismo è possibile trovare infatti
la risposta a tutte le mie domande. La questione morale della riparazione, ad
esempio, è contemplata nel paragrafo 1459 che dice: “molti peccati recano
offesa al prossimo. Bisogna fare il possibile per riparare - ad esempio
restituire cose rubate, ristabilire la reputazione di chi è stato calunniato,
risanare le ferite -. La semplice giustizia lo esige”. Il Catechismo è una
lettura che raccomando a gente di ogni fede perché mostra come, alla base, il
Cattolicesimo sia una religione di amore e alti valori. Il problema è che la
Chiesa non si è fatta guidare sempre dai
quei principi».
Quale obbiettivo si
prefigge con questa opera?
«L'ho
scritta e pensata come un aiuto e un’ispirazione per la Chiesa, che dopo le
guerre mondiali e dopo il Concilio Vaticano II ha cambiato, ma non ancora
abbastanza, il suo atteggiamento nei confronti del Giudaismo».
Dopo
la storica enciclica «Ricordiamo», non crede che Giovanni Paolo II sia
l'interlocutore ideale per gli ebrei?
«Lo
speravo molto. Però quel documento è pieno di coperture sul vero ruolo
ricoperto dal Vaticano durante l'Olocausto. Papa Giovanni Paolo II è nato e
cresciuto in quella triste era e soffre profondamente per il martirio patito dal
popolo ebraico. Ciononostante
non ha voluto toccare le questioni dottrinali e l'antisemitismo che esiste
ancora nel Nuovo Testamento e nella Liturgia, né ha ammesso tutta la verità su
Pio XII. Il suo cuore è nel posto giusto, la sua testa no».
Può
il Papa fare ciò che Lei auspica senza l'appoggio di
tutti i vertici della
Chiesa?
«Perché
no? I luterani hanno denunciato Lutero come antisemita e messo sotto processo
tutto il loro passato. Eppure i fedeli non sono fuggiti via inorriditi. Anzi. Il
vero problema è che, secondo me, la Chiesa cattolica è la progenitrice
dell'antisemitismo in Europa, da 2000 anni a questa parte. In un recente
sondaggio il 43% degli italiani risulta convinto che la crocifissione di Gesù
sia colpa degli ebrei, anche quelli, di oggi, e il 23% crede nelle lobby
ebraiche “potenti” e “pericolose”. Sono pregiudizi orrendi».
Secondo
alcuni il suo libro distrugge ponti in un periodo di grande riconciliazione tra
ebrei e cattolici
«Chi
afferma ciò si ostina ad ignorare che la Chiesa, nei secoli, ha speso enormi
energie per insegnare ai fedeli la perniciosità del popolo ebraico e ora deve
riparare al danno con le stesse energie. Il Catechismo insegna che uno dei
doveri morali della riparazione è restaurare la
reputazione di una persona calunniata. E chi ha subito tale danno più degli
ebrei?».
Lei scrive che il Vaticano non dovrebbe essere
uno Stato sovrano con ministri e diplomatici, ignorando l'instancabile crociata
del Papa in nome della pace.
«Una
delle ragioni per cui accuso la Chiesa di aver commesso tanti crimini contro il
popolo ebraico, dalla creazione dei ghetti all'Inquisizione, è la sua natura di
Stato e di istituzione politica. Eppure tutti sanno che politica e morale sono
due forze antitetiche.
La politica cerca di conquistare con la retorica il potere, estendendo la sua
influenza. La Chiesa usa le stesse armi per conquistare le anime dei fedeli,
spesso sacrificando i doveri morali agli interessi politici. Lo si è visto
durante lo scandalo dei preti pedofili. Per colpa dei suoi interessi
istituzionali e politici, la Chiesa ha sacrificato i propri principi morali,
proteggendo per decenni quei preti».
Secondo
un critico del New York Times lei manca dell'oggettività e freddezza
proprie dello storico.
«Il
celebre filosofo cristiano John Roth, che ha recensito il libro sul Los
Angeles Times, ha scritto che “tutti i seguaci di Gesù dovrebbero
abbracciarlo”. La mia opera parla in modo oggettivo e neutrale della storia, e
al di là dell'Olocausto, le mie tesi possono essere applicate alle vittime di
tutti i grandi crimini dell'umanità, incluso quello perpetrato dagli Stati
Uniti contro gli afro-americani, che non hanno mai ricevuto riparazione. Non
c’è passione né isterismo nel mio libro. Chi mi attacca vuole evitare la
discussione».
Controcanto
– Il Vaticano “meno silenzioso” di americani, russi e inglesi
di
Emma Fattorini
Difficile
resistere alla tentazione di confutare alcune delle tesi, tra le tante infondate
di Goldhagen: ma quando mai un funerale ufficiale di Hitler fu benedetto dalla
Chiesa? A quale liturgia si riferisce, dopo che Giovanni XXIII volle proprio
fosse cancellata, in quella del venerdì santo, l'odiosa dizione «perfidi-giudei»?
E si potrebbe proseguire.
Ma più che denunciare l'inconsistenza delle argomentazioni, è utile chiedersi
il perché del loro successo (ma è poi davvero reale?) e il perché di queste
periodiche polemiche strumentali. Un grossolano semplicismo senza alcun senso
delle distinzioni, con quell'approccio tribunizio e giudicante della storia sul
problema dei silenzi della Chiesa che è sempre più estenuato (ed estenuante).
Occorre però riflettere sul fatto che spesso la «fortuna» (!) di queste accuse sta nel fatto che ad
esse si risponde con altrettante difese
che finiscono per essere la faccia della
stessa medaglia. Si deve proprio rifiutare quell'approccio: uscire una volta per
tutte dalla logica delle colpe e delle assoluzioni. Banalizzando potremmo dire
che all'accusa di antisemitismo non si può rispondere sostenendo che la Chiesa fosse
invece all'avanguardia nella difesa ebraica. La Chiesa non era certo la sola a
non aver capito il carattere epocale della Shoah. Perché allora imputarlo solo
alla Chiesa? Anzi sarà proprio la meno silenziosa verso l'antisemitismo
rispetto a quanto fecero i governi americani, russo e inglese. Però la Chiesa,
attardata ancora in un intransigentismo ottocentesco, si attestava sulla sua
priorità antica, quella dell’autodifesa della comunità cattolica
accerchiata: e così sapere, essere informati di quello che succedeva era
diverso dal capire. La Chiesa non possedeva le categorie per capire e agire.
Detto questo, se la natura di un pontificato, soprattutto in certe fasi
storiche, non va giudicata dalla sua forza profetica, c'è da sperare, di tutto
cuore, che la profezia non sia neppure un carisma necessariamente precluso ai pontefici.
Dal Corriere della sera, 6 aprile 2003